1 • Com’è Dio?
Voi come ve lo immaginate Dio?
Un fascio di luce?
Un uomo anziano con la barba?
Qualche antropologo o storico delle religioni potrebbe dire che la tendenza ad antropomorfizzare Dio è un bias cognitivo di noi uomini.
E che sarebbe un errore immaginare Dio in questi termini.
In realtà, non c’è bisogno di ricorrere ad un esperto…
…è la Bibbia stessa a mettere in guardia contro questo rischio:
Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo […].
(Esodo 20,4)
A chi potreste paragonare Dio
e quale immagine mettergli a confronto?
(Isaia 40,18)
Stando alla Bibbia, Dio non può essere “imprigionato” in un’immagine che lo rappresenti.
Dio non somiglia al sole, alla luna, a una stella.
Dio non somiglia a un’aquila, uno sciacallo, o un altro animale.
E Dio non somiglia all’uomo…
…semmai è l’uomo ad assomigliare a Dio:
E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò
(Genesi 1,27)
Che ve ne pare?
Se Dio non fosse la «proiezione» di pensieri umani…
…ma fosse l’uomo ad essere l’«incarnazione» di pensieri divini?
Se la Bibbia avesse ragione?
Se le cose stessero così… allora, sì, forse potremmo dire che Dio ci somiglia.
La Bibbia stessa ricorre a molte analogie antropomorfiche per rappresentare Dio:
- un padre (cfr. Gv 1,14)
- una madre (cfr. Is 66,13)
- un pastore (cfr. Sal 23,1)
- etc.
Come ho già scritto, si tratta di analogie: gli autori della Bibbia utilizzano queste espressioni per tratteggiare in modo approssimativo alcune caratteristiche di Dio; trattandosi di analogie però, occorre tenere presenti i limiti di queste figure retoriche (cfr. GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris Dignitataem, n.8; 15 agosto 1988).
Dio è un Padre… ma non nel senso biologico del termine.
Dio è una Madre… ma non nell’accezione che comunemente diamo a questa parola.
Dio è un Pastore… ma non pratica la pastorizia e non alleva ovini.
Perché la Bibbia ricorre a queste espressioni allora?
Beh.
Perché – pur con tutti i limiti che le analogie possono avere – l’utilizzo di questi termini ci mette di fronte al fatto che…
[…] Dio non è un’astrazione filosofica per spiegare lo schema dell’universo come causa prima, e nemmeno si confonde con il cosmo.
[…] Il carattere rivelato della religione di Israele è intrinsecamente unito alla concezione di Dio come un essere personale, che manifesta i sentimenti del suo cuore.
(LUCAS MATEO-SECO, GIULIO MASPERO, Il mistero di Dio uno e trino, manuale di teologia trinitaria, Edusc, Roma 2014, p.27)
2 • Il «dio dei filosofi»
Avete presente il filosofo greco Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.)?
Quando Aristotele parlava di Dio, si riferiva a lui come al «Motore immobile» (cfr. ARISTOTELE, Metafisica, 1071b 3-22).
Un «Motore immobile» non è quello di auto dal cui cofano esce del fumo sospetto, bloccata sul Grande Raccordo Anulare, ma la «causa originaria» che ha dato inizio a tutto:
- «Motore» = Colui che ha «messo in moto» l’Universo;
- «Immobile» = essendo Dio perfetto, significa che «non può cambiare»; se cambiasse, potrebbe diventare o «più perfetto» (il che non sarebbe possibile, essendo già perfetto) oppure «meno perfetto» (ma anche questo è impossibile, altrimenti che Dio sarebbe?)… quindi Dio deve essere «immobile».
Vi devo confessare che quando al liceo ho sentito per la prima volta questa definizione di Dio, sono rimasto folgorato dalla sua logica.
Così semplice.
Così “pulita”.
Così “matematica”.
Quando poi ho scoperto che anche il filosofo cristiano Tommaso d’Aquino (1225-1274) usava parole simili, ho trovato un’ulteriore conferma della genialità di questa definizione di Dio.
Tra l’altro – a dirla tutta – ci sono stati molti filosofi agnostici che pensavano a Dio in modo simile.
In che senso?
Nel senso che anche chi «non è del tutto sicuro» della Sua esistenza, immagina che Dio sia l’Architetto che ha messo in moto l’universo…
…o addirittura identifica Dio con le leggi stesse dell’universo.
