Premessa • Gesù predicava bene e razzolava male?
Gesù nel Vangelo dice di «non giudicate, per non essere giudicati» (Mt 7,1; cfr. anche Lc 6,37).
E che dire di Giovanni il Battista, che quando gli si presentano i farisei e i sadducei per battezzarsi, sbotta così:
«Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?»
(Mt 3,7)
…camomilla?
La cosa buffa, però, è che Gesù nel Vangelo ha pure la faccia di bronzo di dire:
«In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista»
(Mt 11,11)
…
…come mai tutta questa incoerenza? (Si tratta di incoerenza?)
Che vuol dire «non giudicare»?
Che non si può giudicare «nulla»?
Con l’invito a «non giudicare», Gesù voleva cancellare i concetti di «bene» e «male»?
1 • Odiare il peccato
La tradizione ebraica (che i cristiani hanno ereditato nell’Antico Testamento) è piena di affermazioni molto forti, quando si parla dell’atteggiamento da assumere verso il male ed il peccato:
Odiate il male, voi che amate il Signore:
egli custodisce la vita dei suoi fedeli,
li libererà dalle mani dei malvagi.
(Sal 97,10)
Odiate il male e amate il bene
e ristabilite nei tribunali il diritto;
(Am 5,15)
Il giusto odia la parola falsa,
l’empio disonora e diffama.
(Pro 13,5)
[C’è] un tempo per amare e un tempo per odiare.
(Qo 3,8)
Con l’arrivo del cristianesimo, l’odio per il peccato non diminuisce di un millimetro.
Il peccato è un male, una ferita nel cuore dell’uomo, che Gesù Cristo desidera guarire (come provavo a spiegare qui, qualche mese fa).
E come il medico deve conoscere la malattia per poter seguire la terapia corretta, così è necessario che il peccato sia chiamato per nome perché Dio possa guarirlo.
La tradizione della Chiesa è stata sempre molto chiara su questo punto, dal trentatré dopo Cristo fino ai nostri giorni…
2 • Amare il peccatore
Ho scritto che con l’avvento del cristianesimo l’odio per il peccato non diminuisce di un millimetro.
C’è una cosa che però cambia radicalmente…
…lo sguardo sul peccatore:
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
(Gv 8,1-11)
Gesù non legittima ciò che ha fatto la donna.
Gesù sa bene che ciò che ha fatto la donna (e – chiaramente – anche ciò che ha fatto l’uomo, che ha consumato l’adulterio con lei) è gravissimo.
Tant’è che, al termine del breve dialogo, le dice:
Va’ e d’ora in poi non peccare più.
(Gv 8,11)
La donna ha peccato…
…
…Gesù però è di una dolcezza paterna: mentre gli altri puntano le loro dita accusatorie su di lei, lui è colmo di riguardi e delicatezza nei suoi confronti.
Non dice una parola; non le punta gli occhi addosso. È pieno di pudore: tiene lo sguardo a terra. Non vuole metterla in imbarazzo, più di quanto non abbiano già fatto gli scribi e i farisei.
Solo quando se ne vanno tutti gli altri, Gesù le rivolge la parola: non aggiunge la sua voce agli schiamazzi degli altri, ma cerca un dialogo personale con lei.
In Gesù Cristo, Dio stesso insegue la «pecorella smarrita», l’umanità sofferente e perduta.
(BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus Caritas est, 12)
3 • Odiare il peccato e amare il peccatore? Un’assurdità?
La maggior parte dei cristiani ha imparato pappagallescamente a catechismo che bisogna:
«Odiare il peccato e amare il peccatore»
Ma è possibile riuscirci?
O si tratta di una distinzione ai limiti di un’operazione chirurgica con bisturi laser?
Clive Staples Lewis (1898-1963), negli anni ’50 del secolo scorso diceva così:
Molti, infatti, immaginano che perdonare i nemici voglia dire convincersi che dopotutto essi non sono poi così cattivi, mentre è evidentissimo che lo sono. Facciamo un passo avanti. Nei miei momenti di maggiore lucidità non solo io non mi considero una brava persona, ma so di essere una persona pessima. Penso ad alcune delle cose che ho fatto con orrore e disgusto. Quindi, a quanto pare, mi è consentito aborrire e odiare alcune delle cose che fanno i miei nemici.
Ora che ci penso, ricordo che molto tempo fa degli insegnanti cristiani mi dicevano che bisogna odiare le azioni dei cattivi, ma non odiare i cattivi; odiare, dicevano, il peccato ma non il peccatore.
Per lungo tempo questa mi sembrò una distinzione assurda, di lana caprina: come si possono odiare le azioni di un uomo, senza odiare quell’uomo?
Ma anni dopo mi accorsi che c’era un uomo con cui avevo agito così per tutta la vita: io stesso.
Per quanto detestassi la mia pusillanimità, la mia presunzione o la mia avidità, continuavo ad amarmi; e questo non mi era mai riuscito difficile. In realtà, odiavo quelle cose proprio perché mi amavo.
