Che significa perdonare?

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1 • Perdonare… cioè?

Che significa perdonare?

Dimenticare ciò che è accaduto?

Far finta di niente?

Sforzarsi di ignorare?

Pensare che – dopo tutto – il torto che ci è stato fatto non è poi così grave?

Stare in apnea?

Si può perdonare tutto?

imperdonabile

2 • Cosa NON significa «perdonare»?

Dunque.

Per parlare del perdono, penso che possa essere utile iniziare con una carrellata di esempî di cosa NON sia il perdono:

Vediamo questi casi uno per uno.

2.1 • Perdonare non significa «dimenticare»

Da quando esistono i social network, circola nel web un aforisma cinese che dice:

«Lo sciocco non perdona e non dimentica.
L’ingenuo perdona e dimentica.
Il saggio perdona ma non dimentica»

supermercato

Comunque.

A prescindere dalla provenienza.

Questo aforisma dice una cosa vera.

«Il saggio perdona ma non dimentica»… e questo perché perdonare non significa «dimenticare».

Anzi.

Ammesso che sia possibile sforzarsi di dimenticare qualcosa, la rimozione di un ricordo dalla memoria non guarisce le ferite.

E questa cosa non la dico io.

È sufficiente confrontarsi con un qualsiasi psicoterapeuta, psicologo o psicanalista per rendersi conto di quanto, molte volte, sono proprio le cose che non ricordiamo più a lasciare uno strascico nelle nostre vite.

Come scrive la psicoterapeuta e neuropsichiatra infantile Mariolina Ceriotti Migliarese:

[…] la cosa che ci ha ferito viene allora allontanata il più possibile dalla consapevolezza e va a rintanarsi nel nostro inconscio, dove può rimanere anche per molti anni come sopita. Come tutto ciò che giace nell’inconscio, rimane però inalterata, e malgrado possa apparirci ben custodita è sempre pronta a riemergere intatta quando l’occasione si presenterà, portando con sé tutti i sentimenti che la accompagnavano come se il tempo non fosse trascorso.
Molto del lavoro degli psicoterapeuti consiste proprio nel confronto con ferite antiche non perdonate, che stazionano nell’inconscio delle persone: farle emergere è il primo passo per poterle guarire.

(MARIOLINA CERIOTTI MIGLIARESE, La coppia imperfetta : e se anche i difetti fossero un ingrediente dell’amore?, Ares, Milano 2012, p.156)

2.2 • Perdonare non significa «assumere il punto di vista dell’altra persona»

Alcune persone cercano di innescare il perdono seguendo questo flusso di pensieri:

  1. mi metto nei panni della persona che mi ha fatto il torto;
  2. ripercorro mentalmente la scena dal suo punto di vista;
  3. provo a capire qual è la storia di questa persona, il suo background, il suo vissuto, le sue ragioni, etc.

Ad esempio: «Guglielmo ieri mi ha risposto in modo veramente sgarbato, è stato proprio indelicato! Però vabbè… mettiamoci nei suoi panni: nelle ultime settimane è un po’ in burnout … il lavoro è stressante… gli si è rotta la macchina… la relazione con Pina non va tanto bene… deve chiamare nuovamente l’idraulico… suo figlio è stato sospeso dalla scuola…».

Funziona questo metodo?

Nel suo ultimo libro, don Fabio Rosini risponde in questo modo:

Non è una cosa sbagliata, ma funziona veramente solo se quel che abbiamo subìto è roba facile.
Se uno è così calmo da analizzare i motivi dell’altro, vuol dire che è già oltre l’ostacolo, o ci sta andando.
Ma quando uno è colpito alla sagoma e sanguina interiormente, non gli va neanche di esaminare le possibili scusanti per quel che si è subìto, perché il dolore e lo strazio tolgono il respiro anche dopo tanto tempo.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.217)

Tra l’altro, questo metodo per innescare il perdono ha un problema di non da poco.

Ovvero:

  • Che succede se ti immedesimi nell’altra persona e continui a pensare che tu avresti agito diversamente?
  • Che succede se – pur sforzandoti di comprendere le sue motivazioni – ti sembrano comunque motivi stupidi?
  • Che succede se – nonostante tutto – tu continui a pensare che avresti agito diversamente?

