1 • Moralismo, utilitarismo, relativismo
L’etica e la morale non sono argomenti molto interessanti.
Quando ne parlo, ho sempre un po’ la sensazione di ricevere un malus di «meno trecento punti» al livello di interesse della conversazione.
Quando si parla della «morale» o dell’«etica», vengono subito in mente:
- le regole da rispettare
- i doveri
- i divieti
- gli obblighi
Nella cultura pop la morale è roba da moralisti.
(lascio qui tra parentesi la descrizione di Giovanni Parrottin, tratta dal romanzo La nausea del filosofo francese Jean-Paul Sartre: «Senza dubbio al suo letto di morte, nell’ora in cui, da Socrate in poi, si è convenuto di pronunciare qualche frase elevata, egli avrà detto alla moglie, come uno dei miei zii disse alla sua, che lo aveva vegliato per dodici notti: – In quanto a te, Teresa, non ti ringrazio: hai fatto solo il tuo dovere. Quando un uomo arriva a tanto bisogna fargli tanto di cappello»; JEAN-PAUL SARTRE, La nausea, Einaudi, Torino 2014, p. 122)
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Altre persone, invece, dicono che è scorretto giudicare le azioni in termini di «bene» e «male», e che sarebbe meglio parlare di «vantaggi» e «svantaggi» (cfr. FRANCESCO, Lettera enciclica Fratelli tutti, 210)… ovvero:
- se aiuto un amico non è un’azione «buona», ma semplicemente «vantaggiosa» – così facendo, infatti, quella persona è in debito con me;
- se faccio un torto a qualcuno non è un’azione «cattiva», ma semplicemente «svataggiosa» – chi mi dice che in futuro non avrò bisogno di quella persona?
In realtà, l’utilitarismo non mi ha mai convinto del tutto.
Voglio dire:
- Tu lo vorresti un amico/a utilitarista? Una persona che si fa sempre “i conti in tasca” può essere amica di qualcuno?
- Tu lo vorresti un fidanzato/a utilitarista? L’amore, per sua definizione, non dovrebbe essere «disinteressato»?
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Last but not least, ci sono le persone che dicono che «la morale è una cosa relativa», che dipende dall’epoca storica, dal contesto culturale in cui si vive, dalla latitudine, dalla longitudine, etc.
A tal proposito, mi viene in mente un esempio nerd.
Nel manga One Piece, durante la battaglia di Marineford, a un certo punto il pirata membro della Flotta dei sette Donquijote Do Flamingo (*), osservando diverto lo scontro tra i pirati e i marines, commenta così:
I pirati sono il male?
I marines sono la giustizia?
Queste cose sono sempre cambiate nel corso della storia!
[…]
Chi arriva in cima decide cos’è «bene» e cos’è «male»!
[…]
Dite che «la giustizia prevarrà»? Ma certo che sì!
Perché il vincitore è l’unica giustizia!
(DONQUIJOTE DO FLAMINGO, dal manga di EIICHIRŌ ODA, One Piece, volume 57, capitolo 556, tavola 7 e tavola 8 – vi ricordo che, essendo un manga, le vignette delle tavole si leggono da destra a sinistra)
(*) (Commento inutile: Doflamingo, secondo me, è il vero «supercafone» di One Piece; dovrebbe essere lui – e non Monkey D. Rufy – a diventare Re dei pirati)
2 • La «morale 2.0» di Nietzsche
Io ho un rapporto di fascino e repulsione nei confronti di Friedrich Nietzsche (1844-1900).
La sua produzione filosofica è un miscuglio di:
- intuizioni geniali
- castronerie sesquipedali
- riflessioni brillanti
- pensieri cinici
- aforismi che strizzano l’occhio al nazismo
Riguardo alla morale, Nietzsche ha detto una cosa molto interessante: tolto di mezzo Dio, la morale non sta in piedi.
