Che senso ha fare religione a scuola?

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1 • Religione, la materia più inutile

«Religione» a scuola è la materia più inutile.

Questa cosa è risaputa.

Anzi.

Non solo è inutile.

È un bieco indottrinamento.

E infatti, ci sono molti atei militanti che si battono perché l’ora di religione venga rimossa dalla scuola (salutiamo gli amici dell’U.A.A.R. che ci leggono da casa… un giro di Gaviscon, offro io!).

Secondo me però, i militanti laicisti farebbero bene a rivedere la loro posizione.

Cioè.

Parliamoci chiaro.

Dati ISTAT alla mano, l’ora di religione è una delle principali cause di ateismo in Italia 🥸

Ho decine e decine di amici che un tempo erano agnostici, ma sono diventati atei dopo aver sentito parlare il loro professore di religione.

Di questo, ho anche un’esperienza diretta: io ho avuto solo pessimi professori di religione.

A titolo di esempio, il mio prof di religione delle medie:

  • parlava di aria fritta e diceva cose petalose;
  • non aveva un odore gradevole;
  • quando parlava, sputava;
  • era un prete (sì, per noi alunni era un’aggravante).
sacerdote insegnante di religione

2 • Insegnare religione è una cosa cattiva?

Perché l’insegnamento della religione è guardato di cattivo occhio?

Beh.

Neanche a dirlo: nel corso della storia, è capitato più volte che il cristianesimo sia stato usato come pretesto per:

  • violenze
  • guerre
  • limitazioni della libertà (di parola, di pensiero, di espressione)
  • condanne a morte
giordano bruno inquisizione

Nel 2009, Benedetto XVI ha fatto un pellegrinaggio in Terra Santa.

In un incontro in Giordania, di fronte ai capi religiosi musulmani, il papa diceva queste parole:

Per questa ragione non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio.
Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è.
Certamente, il contrasto di tensioni e divisioni fra seguaci di differenti tradizioni religiose, purtroppo, non può essere negato.
Tuttavia, non si dà anche il caso che spesso sia la manipolazione ideologica della religione, talvolta a scopi politici, il catalizzatore reale delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società?

(BENEDETTO XVI, Incontro con i capi religiosi musulmani, con il corpo diplomatico e con i rettori delle università giordane, Moschea al-Hussein bin-Talal, Amman (Giordania), Sabato 9 maggio 2009)

Parafrasando la domanda di Benedetto, potremmo chiederci: «Ma la religione è cattiva di per sé, oppure il problema è la sua strumentalizzazione ideologica?».

Se è cattiva in sé, sarebbe meglio non insegnarla.

Al contrario, se il problema sono le ideologie che si appropriano della religione, la questione non sarebbe tanto «SE» insegnarla, ma «COME» insegnarla.

~

Nel 1987, il giornalista Vittorio Messori (classe ’41) ha intervistato il celebre scrittore Leonardo Sciascia (1921-1989).

Da un punto di vista culturale, Sciascia è stato un intellettuale che si è rifatto molto alla cultura laicista del ‘700 europeo.

Da un punto di vista politico, Sciascia ha militato nel Partito Comunista Italiano e nel Partito Radicale.

Ebbene.

A un certo punto dell’intervista, Messori ha chiesto allo scrittore: «Per un suo nipote sceglierebbe l’insegnamento della religione, a scuola?».

Sciascia ha risposto così:

Trovo piuttosto vacue, da gente che non sa quanto in profondità si debba andare nella ricerca della libertà, le polemiche sull’insegnamento della religione nelle scuole.
Bisognerebbe insegnarla meglio, questo sì.
Ma la religione come materia di studio è una pietra su cui l’intelligenza si affila.
Se ne sostanzia la fede, per chi ce l’ha o la cerca.
O ne vengono fuori i Voltaire, i Diderot, i grandi increduli e anticlericali.

(LEONARDO SCIASCIA, citato in VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul cristianesimo: sei tu il Messia che deve venire?, Società editrice internazionale, Torino 1987, p.19)

Io penso che conoscere il proprio contesto culturale sia molto importante.

A prescindere dal fatto che poi si vogliano seguire le proprie radici, o si voglia camminare in un’altra direzione.

L’Italia – piaccia o meno – è un paese la cui tradizione culturale è imbevuta di cristianesimo.

E secondo me, conoscerlo un po’ meglio farebbe bene a tutti – dal credente più devoto, al militante ateo più anticlericale.

