Cos’è l’ideologia gender?

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1 • Confusione «made in Italy»

In Italia, c’è un sacco di confusione intorno al mondo LGBT.

Sicuramente – rispetto ad altri paesi del mondo – l’Italia è un po’ più riluttante ad accogliere i «venti della modernità»

transizione di genere

In Italia ci sono molte persone:

  • che pensano che le parole «gay» e «trans» siano sinonimi;
  • che non sanno quale sia la differenza tra «orientamento sessuale» ed «identità di genere»;
  • che non sanno che in molti paesi del mondo, sono state cambiate le definizioni di «uomo» e «donna» nei dizionarî;
  • che non conoscono il fenomeno delle transizioni (e de-transizioni) sui minori;
  • che non sanno che all’estero ci sono uomini che «si identificano come donne» per accedere agli spogliatoi femminili… o per essere rinchiusi nelle carceri femminili.

In soldoni: in Italia ci sono molte persone che non hanno assolutamente idea di cosa sia l’ideologia gender.

~

In Italia però c’è una ristretta cerchia di persone che sa benissimo cos’è l’ideologia gender:

  • «È un’espressione usata dalle persone transfobiche che sono contrarie ai diritti dei gay!»
  • «È un termine discriminatorio e offensivo!»
  • «È una parola che usano i cattolici più bigotti ed integralisti per demonizzare il mondo LGBT!»

Ecco.

Le frasi che ho appena riportato sono un esempio di «reductio ad Hitlerum».

Come spiegato in questo mazzo di carte, la «reductio ad Hitlerum» è quella fallacia logica che consiste nello squalificare la persona con/di cui si sta parlando paragonandola ad Hitler, ad un fascista, al Ku Klux Klan o a qualche gruppo che è oggetto di biasimo, per screditarne le argomentazioni.

E chi è che usa questa fallacia logica?

Beh.

In Italia ci sono molti influencer, youtuber, tiktoker che hanno sposato la «causa LGBT», e che:

(Se non conoscete il personaggio delle due clip video da cui ho preso le citazioni, beati voi… se lo conoscete invece, mi dispiace per voi)

2 • Qual è la differenza tra l’omosessualità e la disforia di genere?

Vorrei partire dalla definizione di due parole:

  • omosessualità
  • disforia di genere

Come sicuramente saprete, con la parola «omosessualità» si intende l’attrazione emozionale romantica e/o sessuale verso individui dello stesso sesso… ovvero:

  • un uomo attratto da altri uomini
  • una donna attratta da altre donne
persona omosessuale

La «disforia di genere» invece è il malessere percepito da un individuo che non si riconosce nel proprio sesso fenotipico di nascita… ovvero:

  • un uomo che si sente a disagio per il fatto di essere uomo
  • una donna che si sente a disagio per il fatto di essere donna

~

Ora.

Sulla prima definizione (quella di «omosessualità») non ho nulla da ridire.

Sulla seconda invece ho una perplessità.

Provo ad esporla.

Non so se lo sapete, ma nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali si legge che la disforia di genere può essere diagnosticata in un bambino quando ha almeno 6 delle seguenti caratteristiche:

  • Un forte desiderio di essere o l’insistenza di essere di un altro genere (o di un genere alternativo diverso dal genere a loro assegnato)
  • Una forte preferenza nel vestirsi con abiti tipici del sesso opposto e, nelle ragazze, resistenza all’utilizzo di abbigliamento tipicamente femminile
  • Una forte preferenza per i ruoli di genere inverso nel gioco di finzione o nel gioco di fantasia
  • Una forte preferenza per giocattoli, giochi e attività stereotipiche dell’altro genere
  • Una forte preferenza per compagni di gioco dell’altro genere
  • Un forte rifiuto di giocattoli, giochi e attività tipiche del genere che corrisponde al sesso di nascita
  • Una forte avversione verso la loro anatomia sessuale
  • Un forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie che corrispondono al loro genere percepito

(MANUALE MSD, Incongruenza di genere e disforia di genere, sottovoce relativa alla Diagnosi, consultata il 2 dicembre 2023)

Avete notato niente di strano?

L’ecologista radicale nonché femminista Silvia Guerini ha commentato in questo modo la voce del manuale:

Basterebbe leggere questi criteri per comprendere quanto siano intrisi di stereotipi sociali e quante persone adulte, se fossero bambine e bambini oggi, sarebbero definite “disforiche”.
[…]
Gli adulti dovrebbero tentare di comprendere quanto possono essere vari i comportamenti e le preferenze, dovrebbero capire che sia essere maschio, sia essere femmina, hanno entrambi una vasta gamma di personalità, preferenze e possibilità.

(SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.65)

Qual è il problema del modo in cui viene diagnosticata la «disforia di genere»?