Succede che le opzioni sono due – e sono una peggio dell’altra.

Opzione #1 Non perdoni la persona, e anzi, ti arrabbî ancora di più con lei:

[Ti] cresce ancor di più la rabbia, perché non è vero che se cerchi le giustificazioni le trovi di sicuro, anzi!
E magari, se le trovi, ti fanno inorridire.
Il male è illogico, è disordinato, e noi non riusciamo molte volte a spiegarci il nostro proprio male, figuriamoci quello altrui. Quando si sbatte contro il male, Cartesio e le idee chiare e distinte non servono a niente.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.218)

Opzione #2 Credi di perdonare la persona, ma in realtà la sminuisci:

Nello stesso tempo, però, perdonare non può assumere i toni di un’affermazione della nostra superiorità morale, come si potrebbe facilmente credere nel momento in cui affermiamo che l’altro non è «giustificabile»; il vero perdono è tale perché non umilia mai ed è capace di non richiamare continuamente l’altro alla sua posizione di debitore.

(MARIOLINA CERIOTTI MIGLIARESE, La coppia imperfetta : e se anche i difetti fossero un ingrediente dell’amore?, Ares, Milano 2012, p.159)

2.3 • Perdonare non significa «minimizzare il peso dell’offesa ricevuta»

Una variante del caso precedente, consiste nel cercare di auto-convincerci che il danno che ci è stato fatto «non è poi così grave», con frasi tipo:

  • «Vabbè, dai, c’è chi sta peggio!»
  • «A ben vedere, non ha fatto niente di così grave!»
  • «Nel mondo, c’è gente molto peggiore!»
  • «So’ ragazzate!»

Che dire?

È vero che nel mondo c’è chi sta peggio.

È vero che assolutizzare la sofferenza può essere pericoloso.

Ed anzi, a volte è necessario relativizzare il dolore per non lasciarsi prendere dalla tristezza.

Però, conosco molte persone che corrono il rischio di cadere nell’eccesso opposto.

Persone che quando sono arrabbiate con qualcuno, ingoiano il rospo.

Che stanno in apnea.

Che censurano tutte le emozioni negative.

Che si fanno venire un’ernia grande quanto un capodoglio.

Insomma.

Questa cosa del «tenere a bada le proprie emozioni» va presa con le pinze.

Altrimenti ci si fa del male.

Cioè.

Avete visto che fine ha fatto Anakin Skywalker a furia di reprimere le emozioni?

Non è che niente niente, il «metodo Jedi» di auto-censurarsi serve solo a farsi venire le palle blu?

Secondo questo modo di intendere, la cosa migliore sarebbe quella di negare tutte le emozioni che vengono risvegliate in noi dai torti subiti, cercando di neutralizzarne l’impatto. Perdonare coinciderebbe con il tenere sotto controllo le emozioni, negare i movimenti emotivi di tipi negativo suscitati in noi dall’offesa, e cercare di attivare risorse positive che contrastino con la negatività che ci assale.
Molte correnti spiritualistiche si ispirano a questa idea del perdono, nella quale il bene vince il male grazie alla sua superiorità, che noi dobbiamo alimentare volontariamente con tutte le nostre forze.
Per chi come me si occupa di inconscio, si tratta invece di una concezione perniciosa: la negazione delle proprie emozioni, infatti, è molto spesso tra le cause di disturbi psicologici significativi.

(MARIOLINA CERIOTTI MIGLIARESE, La coppia imperfetta : e se anche i difetti fossero un ingrediente dell’amore?, Ares, Milano 2012, p.157)

2.4 • Perdonare non significa «giustificare il male»

Ammettiamo di essere riusciti ad elaborare il dolore, e di essere pronti a «metterci nei panni» dell’altra persona per capire il suo punto di vista.

Ebbene, un conto è «capire».

Altro paio di maniche è «giustificare» il male:

Capire è uno dei passaggi fondamentali [del perdono]; il male però rimane male, l’offesa rimane offesa, il torto rimane torto e non può essere «giustificato».