Detto tra noi, ho sempre trovato anche queste idee molto suggestive…
Ora.
Proviamo a immaginare un Dio simile a quello che ho appena descritto:
- il Motore Immobile
- l’Architetto
- le Leggi dell’Universo
Sapete qual è il problema di questo Dio?
Come faccio a chiedere conto – a questo Dio – del male nel mondo?
Come faccio ad arrabbiarmi – con questo Dio – per la mia aridità spirituale?
Come posso chiederGli che guarisca le mie ferite?
E più in generale…
…quale preghiera posso rivolgere a un Dio del genere?
Il «dio dei filosofi» è un cristallo di quarzo.
Il «dio dei filosofi» è intrappolato nella sua perfezione.
…
A tal proposito, vorrei farvi leggere alcuni stralci da un libro che Joseph Ratzinger (1927-2022) scrisse nel 1968:
La fede cristiana professa in verità che Dio non è prigioniero della sua eternità e non è confinato alla sola sfera spirituale, ma può operare, qui e ora, nel mio mondo e vi ha realmente operato in Gesù, il nuovo Adamo, nato da Maria vergine in virtù della potenza creatrice di Dio, il cui Spirito aleggiava all’inizio sulle acque e ha tratto l’essere dal nulla.
(JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p.270)
La mentalità odierna si lascia per lo più guidare dall’idea che l’eternità stia, per così dire, nella sua immutabilità: Dio ci appare quasi prigioniero del suo disegno eterno, concepito «prima di tutti i tempi».
In lui, ‘essere’ e ‘divenire’ non si mischiano affatto.
Di conseguenza, l’eternità viene da noi intesa in senso meramenteo negativo, come a-temporalità, come qualcosa di diverso rispetto al tempo, che quindi non può influire sul tempo, perché in tal modo cesserebbe addirittura di essere immutabile, diventando anch’essa tempo.
(JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p.306)
Pensieri del genere […] tradiscono una ingenuità mentale che continua a considerare Dio secondo modalità umane.
Infatti, quando si ritiene che quanto Dio ha progettato ‘dalla’ eternità non possa più essere da lui successivamente mutato, inconsciamente si torna a immaginare l’eternità secondo lo schema del tempo, distinguendo fra un ‘prima’ e un ‘dopo’.
L’eternità, però, non è ciò che è più antico, che esisteva prima del tempo, ma è il totalmente Altro, ciò che si rapporta a ogni tempo che passa come il suo oggi […].
[…]
In quanto ‘oggi’ contemporaneo a ogni tempo, essa può anche agire dentro ogni tempo.
(JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p.307)
Nel paragrafo precedente parlavo delle analogie… e di come la Bibbia paragoni Dio a un padre, ad una madre, ad un pastore…
Queste analogie aiutano a uscire dalla “trappola mentale” di pensare a Dio come qualcuno (o qualcosa) di «fisso».
Il Dio di cui parla la Bibbia è perfetto non perché è statico… ma perché è un Padre.
Il Dio di cui parla la Bibbia non è un «motore immobile», ma un Pastore agile e scattante, che lascia novantanove pecore per andare incontro alla centesima.
La grande difficoltà che i moderni incontrano nel comprendere la personalità divina scaturisce da questo disprezzo intellettuale che fa loro misconoscere l’analogia e rifiutare come antropomorfico qualsiasi tentativo tendente a conoscere Dio per mezzo dell’uomo.
(JEAN DANIELOU, Dio e noi, Rizzoli, Milano 2009, versione Kindle, 26%)
3 • Che significa che Dio è «immutabile»?
Forse qualche tomista – leggendo il precedente paragrafo – avrà pensato che io non abbia capito nulla del pensiero di san Tommaso d’Aquino.
Probabilmente è vero.
Di Tommaso so poco e nulla.
Ed ho letto solo pochi stralci qua e là della Summa Theologiae, o di qualche altra sua opera.
Quando avevo iniziato a (ri)convertirmi al cristianesimo all’inizio dell’università (come raccontavo nell’episodio zero di «Osteria der Vaticano») pensavo che Tommaso fosse un genio.
Forse è perché stavo studiando ingegneria, ma ero affascinato dal “rigore” e dalla “precisione” di Tommaso nell’affrontare le tematiche più disparate.