Il problema è che i criterî per diagnosticarla si basano su stereotipi culturali.

In che senso?

Provate a pensarci:

  • Quali sono i «giocattoli di un genere» e quelli dell’altro genere?
  • Il calcio è «da maschi» e la danza è «da femmine»?
  • La Playstation è «da maschi» e il Nintendo è «da femmine»?
  • E quali sono i «ruoli di un genere» e quelli dell’altro genere?
  • Il manager è un ruolo «da maschio» e la segretaria è un ruolo «da femmina»?
  • Il meccanico è un ruolo «da maschio» e la maestra è un ruolo «da femmina»?
  • Nel contesto fluido in cui viviamo, che senso hanno queste domande?

Avete capito dove voglio andare a parare?

Il problema è che se sei un bambino e ti piace mettere vestiti di colore rosa, un medico – stando alla definizione del manuale – potrebbe diagnosticarti la «disforia di genere»…

…mentre invece è molto più probabile che tu non abbia un problema col tuo sesso fenotipico… semplicemente, ti piace il colore rosa.

Se sei una bambina e ti piace giocare a Mortal Kombat, a FIFA o a Magic the Gathering, un medico – stando alla definizione del manuale – potrebbe diagnosticarti la «disforia di genere»…

…mentre invece è molto più probabile che tu non abbia un problema col tuo sesso fenotipico… semplicemente, ti piacciono quei giochi.

Se sei una femminuccia e ti piace giocare con i maschietti, un medico – stando alla definizione del manuale – potrebbe diagnosticarti la «disforia di genere»…

…mentre invece è molto più probabile che tu non abbia un problema col tuo sesso fenotipico… semplicemente, ti piace giocare con i maschietti.

Se sei un maschietto e non ti piace il calcio o il pugilato, un medico – stando alla definizione del manuale – potrebbe diagnosticarti la «disforia di genere»…

…mentre invece è molto più probabile che tu non abbia un problema col tuo sesso fenotipico… semplicemente, non ti piacciono il calcio o il pugilato.

Insomma.

Se un bambino o una bambina si scosta dagli stereotipi culturali, parte all’unisono il coro del mondo LGBT: «sei nato nel corpo sbagliato!».

Riprendo dal libro di Silvia Guerini:

Di fronte a un disagio che può avere più cause e sfaccettature, si afferma che i bambini e le bambine sono nati nel corpo sbagliato.
Disturbi alimentari, autismo, depressione, disagi adolescenziali o omosessualità, lesbismo e comportamenti che non rientrano negli stereotipi, tutto questo non viene più preso in considerazione, svanisce e viene trasformato in quella che viene definita “disforia di genere”, una diagnosi che non esisteva prima del 2013, anno in cui è stata introdotta nella quinta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM-V). Questo passaggio di per sé equivale a una patologizzazione e a una medicalizzazione.

(SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.64-65)

3 • Cos’è (veramente) l’identità di genere?

Passiamo ad una terza definizione – quella di «identità di genere».

Secondo Wikipedia, l’identità di genere è «il senso di appartenenza di una persona a un genere (maschile, femminile, non binario), con cui detta persona si identifica» (cfr. anche DEANA F. MORROW, LORI MESSINGER, Sexual Orientation and Gender Expression in Social Work Practice, 2006, ISBN 0231501862, dove a pagina 8 si legge: «Gender identity refers to an individual’s personal sense of identity as masculine or feminine, or some combination thereof»).

Anche in questo caso, ho una perplessità.

Forse non è una definizione circolare… ma mi sembra un giro di parole un po’ fumoso: nello spiegare cosa significhi «identità di genere», si dice semplicemente che è il senso di appartenenza ad un «genere».

mi identifico in una donna

Il problema degli attivisti LGBT è che confondono i concetti di «sesso» e di «genere»:

  • il sesso è un dato biologico – le parole «uomo» e «donna» non sono categorie sociali, ma biologiche; queste due parole si usano per differenziare da un punto di vista sessuale gli individui della specie homo sapiens. Questa differenza è riscontrabile scientificamente – ad occhio nudo nella stragrande maggioranza dei casi… o al più con le analisi del DNA. Il sesso di una persona si «osserva», non si «assegna alla nascita» (cfr. SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.5-6)
  • il genere invece è un costrutto sociale – si basa su elementi culturali che – “giusti” o “sbagliati” che siano – hanno contribuito a formare nei secoli i concetti di «mascolino» e «femminile». Questi due concetti però sono cambiati tantissimo nel corso della storia, e continueranno a cambiare (Come scrive la scrittrice e giornalista Meghan Murphy (femminista anche lei, classe ’78): «Nessuno nasce con un ‘genere’. Nasciamo maschio o femmina. Il genere ci viene imposto con la nostra socializzazione», MEGHAN MURPHY, in Transgenderismo, cancellazione politica del sesso e capitalismo, Collectif anti-genre, 2021, www.partage-le.com, trad.it. in Il Covile, n.595, www.ilcovile.it)