(MARIOLINA CERIOTTI MIGLIARESE, La coppia imperfetta : e se anche i difetti fossero un ingrediente dell’amore?, Ares, Milano 2012, p.159)

Su questo punto non mi dilungo oltre; per chi volesse approfondire, lo rimando alla pagina «Che vuol dire “non giudicare”?» che avevo scritto nel 2020.

2.5 • Perdonare non significa «far tornare tutto come prima»

Alcune persone pensano che perdonare significhi sforzarsi di tornare ad avere con una persona lo stesso identico rapporto che avevano prima di subire il torto.

perdonare amici come prima

Anche questo può essere un abbaglio.

Infatti:

Non tutti i percorsi di perdono si concludono necessariamente con la riconciliazione, che va perciò tenuta come un obiettivo separato e specifico, che può, se lo si vuole, essere conseguito.
Per questo motivo si può compiere un buon percorso di perdono anche nei confronti di persone che ormai si trovano nel nostro passato, o con cui è più opportuno interrompere i rapporti.

(MARIOLINA CERIOTTI MIGLIARESE, La coppia imperfetta : e se anche i difetti fossero un ingrediente dell’amore?, Ares, Milano 2012, p.158)

2.6 • Perdonare non significa «seguire l’emotività»

Un ultimo equivoco da smontare.

Pensare che perdonare qualcuno sia questione di sentimentalismo o di emotività:

  • «Oggi sono dell’umore giusto: ti perdono!»
  • «Ieri ti avevo detto che ti perdonavo, ma oggi non me la sento più!»
  • «Oggi ho vinto la schedina alla SNAI, ti perdono di nuovo!»
  • «Non ho più voglia…»
  • «Me la sento…»
  • «Non me la sento…»

Il perdono non è questione di pancia.

Di stati d’animo.

Di umori.

Di ormoni.

E sapete perché?

Perché se fosse così, significherebbe che il perdono è qualcosa di aleatorio, incerto, imprevedibile come una «giornata no» o come «gli ormoni in fuorigioco».

Se il perdono si basa su «come mi sento in questo momento», c’è un problema infatti:

[…] non sarai possessore stabile di quella chimica occasionale che ti ha tirato fuori la lacrimuccia perdonista… quando la tempesta ormonale si placherà, seguirà una bonaccia fredda, forse cinica, di estraneità e disprezzo.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.218)

3 • Cosa significa perdonare?

Se perdonare non significa dimenticare…

Se perdonare non significa minimizzare o giustificare…

E se non si perdona seguendo l’emotività…

E neanche assumendo il punto di vista dell’altra persona…

…in che consiste il perdono?

Perdonare significa lasciare andare.

Lasciare andare il rancore.

Lasciare andare il risentimento.

Lasciare andare l’acredine.

Non tenere in considerazione il male che ci è stato fatto.

Rinunciare alla vendetta.

Rinunciare a rivincite, ripicche o rappresaglie di qualsiasi tipo.

Insomma.

Mica pizza e fichi.

~

Bene.

Prima di andare avanti vorrei fare un’analogia.

Secondo voi, quanto tempo occorre per comprare un fumetto su Amazon?

A lume di naso, è un’azione che richiede pochi secondi.

E per leggerlo?

Forse qualche ora.

E per disegnarlo, invece?

Mhh… beh, anche il fumettista più in gamba, penso che impieghi svariate settimane, se non mesi per:

  • preparare i bozzetti a matita delle varie tavole;
  • ripassarli con la china;
  • colorare;
  • aggiungere ombreggiature, effetti luminosi, e via dicendo…
super io

Ci sono azioni che si svolgono in un attimo, ed azioni che richiedono tempo.

E indovinate un po’ in quale dei due gruppi rientra il perdono?

Riuscire a perdonare davvero qualcuno, soprattutto quando ci ha profondamente offeso, non è il frutto di un singolo momento, ma la conseguenza di un processo lento e progressivo che comporta il rimaneggiamento di sfere profonde della personalità.
Per questo, riuscire a perdonare davvero ci trasforma profondamente, facendo di noi persone qualitativamente diverse.