Rispetto ai primi anni di ingegneria però (parliamo del 2010-2011) nel frattempo sono passato per…
- dubbî
- cadute
- aridità spirituale
- momenti più o meno intensi di deserto
- qualche altro «palo in faccia» di cui parlavo nei «pensieri dalla penombra»
Non vorrei dire nulla di eretico… però oggi penso che il modo di fare filosofia di Tommaso sia «un po’ stretto» per le mie esigenze.
Qualche anno fa ho letto un libro di Jean Danielou (1905-1974) che mi ha rivoltato come un calzino.
All’epoca non conoscevo l’autore.
Ho scoperto anni dopo che si trattava di uno dei teologi più importanti (top 5? top 3?) del Novecento.
Vi riporto uno stralcio che per me è stato illuminante per capire un po’ meglio cosa significhi che «Dio è immutabile»:
Noi diciamo correntemente che Dio è immutabile; e diciamo bene, perché con questo vogliamo significare che Dio è completamente estraneo alle vicissitudini del divenire, al cambiamento alla evoluzione.
Ma questo può rischiare di fare capire che Dio sta dalla parte dell’immobilismo, della staticità, e che è opposto all’invenzione, alla creazione, al movimento.
Ora, se c’è una perfezione nel riposo, c’è anche una perfezione nel movimento.
Se al livello umano il movimento è l’espressione di una indigenza – e quindi indegno di Dio -, questa ne rappresenta soltanto una deficienza.
In Dio il movimento esiste nel suo valore eminente, in quanto atto puro, intensità di vita, operazione immanente.
[…]
Ed ecco ora lo Pseudo-Dionigi esprimere con ammirabile audacia questa universale analogia.
[…]
…se è vero che Dio possiede la perfezione di ciò che è identico, egli possiede anche quella dell’attività.
«Immobile e senza moto, e fermo per l’eternità; mobile, in quanto si reca verso le cose» (Dionigi Aeropagita, Trattato dei Nomi divini, IX, 1, in Opere, Cedam, Padova 1956, p. 271).
Tutto ciò ribadisce il concetto che non esiste nessuna realtà che non sopraesista in Dio in modo eminente, sufficiente e trascendente.
In modo eminente, in quanto tutto ciò che c’è di perfetto in ogni realtà è una partecipazinoe di Dio senza le limitazioni proprie dell’essere creato. E così ciò che noi amiamo in ogni creatura altro non è che un riflesso di lui.
(JEAN DANIELOU, Dio e noi, Rizzoli, Milano 2009, versione Kindle, 29-30%)
Mi accodo alla citazione di Danielou per farvi leggere un passaggio di Franco Nembrini, insegnante, saggista e pedagogista italiano (classe ’55).
Come probabilmente saprete, tra il 2018 e il 2021 Nembrini ha curato il commento delle tre cantiche della Divina Commedia, in tre volumi illustrati in modo pazzesco dal fumettista e illustratore Gabriele Dell’Otto (classe ’73).
Vi consiglio caldamente di leggerveli tutti e tre (*)… non tanto per le rime di Dante (che sì, per carità, sono carucce), ma per i commenti di Nembrini – che, veramente, vi possono cambiare la vita.
(*) (nel caso siate spaventati dalla quantità di pagine, potete fare come me, che mi ero dato come regola di leggere un canto ogni domenica… in questo modo, si legge una cantica ogni 33 settimane)
A tal proposito, ecco cosa scriveva a commento del primo canto del Paradiso:
Mi ha sempre entusiasmato il fatto che il Paradiso si apra e si chiuda con questo verbo semplice e fondamentale: «move».
«La gloria di colui che tutto move», qui, all’inizio del cammino; «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Par XXXIII 145), all’ultimo verso, al culmine della visione di Dio.
Con questo verbo, collocato proprio all’inizio e alla fine, Dante ribadisce a gran voce che tutto quel che accade nel mondo, dal moto degli astri alla crescita delle piante, dall’alternarsi delle stagioni alle vicende della storia umana, nasce dal movimento originario, dall’amore di Dio che abbraccia Se stesso: Dio è eterno movimento, e il movimento dell’amore di Dio muove il mondo, la storia, la vita di ognuno.
(FRANCO NEMBRINI, dal suo commento a DANTE ALIGHIERI, Paradiso, Mondadori, Milano 2021, p.82)
4 • Che significa che Dio è una «persona»?