Stando a quello che ho appena detto, proviamo a dare una definizione migliore del termine «identità di genere»:

Quella che viene chiamata «identità di genere» è probabilmente la percezione di un individuo di come la propria personalità legata al sesso e influenzata dall’ambiente si confronta con le persone dello stesso sesso e di sesso opposto.
In altre parole, è un’autovalutazione del proprio grado stereotipato di mascolinità o femminilità e viene erroneamente confuso con il sesso biologico.
Questa funzione deriva da un’incapacità culturale di comprendere l’ampia distribuzione di personalità e preferenze all’interno dei sessi e una loro possibile sovrapposizione.

(SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.10)

Non so se sono riuscito ad essere abbastanza chiaro…

…avete capito il paradosso?

Il paradosso è che per tutto il Novecento ci sono state “battaglie culturali” per distruggere tutti gli stereotipi sociali legati al «maschile» e al «femminile» – dalle femministe ai sessantottini, da «women power» a so-un-cavolo-io…

…mentre gli attivisti LGBT – inventando il concetto di «identità di genere» – hanno riaffermato gli stereotipi maschili e femminili!

Ora scriverò la fatidica frase che fa indignare il mondo LGBT, gli attivisti woke, i fruitori di serie tv su Netflix e buonaparte del microcosmo degli youtuber italiani: una donna è un essere umano adulto di sesso femminile.

Questo è un fatto biologico.

E questo fatto biologico non deve essere confuso con il fatto che una persona – in quanto donna – è “costretta” a rientrare in un pattern di caratteristiche, comportamenti e qualità personali pre-determinati dal suo sesso.

Non confondiamo la «biologia» con il «determinismo materialista».

A me sembra che nel mondo ci sia una grande confusione su questi temi.

E non mi riferisco solo alla popolazione, e al «cittadino medio»

…sono le istituzioni ad essere gravemente confuse.

Non so.

C’è la British Medical Association che per non offendere i trans definisce le donne come «persone con il buco davanti» («people with the front hole»).

C’è il team di Maternity Services del Brighton and Sussex University Hospital che a febbraio 2021 annunciava: «vogliamo che tutti coloro che utilizzano i nostri servizi si vedano riflessi nella lingua che utilizziamo. Ciò significa non solo donne incinte, ma anche persone trans incinte, non binarie e agender. L’approccio che abbiamo scelto per un linguaggio inclusivo è additivo piuttosto che neutrale» (come si può leggere a questo Tweet… nel caso invece quel Tweet venga rimosso, lascio anche una screen di backup che potete vedere qui). Questo approccio (condiviso con altri ospedali e associazioni di ostetriche del nord America) prevede alcune modifiche del lessico… ad esempio:

  • sostituire i termini «mamma in attesa» o «donna che partorisce» con il più generico «persona che mette al mondo»
  • sostituire il termine «allattamento al seno» (breastfeeding) con il più generico «allattamento al petto» (chestfeeding)
  • e via dicendo…

Vi ho citato solo due esempî ma (come vedrete tra un paio di paragrafi) ce ne sono molti altri.

Non sono semplici tendenze linguistiche, è un preciso processo che vuole cancellare la dimensione della procreazione e la dimensione della sessualità del corpo femminile.

(SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.7-8)

4 • Cos’è l’ideologia gender?

Arrivati a questo punto, vorrei spendere due parole sulla differenza tra l’omosessualità e la (cosiddetta) identità di genere.

Come dicevo nel secondo paragrafo, l’«omosessualità» è l’attrazione emozionale romantica e/o sessuale verso individui dello stesso sesso.

Questa definizione si basa sul «principio di realtà».

In che senso?

Nel senso che se qualcuno è attratto da una persona dello stesso sesso, stiamo parlando di qualcosa che (prima ancora di interrogarci sulla liceità o meno, sulla moraliltà o meno, su «giusto o sbagliato») è reale.

È una datità.

Quei sentimenti – giusti o sbagliati che siano – ci sono.

Al contrario, se io dico «mi sento una donna, QUINDI sono una donna», sto sconfinando dal principio di realtà a un principio ideologico.

Vi ricordo infatti che è la realtà che determina il pensiero, e non il pensiero a determinare la realtà.

Se io «mi sento» una donna, questo NON fa di me una donna.

Una donna è un essere umano adulto di sesso femminile.

Cosa intendono allora i cristiani (e non solo loro, come vedremo nel prossimo paragrafo) quando parlano di «ideologia gender»?

Con questa espressione si intende una mentalità che nasce dalla violazione del principio di realtà.