Poiché mi amavo, mi addolorava scoprire di essere capace di farle.
Il cristianesimo, quindi, non ci chiede di ridurre di un atomo l’odio che proviamo per la crudeltà e la falsità.
Odiarle è bene; non una parola di ciò che ne abbiamo detto va ritirata. Ci chiede però di odiarle così come le odiamo in noi stessi: dolendoci che un individuo abbia fatto certe cose, e sperando che egli, se è possibile, si emendi prima o poi in qualche modo, e ridiventi umano.
(CLIVE STAPLES LEWIS, Il cristianesimo così com’è, Adelphi, Milano 2011, p. 151)
4 • Quindi che vuol dire «non giudicare»?
Qualche anno fa leggevo un libro di Franco Nembrini (classe ’55) sul tema dell’educazione, e su tutti i rischi che ruotano intorno alla sfida educativa.
Affrontando il tema del giudizio scolastico (voti alti, voti bassi, promozione, bocciatura) scriveva queste righe:
Non può non venirci in mente, affrontando un argomento come questo, la frase di Gesù, «Non giudicate e non sarete giudicati» (Lc 6,37): la valutazione sembrerebbe il contrario, la valutazione è giudicare. In che senso Gesù ha invitato a non giudicare?
[…]
Cerchiamo di capire meglio.
Giudicare è l’atto più umano che ci sia: le bestie non giudicano, gli uomini sì. Quindi noi siamo chiamati a giudicare, e la valutazione è il nome che nella scuola si dà a un atto di giudizio: l’affermazione di un valore attraverso degli strumenti. Mi chiedevo perché allora Gesù dice nel Vangelo che non dobbiamo giudicare – anche perché in altri momenti dice che dobbiamo giudicare, e san Paolo dice «Vagliate ogni cosa e trattenete ciò che vale» (1Ts 5,21): non giudicate per non essere giudicati. Come per dire: state attenti, perché le somme le tira Dio.
Il compito vostro – nel rapporto tra voi uomini – è giudicare, ma non nel senso di condannare. State attenti che il giudizio non sia mai tra voi una chiusura, un tirare una riga, un recedere dalla speranza. Non permetterti mai di dire: «È finita, con questo non ci sarà mai niente da fare». Ma non dobbiamo fare confusione: non vuol dire che uno alla fine non boccia o non dà il quattro; vuol dire che se anche bocciamo o diamo un quattro lo facciamo veramente per fare compagnia all’altro. Anche il quattro può aver dentro un’apertura, anzi se do un quattro questo mi spinge a far di tutto per capire in che cosa, come l’altro può fare un passo.
(FRANCO NEMBRINI, Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare, Ares, Milano, 2011, p. 180-181)
«Giudicare» è umano.
«Giudicare» è necessario.
«Giudicare» è sano.
Al contrario, la mancanza di riferimenti per formulare giudizi sicuri sul bene e sul male è una vera e propria malattia dell’anima…
…che ha conseguenze molto concrete:
Conclusione
Se qualcuno è egoista, Gesù mi invita ad amarlo, nonostante il suo egoismo (e non “in virtù del fatto” che è un egoista).
Se qualcuno ruba, Gesù mi invita ad amarlo, nonostante sia un ladro (e non “in virtù del fatto” che è un ladro).
Se qualcuno tradisce sua moglie, Gesù mi invita ad amarlo, nonostante sia un fedifrago (e non “in virtù del fatto” che è un fedifrago).
Se qualcuno ha commesso un omicidio, Gesù mi invita ad amarlo, nonostante abbia commesso un crimine per il quale è giustamente in carcere.
Potete proseguire a piacere il discorso, sostituendo con un peccato a caso (che si tratti di menzogne, invidie, accidie, gelosie, «tutto-ciò-che-riguarda-il-sesto-comandamento», chiusure di cuore, calunnie, ingratitudini, bestemmie, etc.)
Il peccatore è sempre “da amarsi”.
Ma il peccato rimane sempre un male.
…
Come riporta un documento del Concilio Vaticano II, pubblicato nel 1965:
Il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di vedere, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un dialogo.
Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l’amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose.
(Cost. past. Gaudium et spes, 28)
Cioè, per dirla con le parole di Reginald Garrigou-Lagrange (1877-1964), teologo domenicano francese:
La Chiesa è intransigente sui principi, perché crede, è tollerante nella pratica, perché ama. I nemici della Chiesa sono invece tolleranti sui principi, perché non credono, ma intransigenti nella pratica, perché non amano. La Chiesa assolve i peccatori, i nemici della Chiesa assolvono i peccati.
(RÉGINALD GARRIGOU-LAGRANGE, Dieu, son existence et sa nature, Parigi, 1923, p. 725)
sale
(Autunno 2020)
- FRANCO NEMBRINI, Di padre in figlio: conversazioni sul rischio di educare, Ares, Milano 2011
- CLIVE STAPLES LEWIS, Il cristianesimo così com'è, Adelphi, Milano 1997
- GIOVANNI PAOLO II, «Dives in Misericordia» (enciclica sulla misericordia divina)