A tal proposito, vi riporto alcune righe di Mazzino Montinari (1928-1986), germanista e filosofo italiano, nonché uno dei (o forse il?) più grandi esperti italiani del filosofo tedesco (è stata affidata a lui la cura dell’edizione italiana delle opere di Nietzsche):
Venuta a cadere l’interpretazione religiosa è caduta anche quella morale, ma i pensatori moderni o non se ne accorgono o non lo vogliono ammettere e continuano, pur essendo atei, come Schopenhauer, ad attribuire un significato morale al mondo.
La morale e Dio, però, si reggevano a vicenda: caduto l’uno, anche l’altra è crollata.
Nietzsche si propone di interpretare il mondo in modo «immorale», cosicché la morale passata non risulti essere altro che un caso particolare di una interpretazione globale (che perciò, più ancora che «immorale», sarà extramorale) (39[14] e 39[15]).
(MAZZINO MONTINARI, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999, p.109)
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Un’altra idea di Nietzsche (che nessuno dice ad alta voce, ma molti pensano) è questa: non è vero che l’altruismo è migliore dell’egoismo…
Nietzsche nega che il progresso della morale consista nel predominio degli istinti altruistici su quelli egoistici e, parimenti, dei giudizi universali su quelli individuali.
È l’individuo, al contrario, che deve «crescere contro altri individui» […].
(MAZZINO MONTINARI, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999, p.109)
A tal proposito, vi cito anche un frammento autografo di Nietzsche, risalente al 1880:
Nella morale odierna vedo la giustificazione dell’indebolimento generale: allo stesso modo che il cristianesimo voleva indebolire e rendere eguali gli uomini forti e spirituali.
La tendenza alla morale altruistica è la pappa molle, la sabbia malleabile dell’umanità.
La tendenza dei giudizi universali è la comunanza dei sentimenti, cioè la loro povertà e fiacchezza.
È la tendenza verso la fine dell’umanità.
Le “verità assolute” sono strumento di livellamento, esse corrodono e distruggono le forme caratteristiche.
(FRIEDRICH NIETZSCHE, frammento 6[163] dell’autunno 1880, che sarà ulteriormente elaborato in Aurora; aff.132 e 174)
Leggendo alcuni aforismi del baffuto filosofo tedesco sembrerebbe che, se una persona si trova in difficoltà, sarebbe meglio NON aiutarla.
Infatti, se perdiamo tempo a dare una mano chi è “rimasto indietro”, rischiamo di indebolirci, perché ci abituiamo a stare al passo degli ultimi.
Seguendo questa logica, capirete bene che per Nietzsche la morale cristiana era intollerabile.
Ecco cosa scrive in proposito Montinari:
Subito dopo [nel 1887], Nietzsche scrisse in poche settimane la Genealogia della morale.
In questo «scritto polemico» egli storicizza radicalmente ogni tipo di morale.
I comandamenti della morale vengono messi in relazione con le classi sociali di cui essi esprimono le valutazioni.
Ciò che è riconosciuto come buono era buono in realtà per le classi dominanti, per i liberi, non per gli oppressi.
L’origine dei concetti di bene e di male è duplice: dalla parte dei dominatori, dalla parte degli oppressi.
Il capolavoro degli oppressi è stato quello di essere riusciti – attraverso i preti cristiani – a imporre la morale del risentimento anche ai dominatori, a infettarli con la «cattiva coscienza».
La cosiddetta «morale dei signori» viene da Nietzsche contrapposta alla «morale degli schiavi».
Nietzsche sente le virtù cristiane come virtù della canaglia.
«I princìpi sociali del cristianesimo predicano la viltà, il disprezzo di sé stessi, la mortificazione, il servilismo, l’umiltà, insomma tutte le qualità della canaglia» aveva già scritto quarant’anni prima, nel 1847, il giovane Marx (Der Kommunismus des «Rheinischen Beobachter»; in K.Marx, F.Engels, 1959; 1973; p.244).
(MAZZINO MONTINARI, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999, p.152)
Ed ecco cosa fa dire Nietzsche a Zarathustra, nel discorso intitolato «Dei compassionevoli»:
Ah, chi mai al mondo ha commesso stoltezze più grandi dei compassionevoli?