Ripeto ciò che ho detto nei precedenti paragrafi:

  • un conto è la biologia
  • un conto è la cultura

Ovvero:

  • un conto è il mio corpo, che ha una natura intrinsecamente sessuata, che fa di noi «uomini» e «donne» dalla nascita alla morte;
  • altro contro è il mio comportamento, che può o meno discostarsi da stereotipi che sono definiti «maschile» e «femminile» in base ad una gaussiana di comportamenti tipicamente adottati dagli uomini e dalle donne; ma il discostarmi da questi comportamenti non mi rende «meno uomo» o «meno donna»… al massimo, mi rende «meno mascolino» e «meno femminile».

Per chiarire un po’ meglio quello che sto dicendo, vi lascio qui sotto due reel tratti dal documentario «What Is a Woman?» dell’attivista e podcaster americano Matt Walsh (classe ’86), pubblicato nel 2022:

(Potete vedere la clip in formato più esteso a questo link… ma se riuscite, vedetevi il documentario per intero, perché merita)

Il secondo reel è questo:

(Anche in questo caso, se volete vedere la clip in formato più esteso, la trovate a quest’altro link)

~

Nel 2022 è uscito il controversissimo spettacolo SuperNature dello stand-up comedian britannico Ricky Gervais (classe ’61); a un certo punto del monologo, Gervais dice queste parole:

La psicologia, la psichiatria, le neuroscienze sono ancora agli inizi e sappiamo ancora così poco del cervello.
E 150 anni fa non sapevamo nulla.
Erano solo… erano tutte supposizioni, vero?
Tutto era una malattia mentale.
Se non eri un uomo cristiano bianco, eterosessuale, sposato… se ti allontanavi troppo dallo standard… «malattia mentale!»
Omosessualità? «Malattia mentale!» Ti mettevano in manicomio a vita o, peggio, ti torturavano.
Donne rimaste incinte fuori dal matrimonio? «Malattia mentale! Manicomio a vita!»

Oggi conosciamo molte più cose.
Siamo più tolleranti.
Ecco…
Penso che stiamo andando troppo in là nella direzione opposta, perché oggi niente è considerato una malattia mentale.
Tutto è una «sindrome»…
…una «dipendenza»…
…o una «preferenza».
Potrei farmi togliere le gambe, mettere le ruote, identificarmi come una «sedia a rotelle»…
…e se dici che sono un malato mentale, sei un bigotto!

(RICKY GERVAIS, da SuperNature, 2022)

mi identifico in un pensionato

Chiudo questo paragrafo con un altro passaggio del libro di Silvia Guerini (l’ho già detto che dovete leggerlo per intero?):

Non si può cambiare sesso, si può cambiare solo il genere, solo la propria rappresentazione esteriore.
Una rappresentazione portata anche all’estremo degli stereotipi femminili con una riduzione e feticizzazione di quelli che vengono socialmente considerati come comportamenti e abbigliamenti femminili e con un’oggettivizzazione e feticizzazione del corpo della donna.
Ma una «donna trans» è un uomo e lo sarà sempre, a prescindere da ormoni, macellazioni chirurgiche, interventi di chirurgia estetica: identificarsi come qualcosa non è abbastanza per renderti quel qualcosa, un sentire soggettivo non cambia le realtà fisiche nel e del mondo, non cambia il vissuto e il sentire di esperienze incarnate.

(SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.8)

5 • Se ti schieri contro l’ideologia gender sei un fascista?

Come dicevo nel primo paragrafo, chi si schiera contro l’ideologia gender è etichettato come:

  • fascista
  • nazista
  • bigotto
  • ultra-cattolico
  • o insulti simili

Stando a questi insulti, sembrerebbe che gli unici oppositori alle derive LGBT provengano da:

  • un’unica area politica: la destra
  • un’unica area culturale: le persone cristiane

In realtà, ancora una volta, la realtà è più complessa di queste schematizzazioni. Tra le persone che contestano l’ideologia gender infatti ci sono:

Facciamo una rapidissima carrellata.

5.1 • Le femministe radicali

Tagliando con l’accetta, il macrocosmo del femminismo può essere diviso in due parti:

  • il transfemminismo (o «femminismo liberal») è quello più mainstream: nelle battaglie a favore dei diritti delle donne, questo gruppo si schiera a favore della prostituzione, dell’utero in affitto, di tutto ciò che ho spiegato nei paragrafi precedenti circa la cosiddetta identità di genere. Riducendo all’osso la questione: secondo il transfemminismo, una “donna trans” (cioè un uomo che si identifica in una donna, a prescindere dal fatto che si sia sottoposto ad interventi chirurgici e ormonali) è una donna.
  • il femminismo radicale invece è (apparentemente) una minoranza: questo secondo gruppo si oppone a tutte le cose che ho scritto nel precedente punto. Riducendo all’osso la questione: secondo il femminismo radicale, una “donna trans” rimane un uomo, a prescindere da tutti gli interventi chirurgici a cui si sottopone o dal fatto che «si senta una donna».