(MARIOLINA CERIOTTI MIGLIARESE, La coppia imperfetta : e se anche i difetti fossero un ingrediente dell’amore?, Ares, Milano 2012, p.153)

Perdonare richiede tempo.

Richiede fatica.

Richiede di fare una scelta.

Non è un automatismo.

Richiede l’utilizzo del libero arbitrio.

Richiede che io:

  • abbia delle buone ragioni
  • orienti la mia volontà in una direzione
  • rimanga saldo in questo proposito nel tempo

4 • Sì, ma perché dovrei perdonare qualcuno?

Ho chiuso il precedente paragrafo scrivendo che, per perdonare, occorre avere delle buone ragioni.

E quali sarebbero delle «buone ragioni» per cui perdonare?

Cioè.

Chiarito (forse) in che consiste il perdono…

…rimane comunque aperta la domanda: «Ma perché dovrei perdonare qualcuno?.

Tanto più che – da quel che abbiamo detto – sembra che il perdono sia una faccenda piuttosto complicata.

~

Dunque.

Come sicuramente saprete, perdonare (veramente) qualcuno ha effetti positivi sulla psiche:

  • la riduzione dello stress;
  • il miglioramento del benessere psico-fisico;
  • il ritrovamento della pace;
perdonare vs vendetta

Dicevo…

  • il fatto che – nonostante la vendetta sembri molto appagante – in realtà è un sollievo molto breve (e dopo un po’ torna il rodimento di culo);
  • mentre invece il perdono dona la vera libertà interiore e la serenità che ne consegue.

Le cose che ho elencato sono vere.

Sono conoscenze che si basano sul buonsenso…

…ma che hanno trovato un felice riscontro anche nella psicoterapia (e infatti, il libro della Migliarese che citavo prima spiega queste cose a pagina 160).

Ma…

Senza spirito di polemica…

Mi verrebbe da chiedere…

…tutto qui?

Cioè.

Sono motivi abbastanza convincenti per perdonare qualcuno?

Per lasciare andare il rancore?

Per rinunciare alla vendetta?

Non so come la vedete voi.

Io la vedo così: quelli che ho elencato sono gli EFFETTI che sperimento dopo il perdono…

…ma se cerco di usarli come RAGIONI per perdonare, come MOTIVAZIONI per “mettere in moto” il processo di perdono, ciaone proprio:

  • «Dai su, perdona quel tuo collega molesto… dopo ti sentirai meglio!»
  • «Perdona quel tuo amico che ti parla male alle spalle… dopo sarai meno stressata!»
  • «Perdona tua moglie che ti ha tradito… ne ricaverai un benessere psico-fisico!»

Insomma, mi sembra un vicolo cieco.

Da dove si può partire allora?

Vorrei partire da quello che scrive a riguardo don Fabio Rosini.

Nel suo ultimo libro (che è una delle cose più belle che io abbia mai letto, e che vi dovete recuperare ad ogni costo) a un certo punto c’è questo passaggio:

Sia chiaro: questo è un libro scritto da un cristiano, qui non si insegnano tecniche di controllo della rabbia o psicologismi New Age.
Qui si tenta di indicare la via cristiana per la pienezza, che non è fatta di tecniche, ma di una relazione autentica con il Dio di Gesù Cristo.
Bisogna accettare umilmente una cosa molto seria: Dio è Colui che è ricco di misericordia, come dice san Paolo (cfr. Efesini 2,4), la misericordia è la sua natura, è la cosa di cui è ricco.
La misericordia è Dio stesso.
Se io non passo per Lui, produco atti dal respiro corto.
Dio ha misericordia di me e di chi ho da perdonare.
[…]
Se io cerco di perdonare te, pretendo, in realtà, troppo da me stesso.
Ma posso passare da Dio
.

(FABIO ROSINI, L’arte della buona battaglia : la libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2023, p.220-221)

Che significa quello che dice don Fabio?

Dunque.

san pietro perdonare settanta volte sette

Cosa risponde Gesù a Pietro?

«Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette»

(Matteo 18,22)

Nella cultura semitica dell’epoca, il linguaggio paradossale era molto in voga (e infatti Gesù lo utilizza spesso nel Vangelo)…

…però in questo caso, Gesù non sta esagerando.