E che cosa al mondo ha provocato più dolore delle stoltezze dei compassionevoli?
Guai a tutti quelli che amano, se non hanno ancora un’altezza che sia superiore alla loro compassione!
Una volta il demonio mi parlò così: «Anche dio ha il suo inferno: è il suo amore per gli uomini».
E di recente l’ho sentito dire queste parole: «Dio è morto; a causa della sua compassione per gli uomini, dio è deceduto».
State dunque in guardia contro la compassione: da essa viene agli uomini una nube opprimente!
(FRIEDRICH NIETZSCHE , Così parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessuno, Mondadori, Milano 2013, versione Kindle, 32%)
3 • A che serve la morale?
Ora.
Diciamocelo.
Citare Nietzsche fa figo.
Cioè.
Tu stai lì a fare aperitivo in spiaggia.
Col tuo bel calice di vino o con un Moscow Mule.
E, così, d’emblée, te ne esci con:
- «la morale è una schiavitù»
- «l’etica è una gabbia per persone deboli»
- «il superuomo ride di queste cose, e danza oltre sé stesso» (cfr. FRIEDRICH NIETZSCHE, Così parlo Zarathustra, parte quarta, dal discorso «Dell’uomo superiore»)
Insomma.
Finché si discute dei massimi sistemi, citare Nietzsche fa figo.
I suoi ragionamenti sembrano così all’avanguardia.
Sembra quasi che abbia ragione…
…
…poi però c’è il mondo vero.
Ci sono le persone vere che ti stanno intorno.
C’è il tuo compagno di banco.
C’è il tuo migliore amico.
C’è la tua fidanzata.
Prova a pensare a loro.
E prova a chiederti:
- Vorresti un amico che basa la sua morale sul pensiero di Nietzsche?
- Vorresti essere circondato da persone che pensano che aiutarti sia un atto di debolezza?
- Vorresti un fidanzato/a che pensa solo al proprio tornaconto?
- Avresti voluto avere un padre o una madre utilitarista?
Ecco, vedete.
Argomentazioni come quelle di Nietzsche possono sembrare ragionevoli tra le pagine ingiallite di un libro…
…ma si infangono clamorosamente nella vita di tutti i giorni.
Perché?
Perché nella vita di tutti i giorni usiamo il senso comune (di cui avevo parlato in quest’altra occasione).
E cosa ci dice il senso comune?
Il senso comune ci dice che la morale serve eccome.
A cosa?
La morale evita che le persone falliscano nella propria vita.
In che modo?
Vi riporto lo stralcio di un libro di teologia morale fondamentale che avevo letto qualche anno fa:
Succede spesso che una persona arrivi a guardare la propria vita con un senso di profonda insoddisfazione e persino di frustrazione. Forse nel passato non ha realizzato scelte condannabili dal punto di vista della morale normativa (non ha ucciso, non ha rubato, è stata sempre fedele al marito, ecc.), ma si ha comunque la chiara percezione che la propria vita sarebbe interamente da rifare. Si prova l’amarezza della solitudine e si avverte, per esempio, che la scelta di aver privilegiato il lavoro anziché la famiglia è stata una scelta profondamente sbagliata.
Le migliori energie sono state date ad un lavoro professionale, che mirava soprattutto alla sufficienza economica, e il passare del tempo dimostra che tale attività lavorativa ha dato ben poco alla persona.
In definitiva, se la persona potesse tornare indietro non rifarebbe la stessa strada.
La morale classica ha ritenuto che il suo principale compito consistesse nell’evitare questi fallimenti globali e irrimediabili e, in modo più positivo e generale, nell’orientare le principali scelte personali in vista della piena riuscita della vita umana.
(ENRIQUE COLOM, ANGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi – Morale fondamentale, EDUSC, Roma 2016, p.58-59)
4 • La morale c’entra con la felicità
Riprendo il libro di morale fondamentale per leggere qualche altro stralcio.