Avete mai sentito l’acronimo T.E.R.F.?

Questo acronimo – che sta per «Trans-exclusionary radical feminist» – è usato a mo’ di insulto per indicare le femministe di questa seconda categoria.

Non so se vi ricordate, ma una delle persone più famose (se non la più famosa) ad essere stata etichettata come T.E.R.F. è stata la scrittrice britannica J. K. Rowling.

modalita easy

(*) (A tempo perso, vedetevi questa breve clip video in cui un’atleta americana si lamenta del fatto che i trans le rubano i primi posti sul podio)

Comunque.

Per chi volesse approfondire la questione, lo rimando a questo video del canale YouTube «Il Mondo Nuovo 2.0» (nel dubbio, vi consiglio di iscrivervi al canale senza esitazioni).

Sta di fatto che le femministe radicali non sono «di destra»… e la maggior parte di loro non sono neanche cattoliche.

Eppure sono contrarie all’ideologia gender.

5.2 • Associazioni di omosessuali

Non so se lo sapevate, ma esistono molte persone gay, lesbiche, bisessuali, che non amano essere associate al mondo LGBT.

Anzi, non solo esistono… ma più vado avanti con le mie “ricerche”, più mi rendo conto che queste persone costituiscono la maggioranza nel «mondo omosessuale».

All’estero, esistono addirittura delle associazioni di omosessuali schierate contro l’ideologia gender, come:

Domanda delle domande: ma perché questi gay e lesbiche si schierano contro il mondo LGBT?

Perché…

[…] all’estero gran parte del mondo omosessuale non vuole essere associata alla medicalizzazione e all’indottrinamento dei minori né alla supremazia dell’identità di genere sul sesso biologico, supremazia che danneggia, oltre alle donne e ai bambini, gli stessi omosessuali, ormai considerati bigotti e transfobici se rifiutano di includere il sesso opposto nella loro attrazione sessuale e sentimentale.

(ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.31)

Anche in questo secondo caso, se qualcuno volesse approfondire la questione, lo rimando a quest’altro video del canale YouTube «Il Mondo Nuovo 2.0».

5.3 • I detransitioners

Chi sono i «detransitioners»?

Avete presente l’iter psicologico, farmacologico, clinico e chirurgico che passa sotto il nome di «transizione di genere»?

Sì, esatto, sarebbe il percorso per il cosiddetto «cambio di sesso».

Di fatto però, non è che il sesso cambi… si tratta semplicemente di una serie di interventi farmacologico-chirurgici molto invasivi, nei quali:

  • il corpo viene dapprima sottoposto a terapie ormonali
  • dopodiché si procede ad una serie di interventi chirurgici: l’evirazione (per gli uomini che vogliono diventare donne), la mastectomia – cioè l’asportazione chirurgica delle mammelle (per le donne che vogliono diventare uomini)
  • e via dicendo.

Bene.

Non so se sapete che in molti stati del mondo, le transizioni di genere sui minorenni sono legali (sul tema delle transizioni dei minori, tornerò tra un paio di paragrafi).

E sapete che succede se un/a ragazzo/a delle medie prende una decisione del genere, in una età nella quale la sua coscienza non è ancora del tutto formata – e anzi, inizia a entrare in quel casino che è l’adolescenza?

Succede che il rischio di fare qualche sciocchezza è molto alto.

Questo è il caso dei «de-transitioners», ovvero tutte quelle persone che – dopo aver portato avanti durante l’adolescenza un percorso di transizione di genere con l’ausilio di terapie ormonali irreversibili ed interventi chirurgici – si sono pentite della loro scelta.

Per chi volesse scoperchiare il vaso di Pandora e leggere alcune storie di questa vera e propria galleria degli orrori, vi suggerisco di andarvi a leggere qualche testimonianza nel Subreddit dedicato ai detransitioners.

Queste storie purtroppo rimangono nel “sottobosco” del web, perché se fossero portate all’attenzione pubblica sarebbe un bel guaio per gli attivisti LGBT:

Se la maggioranza degli italiani fosse esposta alle innumerevoli storie di de-transizione che si leggono su Reddit e Twitter e alle notizie sugli uomini negli spazi e negli sport femminili all’estero, gran parte dell’opinione pubblica si schiererebbe indubbiamente contro l’ideologia gender, contro il self-id e contro la medicalizzazione dei minorenni.
L’attivismo LGBT lo sa bene, ed è per questo che si impegna così tanto a introdurre i propri dogmi ideologici sotto colorate bandiere arcobaleno e mascherati da lotta per i diritti civili, per la libertà e per l’autodeterminazione, puntando tutto sulla divisione tra vittime oppresse (chiunque si identifichi nell’alfabeto LGBTQIA+), alleati (il resto della popolazione, che deve riconoscere il proprio privilegio e validare ogni richiesta degli oppressi) e malvagi oppressori (coloro che non si adeguano al dogma).
D’altronde solo un mostro potrebbe essere contro “uguali diritti per tutti” e contro “l’inclusione dei più deboli”.
Ogni opposizione viene immediatamente etichettata come fascista, reazionaria, medievale, transfobica, bigotta, TERF e altri epiteti costruiti apposta per screditare e demonizzare l’avversario ideologico.

(ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.41)

Comunque.

Dato che anche in questo caso, il tema è molto complesso, vi rimando ad un ulteriore video del canale YouTube di Elisa Boscarol.

5.4 • Estremizzare chi esprime dubbî e contrarietà

Tirando le somme.

Ci sono femministe contrarie all’ideologia gender.

Gay e lesbiche contrarî all’ideologia gender.

Trans pentiti contrarî all’ideologia gender.

E lo sapete perché?

Questa non è una questione “di destra” o “di sinistra”: qui si tratta di proteggere la realtà oggettiva, la libertà di pensiero e di espressione e i diritti delle donne e dei bambini.
Qui si tratta di ribadire l’ovvio, ovvero che gli uomini sono uomini e le donne sono donne, una verità molto semplice, ma che per gli ideologi gender costituisce la più alta forma di eresia.

(ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.42)

6 • L’ideologia gender nella scuola italiana… e nelle linee guida dell’UNESCO

Uno degli aspetti sui quali (secondo me) la scuola italiana è abbastanza carente, è la questione del bullismo.

E non lo dico «per sentito dire».

Non ricordo se l’avevo già raccontato qui sul blog, ma il primo anno di liceo avevo due compagne di classe – Flavia e Annalia – che mi hanno preso di mira per tutto l’anno, e mi prendevano in giro perché mi vestivo male, ero un po’ timido ed ero molto impacciato…

bullismo

Comunque.

Dicevo.

La lotta al bullismo è uno dei «cavalli di Troia» più usati dalla propaganda LGBT.

In che senso?

Come sicuramente saprete, molte scuole inseriscono nella propria offerta formativa incontri/seminarî/iniziative per sensibilizzare professori e studenti sul tema del bullismo.

Spesso e volentieri, in questi progetti vengono coinvolti attivisti LGBT (*) che – col pretesto di combattere le discriminazioni – insegnano ai ragazzi:

  • che essere «uomo» e «donna» non è un dato biologico, ma una sensazione soggettiva interiore;
  • che il sesso di una persona non è oggettivo, ma è qualcosa che (come il nome) ci viene «assegnato alla nascita», e che può essere cambiato;
  • che oltre agli uomini e alle donne, esistono «persone non binarie» e centinaia di altre sfumature che si moltiplicano di giorno in giorno: persone che si identificano in un gatto, in un lupo, in un robot, etc.

(*) (Non sarà una grande trasmissione di divulgazione scientifica, ma a tempo perso vedetevi questo servizio di Quarta Repubblica: «La propaganda transgender entra nelle scuole» (20 febbraio 2023))

Che ruolo hanno i professori in tutto questo?

Spesso sono gli stessi professori, opportunamente addestrati da appositi corsi di formazione (*), a propagandare l’ideologia gender ai loro alunni.
I più ignari sono semplicemente convinti di educare i ragazzi al rispetto e all’inclusione (d’altronde le parole chiave sono proprio queste), mentre i più ideologizzati seguono con orgoglio guide come Classe Arcobaleno (**), adattamenti italiani di manuali realizzati da associazioni LGBT statunitensi.
In queste guide viene usato il linguaggio neutro (asterischi e schwa) e viene spiegato, contro ogni principio di realtà, che “ognun* decide la propria identità di genere autonomamente” e che “qualsiasi persona può identificarsi con tutto ciò che la fa stare bene e quindi la sua identità di genere non può essere messa in discussione”.

(ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.32)

(*) (Un esempio di questi corsi: “IO, TU, NOI. Valorizzare le differenze a scuola: percorsi e strumenti” (corso di formazione per docenti degli istituti di istruzione secondaria di primo e secondo grado) patrocinato tra l’altro dall’UE e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali)

(**) (“CLASSE ARCOBALENO” (Una guida per agire in supporto a studenti lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex e altre identità nella tua scuola) – Adattamento italiano del manuale Safe Space Kit realizzato dal GLSEN, associazione LGBT statunitense dedicata alla “creazione di scuole LGBTQ-inclusive”)

~

Ora.

Se questi corsi/incontri/seminarî fossero iniziative di singoli presidi che hanno perso la bussola… sì, mi preoccuperebbe un po’, ma rimarrebbe un fenomeno limitato.