Per i credenti – che credono di conoscere bene la loro fede, e invece il più delle volte gli manca addirittura l’«ABC» – penso che valgano le parole di Albert Einstein (1879-1955):

Non hai veramente capito qualcosa fin quando non sei in grado di spiegarla a tua nonna.

(originale: «You do not really understand something unless you can explain it to your grandmother»)

(ALBERT EINSTEIN, citato in RONALD W. CLARK, Einstein: His Life and Times, A&C, Black 1972, p.418)

Per i militanti atei, invece, che (spesso) combattono contro una caricatura grottesca della religione che esiste solo nella loro testa, valgono le parole dell’arcivescovo statunitense Fulton Sheen (1895-1979):

Non ci sono più di cento persone negli Stati Uniti che odino la Chiesa cattolica; ce ne sono milioni, invece, che odiano ciò che immaginano erroneamente che sia la Chiesa cattolica.

(FULTON SHEEN, citato in SCOTT & KIMBERLY HAHN, «Roma dolce casa : il nostro viaggio verso il cattolicesimo», Ares, Milano 1998, p.11)

3 • Usare la ragione (?)

Io ho una laurea triennale in ingegneria industriale, ed una laurea magistrale in ingegneria chimica.

cursus studiorum

Vi ho raccontato questo dettaglio della mia vita per dirvi una cosa: penso che l’uso dell’intelletto sia una cosa bellissima!

L’intelletto è ciò che più ci distingue dagli animali.

L’intelletto ci permette di pensare, di discernere, di formulare giudizî sulla realtà.

Io sono un fan sfegatato dell’intelletto… e di tutte le altre facoltà della mente umana.

(Piccola parentesi per i cristiani: senza contare che l’intelletto è un dono che Dio ha fatto all’uomo)

Però, di fronte all’intelletto, si può cadere in una trappola.

Quale?

La spiega molto bene Gilbert Keith Chesterton (1874-1936):

Ciò che chiamiamo mondo intellettuale si divide in due categorie di persone: quelle che venerano l’intelletto e quelle che lo usano.
Esistono delle eccezioni, ma in linea di massima queste due categorie non coincidono mai.
Coloro che usano l’intelletto non lo venerano perché lo conoscono troppo bene.
Coloro che lo venerano non se ne servono, come appare evidente dai discorsi che fanno quando ne parlano.

(GILBERT KEITH CHESTERTON, La mia fede, Lindau, Torino 2020, versione Kindle, 18%)

Cosa intende Chesterton?

Intende che molte persone pensano che l’unica forma di conoscenza sia quella riscontrabile tramite il metodo scientifico.

Molte persone credono che l’unica forma di certezza sia quella matematica.

Molte persone affermano che tutto ciò che è all’infuori di una verifica logico-sperimentale non merita di essere oggetto di studio.

Oh rega’.

Ripeto a scanso di equivoci: io sono un grande fan della ragione!

Viva la ragione!

Santa e benedetta ragione!

Non si ragionerà mai abbastanza!

Ma un conto è usare la ragione…

…un conto, invece, è adorarla.

L’idolatria della ragione è un non-uso della ragione – con buona pace di Voltaire, Rousseau, Robespierre e qualche altro intellettuale illuminista.

Infatti, come diceva il già citato Pascal:

Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano.

(BLAISE PASCAL, Pensieri, n.267)

In modo speculare, invece, il teologo e cardinale ceco Tomáš Špidlík (1919-2010) diceva che:

Il peccato mortale dei filosofi non è nel cercare l’assoluto, ma nel fatto che, non avendolo trovato, considerano come assoluti i prodotti della propria ragione.

(TOMÁŠ ŠPIDLÍK, Una conoscenza integrale : la via del simbolo, Lipa, Roma 2010, p.62)

4 • Cosa bisogna insegnare a scuola?

Consentitemi però di allargare un po’ il cerchio.

In questo paragrafo, vorrei spezzare una lancia per tutte le materie scolastiche che spesso sono guardate con un’aria di sufficienza:

  • letteratura
  • filosofia
  • greco
  • latino
versione di latino

In un mondo sempre più tecnico e industrializzato, ho sentito più volte fare obiezioni sull’utilità delle materie umanistiche a scuola:

  • «Che senso ha studiarle?»
  • «Non sarebbe più utile spendere quel tempo in attività più utili?»
  • «Ciò che fa girare il mondo è l’economia, la scienza, la politica… a che serve la letteratura?»
  • «I nostri figli dovrebbero uscire dalla scuola con delle competenze compatibili con il mondo del lavoro odierno! A cosa serve studiare la filosofia?»
  • «Il greco, il latino, la storia dell’arte o la religione sono cose che poi, se vogliono, possono approfondire nel tempo libero, se ne hanno voglia!»