[…] lungo la vita, i fini ultimi delle diverse attività entrano in conflitto tra di loro: le esigenze di lavoro, che sono anche economiche, possono entrare in collisione con le esigenze del riposo e della salute, oppure con le cure dovute alla propria famiglia, o infine con certe convinzioni morali o religiose. Di fronte al conflitto è necessario scegliere, è necessario limare alcune attività per curare di più altre, ecc.
Secondo quale criterio, cioè alla vista di quale bene, vengono ordinate le diverse attività?
I criteri per ordinare queste scelte presuppongono che si ha un’idea sul contributo che ogni attività (lavoro, famiglia, convinzioni morali e religiose, salute, ecc.) può dare alla piena riuscita della propria vita, cioè alla propria felicità.
Questo è il vero problema, poiché il senso di fallimento o di frustrazione, di cui parlavamo all’inizio di questo paragrafo, procede appunto dal non aver saputo stabilire il dovuto ordine e le dovute priorità tra le diverse attività e beni che integrano la vita umana.
Perciò si pone inevitabilmente la domanda: quale è il fine ultimo o il bene perfetto della vita umana presa come un tutto, il bene che rende la vita degna di essere amata, senza che le manchi alcunché?
È la domanda sulla felicità umana, su ciò che è bene per l’uomo.
Questa domanda non presuppone necessariamente che la felicità umana debba consistere in un solo bene o in una sola attività, con esclusione delle altre.
Ma si ritiene che la risposta che verrà data a tale domanda permetterà di definire un modo di vita che è migliore degli altri, intendendo per modo di vita il programma o il criterio che definisce quali beni e secondo quali priorità, misura e modalità devono essere desiderati e realizzati.
[…]
E sebbene l’indagine razionale non sempre riesca a giustificare razionalmente tutte le possibili preferenze tra i diversi beni, tuttavia è in grado di giustificare razionalmente che, alla luce di ciò che veramente costituisce il bene ultimo della vita umana, deve essere stabilito un certo ordine e proporzione tra le diverse attività umane ed è in grado, soprattutto, di individuare certi modi di regolazione razionale di tutte le attività che vanno comunque rispettati.
(ENRIQUE COLOM – ANGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi – Morale fondamentale, EDUSC, Roma 2016, p.60-61)
Come accennavo nel primo paragrafo, noi spesso confondiamo la morale con il moralismo.
Pensiamo che la morale riguardi ciò che è «giusto» e ciò che è «sbagliato»… ma in un senso legalistico o bacchettone.
Mentre invece non è così!
La morale non è solo (né principalmente) questione di giustizia.
La morale ha a che fare con la bellezza e la bontà della vita.
In altre parole, la morale ha a che fare con la felicità.
Avere un comportamento eticamente corretto non rende (solo) la vita «più giusta», ma «più bella» e «più buona».
Noi invece spesso pensiamo che ogni tanto, uno «strappo alla regola» possa rendere la nostra migliore.
Per esempio:
- «Di solito dico la verità… ma ogni tanto qualche bugia bianca rende la vita più semplice»
- «Tendenzialmente sono onesto… ma se durante la dichiarazione dei redditi mi aggiusto un po’ le cifre e pago meno tasse, è meglio»
- «Di solito mi comporto in modo corretto… però se ci fosse un concorso pubblico ed avessi la possibilità di copiare le risposte corrette, ne approfitterei»
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Nell’ultima citazione che ho riportato, era scritto che nella vita – per essere felici – occorre saper incastrare i varî ambiti:
- tempo speso per gli altri
- tempo speso per me
- lavoro
- famiglia
- amicizia
- tempo libero
- attività caritative
- studio
- etc.
Alcune di queste attività sono fini a sé stesse.
Altre invece sono mezzi, in vista di altri fini.
Comunque, a prescindere dall’ambito, il compito della morale è proprio questo: trovare ad ogni attività il giusto tempo e spazio, in modo da essere pienamente felici.