Sapete cosa accomuna l’ateismo e il teismo?
A prima vista, qualcuno potrebbe rispondere «nulla»: in un caso si crede in Dio, nell’altro no.
In realtà però – come accennavo prima quando parlavo del «dio dei filosofi» – il dio teista ha diversi punti di contatto con il materialismo ateo.
Il dio teista è “statico”.
Ha dato «una schicchera» all’origine dell’universo, e poi si è fatto da parte, ed ha lasciato che le biglie continuassero a colpirsi tra loro, per tredici miliardi di anni.
È la Causa Prima che ha messo in moto l’universo, dopodiché è rimasto lì a guardare.
Tra l’altro, secondo molti teisti, Dio non poteva non creare l’universo… sennò cosa ci sarebbe stato a fare lì, tutto solo, all’origine di tutto?
La creazione dell’universo era una necessità.
Il dio-orologiaio teista non avrebbe potuto fare altrimenti.
Il dio-architetto teista era “programmato” per creare l’universo.
Da lì in poi, è stato solo un ribalzare di biglie, l’una contro l’altra, che ci ha portato dai primi atomi di idrogeno, fino a me che sto scrivendo queste parole, e tu che le stai leggendo.
Come scriveva simpaticamente Chesterton (1874-1936):
Ciò che il cristianesimo contesta [a certo teismo] non è che esso nega l’esistenza di Dio, ma che nega l’esistenza dell’uomo.
(GILBERT KEITH CHESTERTON, Eretici, Lindau, Torino, 2010, p.84)
Il problema dei teisti è presto detto:
[…] il voler dimenticare, “per ragioni scientifiche”, che il mondo è stato creato da un Dio libero per collocarvi un uomo libero.
(TOMÁŠ ŠPIDLÍK, Una conoscenza integrale : la via del simbolo, Lipa, Roma 2010, p.48)
Il dio teista non è libero.
È un sistema di equazioni differenziali.
È un grande ingranaggio.
Ovviamente, neanche a dirlo, non ce l’ho con i teisti.
Così come non ce l’ho con gli atei.
Non finirò mai di ripetere che tutte le immagini distorte che gli uomini hanno di Dio sono conseguenze del peccato originale.
Dopo il peccato originale (che come dicevo in quest’altra paginetta del blog, non è il furto di una mela proibita in un giardino meraviglioso, ma la perdita di fiducia in Dio e l’offuscamento della sua immagine nel cuore dell’uomo) abbiamo iniziato a pensare che Dio fosse:
- un giudice severo
- un padrone cattivo
- un antagonista della nostra felicità
- un Grande Fratello gigante che ti spia mentre ti masturbi
- un orologiaio indifferente
- un architetto annoiato
Dopo il peccato originale, non riusciamo a non immaginare che Dio – in fondo in fondo – sia un essere grottesco.
Dopo il peccato originale, abbiamo fatto sempre più fatica a concepire un Dio personale.
Un Dio libero.
Un Dio che ama.
A questo punto, la domanda sorge spontanea: come si fa a riappropriarsi di un’immagine di Dio che corrisponda all’originale?
Eh.
Un bell’interrogativo.
Se qualcuno conosce la risposta, mi scriva su Instagram 🥸
Non prendiamoci in giro: non penso che esista una formula pre-confezionata.
Qualche mese fa però ho trovato uno spunto interessante, che forse può dare una “traiettoria” a questa ricerca.
Ero alle prese con la lettura di un libro (pubblicato postumo) contenente gli ultimi esercizî spirituali che il sacerdote spagnolo Pablo Domínguez Prieto (1966-2009) ha predicato prima di morire.
Secondo padre Pablo, la (ri)scoperta del volto di Dio passa da tre “tappe”:
- scoprire Dio come «Creatore»
- scoprire Dio come «Padre»
- scoprire l’intimità con Dio
Cosa significano queste espressioni?
Per rispondere, vi copio-e-incollo tre stralci dal libro:
Il primo frutto è scoprire Dio.
[…] Ebbene sì: scoprire Dio, cioè, scoprire la grandezza di Dio, la trascendenza di Dio, l’immensità di Dio, scoprire Dio Creatore.
Essere coscienti che tutto esiste, che noi esistiamo, che esistono l’universo, il sistema solare, la galassia; che esista tutto ciò che esiste, è incredibile.