Ora.

Il motivo per cui molte persone fanno queste domande è semplice… la scuola italiana è piena di pessimi insegnanti:

  • ci sono professori di lettere che fanno studiare agli studenti quello che dicono i critici, i critici dei critici, i critici dei critici dei critici… e poi non hanno il tempo di far appassionare i ragazzi ai testi di Manzoni o di Leopardi;
  • ci sono professori di filosofia che da quando hanno vinto il concorso per il posto fisso, stanno lì a scaldare la sedia, e si limitano a far ripetere agli studenti «quello che pensavano i filosofi» – senza innescare in loro un pensiero critico;
  • ci sono professori di greco e latino che ripetono in continuazione di essere rimasti «indietro col programma»… e poco importa se trasmettono agli studenti un senso più ampio delle cose, alla luce dello studio dei classici; l’unica cosa che conta è «finire il programma»!
  • etc.

Insomma, in giro è pieno di mele marce.

Nonostante questo, io non credo che la soluzione sia eliminare queste materie, ma recuperarne il senso più pieno.

Queste materie dovrebbero consentire agli studenti di formarsi da un punto di vista umano:

  • sviluppare una coscienza retta;
  • interrogarli sul senso delle cose;
  • mettere loro in cuore una sana inquietudine per fare le scelte giuste nella vita;
  • aiutarli a distinguere tra il «bene» e il «male»;
  • farli confrontare con le menti più brillanti della storia del pensiero;
  • far nascere in loro un gusto per il buono, il bello, il vero.

La formazione tecnico-scientifica è bella; è importante; è utile.

Ma da sola non basta.

In che senso «non basta»?

Nel nostro contesto culturale, tutte le volte che si pone troppo l’accento sulla formazione tecnica, il risultato è che non vengono formati «uomini e donne», ma semplicemente «rotelle dell’ingranaggio» del sistema capitalistico.

E questa cosa non vale solo al liceo, ma anche all’università… come notava il filosofo russo Vladimir Solov’ëv (1853-1900):

[Vladimir Solov’ëv] notò che quei luoghi del sapere della scienza europea considerati sacrosanti avevano ricevuto il nome di “università”, termine che promette di offrire ai suoi membri una conoscenza universale, integrale, tutto il sapere raggiungibile dall’uomo intelligente in maniera da poter essere veduto in unità.
Ma ben presto nacquero al suo interno delle divisioni sotto forma di molteplici specializzazioni.
L’uomo di oggi si è riconciliato con questa evoluzione e considera con stima tutti coloro che si sono “specializzati” in qualche materia, anche a costo di un’ignoranza penosa riguardo ai problemi essenziali della vita.

(TOMÁŠ ŠPIDLÍK, Una conoscenza integrale : la via del simbolo, Lipa, Roma 2010, p.91)

Il mondo del lavoro moderno, è pieno di professionisti ultra-specializzati nel proprio àmbito, che non hanno né tempo (a causa del lavoro) né voglia (a causa dell’individualismo) di interrogarsi su questioni che escano dal perimetro del loro orticello, e che riguardino:

  • la cultura
  • l’arte
  • la letteratura
  • la politica
  • il bene comune
  • la solidarietà
  • l’equa distribuzione delle risorse
  • e via dicendo

Su molti di questi àmbiti, le persone spesso si schierano come dei tifosi, ma spesso dietro non c’è (né può esserci, viste le premesse culturali) un pensiero critico.

E quando manca un pensiero critico, c’è sempre il rischio che accadano cose non piacevoli.

A tal proposito, vi riporto una lettera che un preside di un liceo americano aveva l’abitudine di inviare ai suoi insegnanti, all’inizio di ogni anno scolastico:

Caro professore,
sono un sopravvissuto di un campo di concentramento.
I miei occhi hanno visto ciò che nessun essere umano dovrebbe mai vedere:
camere a gas costruite da ingegneri istruiti,
bambini uccisi con veleno da medici ben formati,
lattanti uccisi da infermiere provette,
donne e bambini uccisi e bruciati da diplomati di scuole superiori e università.
Diffido – quindi – dell’educazione.
La mia richiesta è la seguente: aiutate i vostri allievi a diventare esseri umani.
I vostri sforzi non devono mai produrre dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti.
La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani.