Questa cosa vale per tutti: credenti, non credenti, agnostici, atei…
…e, ovviamente, anche per i cristiani.
Per i cristiani, però, penso che si possa essere un po’ più specifici.
In che senso?
Nel senso: rispetto ai varî àmbiti della vita che ho elencato qui sopra, qual è il filo rosso per un cristiano?
Qual è la cosa intorno alla quale ruota tutto il resto?
Qual è il fine ultimo?
La domanda alla quale ora deve essere data risposta è più o meno la seguente: secondo la fede cristiana, esiste qualche attività umana o almeno qualche programma o tipo di vita che sia desiderabile in se stesso e non in vista di altro?
[…]
Tra le diverse risposte riscontrabili nella Sacra Scrittura e nella tradizione morale cattolica, ci sembra che sia il concetto di santità quello che meglio possa fondare una risposta articolata alla nostra domanda.
(ENRIQUE COLOM – ANGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi – Morale fondamentale, EDUSC, Roma 2016, p.62)
A scanso di equivoci, ripeto per l’ennesima volta che «santità» non significa somigliare a Ned Flanders.
Per chi avesse simili bias cognitivi, lo rimando alla pagina sulla santità che avevo scritto nel 2022.
Comunque, tagliando violentemente con l’accetta, «santità» significa pienezza di vita.
«Santità» significa vivere la vita più bella, felice e feconda che tu possa immaginare.
Come dice il libro di teologia morale (*):
(*) (e vi posso assicurare che è un libro molto serio da un punto di vista teologico – cita ogni tre per due il catechismo, il magistero della Chiesa, papi, santi, dottori della Chiesa, etc.)
La santità è il fine che dà senso alla vita cristiana.
Il problema della regola viene dopo.
(ENRIQUE COLOM – ANGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi – Morale fondamentale, EDUSC, Roma 2016, p.64)
5 • Morale, intenzioni e circostanze
Sicuramente conoscerete il famoso aforisma attribuito a Niccolò Machiavelli (1469-1527): «il fine giustifica i mezzi».
(In realtà, questa frase non è propriamente di Machiavelli; per chi fosse incuriosito, lo rimando a questa pagina della Treccani)
A costo di fare Capitan Ovvio, il significato di questa frase è il seguente:
- se ho un obiettivo buono…
- …posso usare (anche) mezzi non buoni per raggiungerlo
Insomma… il fine NON giustifica i mezzi:
Un’intenzione buona (per esempio, aiutare il prossimo) non rende né buono né giusto un comportamento in se stesso scorretto (come la menzogna e la maldicenza).
Il fine non giustifica i mezzi.
Così, non si può giustificare la condanna di un innocente come un mezzo legittimo per salvare il popolo.
Al contrario, la presenza di un’intenzione cattiva (quale la vanagloria) rende cattivo un atto che, in sé, può essere buono (quale l’elemosina) (cfr. Mt 6,2-4).
(Catechismo della Chiesa Cattolica, punto n.1753)
Il fatto che le mie intenzioni siano buone, non mi autorizza ad usare mezzi non buoni per raggiungere i miei fini.
Ovvero, come direbbero gli studiati (*), la moralità di un atto dipende da:
- ciò che voglio fare – ovvero il «finis operis»
- il motivo per cui lo voglio fare – ovvero il «finis operantis»
- le circostanze
(*) (ENRIQUE COLOM – ANGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi – Morale fondamentale, EDUSC, Roma 2016, p.188 e seguenti)
Qual è la differenza tra (1) «ciò che voglio fare» e (2) «il motivo per cui lo voglio fare»?
Facciamo un esempio.
Ipotizziamo che io voglia costruire un ponte.
La costruzione del ponte – ciò che voglio fare – è il «finis operis» (1).