Poter studiare cos’è un atomo, meravigliarci della struttura atomica o ammirare l’immensità dell’universo o la catena del DNA presente in ogni essere vivente, tutto questo è impressionante.
E lo è perché Dio lo ha creato, perché Dio è Creatore.
(PABLO DOMÍNGUEZ PRIETO, Fino alla cima : testamento spirituale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2014, p.22)
Il secondo passo è scoprire che Dio è Padre.
È chiaro che colpisce soltanto se uno prima si è reso conto di chi è Dio.
Scopriamo «che Dio è mio Padre, Dio è mio Padre…».
In tutti i vangeli sinottici, per esempio nel Vangelo di Matteo (6,9) leggiamo che, quando Gesù Cristo insegna a pregare ai discepoli, la prima cosa che dice è: «Voi dunque pregate così: Padre…».
[…]
Questa realtà della paternità di Dio diventa grandiosa solo se uno ha scoperto prima la grandiosità di Dio.
(PABLO DOMÍNGUEZ PRIETO, Fino alla cima : testamento spirituale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2014, p.24-25)
C’è una terza scoperta.
Ed è un salto ancora più spettacolare: non siamo solamente creature di Dio, non siamo solamente figli di Dio, ma, per puro amore di Dio, per pura gratuità, ci ha chiamati a condividere in maniera molto speciale, molto particolare, molto esclusiva, la sua intimità.
(PABLO DOMÍNGUEZ PRIETO, Fino alla cima : testamento spirituale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2014, p.27)
Sicuramente avrete notato che gli spunti di padre Pablo sono molto densi.
Come dicevo prima, non esistono «frasi fatte» per rispondere alle mie/tue/nostre domande su Dio.
In questa paginetta penso di aver già abusato della vostra pazienza, ma per chi volesse approfondire alcune delle questioni su cui si è soffermato il padre, vi rimando ad altre pagine del blog:
- Esiste Dio?
- È possibile che Dio si sia rivelato?
- Come si conciliano la libertà dell’uomo e la volontà di Dio?
- Che significa che Dio è Padre?
Conclusione
Dato che prima probabilmente non ho reso giustizia a san Tommaso, chiudo questa paginetta con una citazione del filosofo francese Fabrice Hadjadj (classe ’71) per “riabilitare” l’Aquinate:
[Come scriveva san Tommaso d’Aquino], più che conoscere, è meglio amare ciò che è più grande di noi.
Quello che conosciamo, lo riduciamo alla misura della nostra intelligenza: se la oltrepassa, la cosa conosciuta si ritrova sminuita.
Ma l’amore, muovendo dalla conoscenza di una parte emersa, si estende alla cosa tutta intera, fino a quanto in essa vi è di oscuro.
Quando si parla di Dio – chi sia, chi non sia, che volto abbia – c’è sempre il rischio di «ridurlo alla misura della nostra testa».
Lo fanno gli atei, quando dicono che Dio è «inconcepibile».
Lo fanno i teisti, quando pensano che Dio sia un «architetto».
Lo fanno i cristiani, quando si illudono di tracciare i confini entro i quali la Grazia di Dio agisce nel mondo.
Ecco.
Secondo me Hadjadj ha ragione: la conoscenza del volto personale di Dio, più che dalla «comprensione», passa dalla «contemplazione».
sale
(Primavera 2024)
- LUCAS FRANCISCO MATEO SECO, GIULIO MASPERO, Il mistero di Dio uno e trino : manuale di teologia trinitaria, EDUSC, Roma 2014
- JEAN DANIELOU, Dio e noi, Rizzoli, Milano 2009
- JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo: lezioni sul simbolo apostolico, Queriniana, Brescia 2018
- DANTE ALIGHIERI, Inferno (commentato da Franco Nembrini, illustrato da Gabriele dell'Otto), Mondadori, Milano 2018
- DANTE ALIGHIERI, Purgatorio (commentato da Franco Nembrini, illustrato da Gabriele dell'Otto), Mondadori, Milano 2018
- DANTE ALIGHIERI, Paradiso (commentato da Franco Nembrini, illustrato da Gabriele dell'Otto), Mondadori, Milano 2021
- THOMÁŠ ŠPIDLÍK, Una conoscenza integrale : la via del simbolo, Lipa, Roma 2010
- FABRICE HADJADJ, La fede dei demoni : ovvero il superamento dell'ateismo, Marietti, Genova 2010