A scanso di equivoci, infatti, subito dopo racconta una parabola:

Il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa».
Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari.
Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: «Restituisci quello che devi!».
Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò».
Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto.
Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?».
Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

(Matteo 18,23-35)

Di solito, quando si legge questa parabola, si pone l’accento sul fatto che il servo spietato tratti il suo compagno in modo diverso da come lui stesso è stato trattato dal padrone.

Non è una chiave di lettura sbagliata.

Anzi, serve a far sì che chi sta leggendo il brano si faccia un esame di coscienza, interrogandosi sulla propria capacità di perdono.

Secondo me, però, questo non è l’aspetto più importante.

E qual è?

Probabilmente avrete sentito almeno una volta nella vita a quanto corrispondono le cifre di denaro menzionate nella parabola:

  • il servo deve al padrone 10.000 talenti = 60 milioni di giornate lavorative = circa 6 miliardi di euro
  • il compagno deve al servo 100 denari = 100 giornate lavorative = tre mesi di stipendio = 4500 euro

Qual è il punto?

Il punto è che il servo perdonato assicura al padrone: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa».

«Ogni cosa»?

Il servo perdonato ha perso il contatto con la realtà.

Crede DAVVERO di potersi rimboccare le maniche e, giorno dopo giorno, mettere da parte quella cifra.

Esce dalla casa del padrone a testa alta, certo che – prima o poi – con un po’ di impegno e una buona dose di olio di gomito, restituirà quel debito.

Ma come fa un servo a mettere da parte sei miliardi di euro?

~

Cosa significa questa parabola?

Fuori di analogia, è come se il servo stesse dicendo a Dio: «Abbi pazienza e diventerò buono con le mie forze!».

Ma nessuno diventa buono con le proprie forze.

Nessuno.

Per poter provare ad essere un po’ meno cattivi, occorre prima arrendersi di fronte alla dolcezza, la tenerezza e alla grazia di Dio.

Occorre arrendersi di fronte al fatto che c’è un padrone di manica larga che mi condona un debito che io non posso ripagare (cfr. DON FABIO ROSINI, da una catechesi delle Dieci Parole che ho ascoltato il 5 maggio 2022).

~

Perché perdonare allora?

C’è da capitalizzare questa pazienza di Dio.
Con la misura con cui noi misuriamo sarà misurato a noi in cambio.
E bisogna stare un po’ attenti a dire «basta, non ti do più una possibilità», perché arriverà certamente il giorno in cui servirà anche a noi di avere un’altra possibilità.
C’è un assegno in bianco che Dio firma a tutti e che ci mette un pochino tutti nel santo timore di chiudere i conti.

(FABIO ROSINI, Solo l’amore crea : le opere di misericordia spirituale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2016, versione Kindle, 78%)

Non è questione di grandi sforzi o di chissà quale impegno.

Quando Gesù chiede di perdonare «settanta volte sette» non vuole far leva sulla coerenza dei discepoli, o sui loro sensi di colpa.

Vuole semplicemente metterli di fronte ad un’evidenza: «Se mettete un limite alla vostra capacità di perdono, significa che state basando il perdono sulle vostre forze, cioè state perdonando in apnea; invece dovreste usare come “combustibile” per il perdono la grazia che vi do Io, cioè la leggerezza di cuore che nasce dalla consapevolezza che vi è stato condonato un debito di sei miliardi di euro».

E infatti il filosofo, matematico e teologo russo Pavel Florenskij (1882-1937) scriveva che:

Quando c’è una qualsiasi limitazione nel perdono, manca completamente la forza cristiana e il rapporto non è spirituale.
Ecco perché il Signore risponde all’Apostolo: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Matteo 18,22); cioè senza limiti di sorta, senza fine, totalmente […].

(PAVEL FLORENSKIJ, da «L’amicizia», undicesima lettera in La colonna e il fondamento della verità : saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, p.433)

Conclusione

Chi non perdona, non ama.

Punto.

Senza «se» e senza «ma».

Amare è perdonare.

E perdonare è amare.

sale

(Estate 2024)

Fonti/approfondimenti

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