In realtà, ciò che mi fa salire un brividino di inquietudine è che sembra che anche «ai piani alti» ci sia un po’ di confusione:

Tutto questo non dovrebbe stupirci, soprattutto se esaminiamo le linee guida dell’UNESCO riportate nella International technical guidance of sexuality education (*).
Basti pensare che nella versione del 2009 l’espressione “identità di genere” compariva due volte e nel 2018 quarantaquattro.
In questa guida delle Nazioni Unite, dove vengono fornite definizioni ideologiche di sesso, genere e identità di genere, gli obiettivi di apprendimenti dai 5 agli 8 anni consistono nel “definire la differenza tra sesso e genere e riflettere su come ci si sente riguardo al proprio sesso e genere”.

(ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.33)

(*) (UNESCO “International technical guidance on sexuality education – An evidence-informed approach” (2018))

nascere nel corpo sbagliato

~

Sapete cos’è la cosiddetta «carriera alias»?

La carriera alias è un protocollo scolastico secondo il quale gli studenti possono comparire – nei documenti interni della scuola (*) – con un nome diverso da quello anagrafico (**).

(*) (cioè solo nel circuito che segue questo protocollo)

(**) (Adottata inizialmente da qualche università, la carriera alias è stata poi impiegata da molte scuole secondarie di primo e secondo grado: a questo link potete trovare un elenco completo delle scuole che prevedono questa possibililtà; a quest’altro link invece trovate il regolamento completo della «carriera alias»)

Tradotto in linguaggio LGBT, significa che gli studenti utilizzano il cosiddetto self-id, ovvero l’autodeterminazione di genere.

E cosa comporta il self-id?

Comporta che se Roberto «si identifica in una donna» e decide di presentarsi come Giulia, la nuova identità scelta da Roberto dovrà essere “presa per buona” da tutte le persone all’interno della scuola: dagli altri studenti, dai professori, dal personale scolastico, etc.

Tutte le persone dovranno rivolgersi a Roberto chiamandolo «Giulia» e dovranno usare pronomi femminili quando parlano di/con lui.

Roberto potrà inoltre accedere a tutti gli spazî privati femminili della scuola – bagni e spogliatoi.

E che succede se qualcuno non è d’accordo con questa trovata?

Chiunque osi opporsi viene sottoposto alla gogna mediatica e tacciato di transfobia e discriminazione, com’è accaduto a novembre 2022 ad un professore in un liceo di Roma, rifiutatosi di fingere che una sua alunna fosse un maschio e per questo denigrato in lungo e in largo dalla stampa nazionale e da prominenti politici e attivisti “progressisti”.
[…]
Il ruolo dei media mainstream nel ridurre al silenzio l’opposizione al gender è cruciale.
Da diversi anni, infatti, la stampa sponsorizza a spron battuto la carriera alias e i “bagni genderless” nelle scuole descrivendo queste misure come “conquiste di civiltà” e come “passi avanti sul cammino dei diritti”, tacciando ogni forma di obiezione come retrograda, bigotta e discriminatoria.
Si capisce che, in un clima simile, tutti quegli insegnanti, dirigenti scolastici e studenti che non condividono l’ideologia dell’identità di genere vengono spinti ad autocensurarsi pur di non essere additati come bigotti transfobici medievali – nel migliore dei casi – o di subire ripercussioni nella loro carriera lavorativa e scolastica – nel peggiore.

(ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.33-34)

Forse qualcuno penserà che io sia un esagerato.

«Cioè, dai, Sale… non ti sembra di esagerare se parli di ripercussioni nella carriera lavorativa e scolastica?»

Mhh.

Purtroppo, temo di non esagerare.

A titolo di esempio, vi riporto il caso della linguista italiana Vera Gheno (classe ’75)

Se questo nome vi suonasse familiare… sì, esatto: Vera Gheno è stata l’attivista che ha proposto la trovata dello «schwa» per riferirsi indiscriminatamente a persone di ambo i sessi: «ciao a tuttə», «gentilə studentə», «dove siete andatə?», etc.

Bene.

Vi riporto qui sotto un messaggio che Vera Gheno ha scritto su Instagram in risposta a un commento ricevuto:

Vedo che sei uno studente di dottorato. Mo’ vado a scambiare due parole con i tuoi superiori. Perché sai, nell’ambiente universitario ci conosciamo un po’ tuttə ❤️. Saranno felici di sapere che un loro dottorando scrive queste calunnie di una loro collega.

(VERA GHENO, da questo messaggio che ha scritto su Instagram)

Penso di avere un vuoto di memoria…

Qual era quel periodo storico del secolo scorso in cui c’era un certo regime politico, e se qualcuno aveva idee contrarie a chi era al potere, perdeva il proprio posto di lavoro e rischiava di fare una brutta fine?