Il motivo per il quale voglio costruire il ponte invece è il «finis operantis» (2)… e potrebbe essere:
- (positivo) costruire una strada che passi sopra alle rotaie di un treno, per migliorare la viabilità in una città;
- (negativo) collegare le due sponde di un fiume, per favorire il passaggio dei narcotrafficanti
Si capisce facilmente che la costruzione di un ponte è – in sé – un fine neutro; e che la moralità dell’azione è data dal motivo per il quale è fatta.
Infatti:
Le azioni che per il loro oggetto sono indifferenti diventano buone o cattive a causa del fine.
(ENRIQUE COLOM – ANGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi – Morale fondamentale, EDUSC, Roma 2016, p.201)
Facciamo un secondo esempio.
Supponiamo che io debba mentire affinché una casa-famiglia riceva un enorme finanziamento pubblico.
In questo caso, il «finis operantis» (2) sarebbe buono; con quei soldi infatti, la casa famigli potrebbe ottenere nuove risorse per le sue attività sociali e di assistenza.
Tuttavia, il «finis operis» (1) – ovvero la mia bugia – rimarrebbe lo stesso un atto intrinsecamente cattivo.
Infatti:
Se gli atti sono intrinsecamente cattivi, un’intenzione buona o circostanze particolari possono attenuarne la malizia, ma non possono sopprimerla: sono atti “irrimediabilmente” cattivi, per sé stessi e in sé stessi non sono ordinabili a Dio e al bene della persona […].
Per questo, le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto “soggettivamente” onesto o difendibile come scelta.
(GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Veritatis Splendor, n.81)
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Ho speso due parole sul «finis operis» (1) e sul «finis operantis» (2)…
…cosa possiamo dire invece del terzo punto dell’elenco che ho fatto, ovvero delle «circostanze» (3)?
Le circostanze sono tutte quelle «condizioni al contorno» che hanno a che fare con l’azione:
- luogo
- tempo
- contesto sociale
- condizioni personali
- etc.
Quale che sia il caso, le circostanze non fanno «cambiare di segno» la moralità di un’azione.
Infatti:
Le circostanze, ivi comprese le conseguenze, sono elementi secondari di un atto morale.
Concorrono ad aggravare oppure a ridurre la bontà o la malizia morale degli atti umani (per esempio, l’ammontare di una rapina).
Esse possono anche attenuare o aumentare la responsabilità di chi agisce (agire, per esempio, per paura della morte).
Le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un’azione intrinsecamente cattiva.
(Catechismo della Chiesa Cattolica, punto n.1754)
Conclusione
La faringe è una parte del corpo umano indispensabile.
La faringite, invece, è un’infiammazione.
Le meningi sono un’altra parte del corpo indispensabile.
La meningite, invece, è un’infiammazione.
Così come non confondiamo le parti del corpo con le rispettive infiammazioni, non bisogna confondere la morale col moralismo.
Il moralismo è senza dubbio un problema…
…però, come al solito, bisogna evitare di «gettare via il bambino con l’acqua sporca».
Infatti:
È vero che un’ipertrofia normativistica della vita morale e un eccesso legislativo nella vita sociopolitica hanno cagionato una disaffezione alla legge.
L’abuso tuttavia non toglie la necessità di questo concetto anche in campo morale.
(ENRIQUE COLOM – ANGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi – Morale fondamentale, EDUSC, Roma 2016, p.263)
Le leggi servono.
A lavoro.
A scuola.
A casa.
Nelle relazioni.
E nella Relazione con la «r» maiuscola:
Se mi amate, osserverete i miei comandamenti.
(Gv 14,15)
sale
(Autunno 2023)
- ENRIQUE COLOM, ANGEL RODRÍGUEZ LUÑO, Scelti in Cristo per essere santi - Morale fondamentale, EDUSC, Roma 2016
- GIOVANNI PAOLO II, «Veritatis Splendor» (enciclica su alcune questioni fondamentali dell'insegnamento morale della Chiesa)
- JEAN-PAUL SARTRE, La nausea, Einaudi, Torino 2014
- MAZZINO MONTINARI, Che cosa ha detto Nietzsche, Adelphi, Milano 1999