(Tratto da ANNIEK COJEAN, Les mémoires de la Shoah (“Le Monde”, 29 aprile 1995))

5 • Alzare l’asticella delle domande

Gli uomini, nel corso della storia, hanno sempre cercato di fare l’inventario del mondo:

  • classificare le piante, secondo le loro specie;
  • catalogare i frutti, secondo le loro varietà;
  • suddividere i materiali per tipologia;
  • dividere i mammiferi, secondo le loro specie;
  • ordinare gli insetti, secondo le loro specie.

Perché l’uomo ha questa tendenza?

Bella domanda… penso che le ragioni siano complesse e molteplici…

…però, tagliando con la motosega, direi questo: l’uomo è una creatura limitata; mentre il mondo è complesso – e spesso ostile.

Schematizzare il mondo serve a conoscerlo.

Conoscere il mondo è un modo per cercare di addomesticarlo.

E addomesticare ciò che non si conosce è un modo per vincere la paura nei confronti dell’ignoto.

aracnofobia

Insomma…

Schematizza di qua… schematizza di là…

…col tempo sono nate le varie scienze.

Man mano che le scienze si sono strutturate, abbiamo notato che sono collegate tra loro:

  • la biologia è piena di leggi matematiche;
  • l’anatomia si basa sulla fisica e sulla chimica;
  • la meteorologia consiste nella risoluzione di modelli matematici basati sulla termodinamica;
  • etc.

Insomma.

Col tempo, abbiamo unito i puntini tra i varî àmbiti del sapere.

Anzi.

Non solo.

Poco alla volta, si è alzata l’asticella delle domande.

Abbiamo iniziato a chiederci se ci sia un senso dietro alla trama del reale.

Ci siamo posti domande sul bene e sul male. Su cosa sia «giusto» e «sbagliato».

Ci siamo chiesti che cosa sia la Verità.

…e abbiamo compreso che le materie scientifiche – pur essendo molto utili – da sole non bastano.

Infatti, ci sono domande più grandi, di fronte alle quali non si può applicare il cosiddetto “metodo scientifico”:

  • «Perché esistiamo?»
  • «Come mai esiste qualcosa e non il nulla?»
  • «La vita ha un senso?»
  • «Perché esiste la sofferenza?»
  • «Perché si muore?»
  • «C’è qualcosa dopo la morte?»
  • «La morale è oggettiva?»
  • «Se la morale non è oggettiva, in base a quale riferimento diciamo che una legge è “giusta” o “sbagliata”?»
  • «Che significa “giusto” o “sbagliato”?»
  • «La maggioranza si può sbagliare?»

A queste domande, non possono rispondere la biologia o la chimica.

Queste domande richiedono un altro background:

  • antropologico
  • filosofico
  • etico
  • teologico

Io credo che la scuola debba fornire gli strumenti per far sì che gli studenti non si trovino impreparati di fronte a queste domande.

E sapete perché?

Perché spesso è proprio la risposta a queste domande – molto più che la conoscenza della matematica o della fisica – che determinerà le scelte che i ragazzi compieranno nella loro vita.

Il più delle volte, la cosa più importante che un ragazzo vuole sapere al termine del proprio percorso di studî non è «il buco dell’ozono», «la teoria della tettonica a placche» o «la barbabietola da zucchero»

…ma piuttosto:

  • dove si trova «il Bello»?
  • dove si trovi «il Buono»?
  • dove si trovi «il Vero»?

Cioè dove si trova la felicità.

Ovvero: come si fa a fare centro nella vita?

Conclusione

So benissimo che ci sono persone talmente avvelenate contro la Chiesa, che non vogliono sentire ragione, e che troveranno questa mia paginetta inutile (se non irritante).

Conosco persone che credono che «la religione» sia l’origine e la causa di ogni male passato/presente/futuro che afflige il genere umano: clericalismi, discriminazioni, guerre, persecuzioni, carestie, epidemie, inondazioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, tumori, buchi nell’ozono…

Secondo me, però, anche queste persone dovrebbero fare l’ora di religione a scuola.

Oh, intendiamoci.

Non per indottrinarle!

E neanche per convertirle in modo forzato! (*)

(*) (ché come diceva Benedetto XVI: «la fede va proposta, non presupposta»)

…ma per il motivo che diceva il filoso Blaise Pascal ( 1623-1662):

Imparino almeno qual è la religione che combattono, prima di combatterla.

(BLAISE PASCAL, Pensieri, BUR Rizzoli, Milano 2013, versione Kindle, 30%)

sale

(Estate 2023)

Fonti/approfondimenti

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