7 • Le transizioni dei minori

Da quanto detto fin qui, converrete con me che dietro alle bandierine arcobaleno del mondo LGBT si nascondono tanti aspetti controversi.

Vorrei dedicare quest’ultimo paragrafo al tema che – tra i tanti – presenta il maggior numero di criticità: la questione della transizione dei minori.

Anche in questo caso – dato che il discorso è molto complesso – mi limiterò a toccare in modo marginale alcuni problemi.

Per chi poi volesse approfondire ulteriormente, lo rimando a quest’altro video del «Mondo Nuovo 2.0» e alla bibliografia lì riportata.

~

Il primo aspetto controverso che mi è saltato all’occhio è la superficialità con cui viene affrontata la questione.

Anzi.

Facendo un discorso più generale.

A me sembra che un po’ tutti questi temi vengano spesso trattati in modo superficiale:

  • disforia di genere
  • omosessualità
  • sessualità

Molte volte – sia tra amici, sia nel dibattito pubblico – ho notato che quando si prova a esprimere un’obiezione o una critica su questi temi, si grida subito all’«omofobia» e la discussione muore sul nascere:

discussioni sull omosessualita

La sessuologa belga Thérèse Hargot (classe ’84) scriveva queste righe, sulle quali secondo me bisognerebbe riflettere:

Con il pretesto che sarebbe un giudizio diretto su delle persone, non si può più pensare e riflettere sull’omosessualità in quanto tale.
Evidentemente, dal momento in cui viene posta e dichiarata come costitutiva dell’identità, essa diventa immutabile e intoccabile in nome del rispetto delle persone.
Criticare l’omosessualità equivale allora a rimettere in causa tutti gli omosessuali.
Opporsi all’acquisizione di nuovi diritti equivale a discriminare le persone.
E di colpo, sempre secondo la medesima concezione filosofica per cui una persona è la somma dei suoi atti e dei suoi pensieri, si dirà del critico che è “omofobo” e lo si penalizzerà socialmente e giuridicamente per la sua mancanza di rispetto.
Il dibattito pubblico è sclerotizzato, la via è libera per applicare un’agenda politica stabilita minuziosamente.
C’è del genio in questo.

(THÉRÈSE HARGOT, Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), Sonzogno, Milano 2017, versione Kindle, 32%)

Un esempio di quanto descritto da Thérèse Hargot è offerto dalla Società Italiana di Pediatria:

[…] già nell’estate del 2022, la Società Italiana di Pediatria (SIP) in una dichiarazione pubblica (*) si è schierata apertamente a favore dell’approccio affermativo sui minori, definendo gatekeeping e transfobia qualsiasi tentativo da parte di un professionista della salute mentale di indagare su possibili altri problemi che potrebbero influenzare la disforia di genere. Secondo i pediatri italiani, infatti, è lo “stress di vedersi negato il diritto all’affermazione di genere” a causare sofferenza psicologica in questi ragazzini, i quali dovrebbero godere della massima autonomia nel prendere decisioni irreversibili sul proprio corpo, sulla propria fertilità e sulla propria salute.

(ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.37)

(*) (La Società Italiana di Pediatria sostiene apertamente il modello affermativo per i minorenni disforici (4 agosto 2022))

Se in Italia i pediatri sono stati capaci di fare questo scivolone, vi lascio immaginare la situazione all’estero, dove i percorsi di transizione di genere sono sostenuti da società mediche di fama internazionale: l’American Psychological Association, l’American Endocrine Society, e una serie di altri enti che seguono pedissequamente i diktat ideologici della World Professional Association for Transgender Health – una delle più importanti associazioni internazionali che sponsorizza la «causa trans» (cfr. ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.37-38).

~

Un secondo aspetto controverso delle transizioni sui minori è il dibattito sui bloccanti della pubertà.

Per farla breve (ma vi rimando al video che ho linkato a inizio paragrafo, e alla bibliografia a fondo pagina), quando ad un bambino viene diagnosticata la disforia di genere, in alcune nazioni è possibile sottoporre il suddetto bambino a terapie ormonali che interferiscono con lo sviluppo sessuale del bambino (*).

(*) (In questo modo, qualora il bambino/a volesse effettuare il cosiddetto intervento di transizione di genere, avrebbe dei tratti sessuali e dei lineamenti più vicini a quelli dell’altro sesso)

Per quanto il discorso possa sembrare surreale e distopico… no, non mi sto inventando nulla.

Anzi, recentemente anche l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha dato il nulla osta per queste terapie.

Neanche a dirlo, anche in questo caso l’informazione mainstream italiana è a senso unico; molti quotidiani nazionali presentano la questione in questi termini:

«Se a vostro figlio/a viene diagnosticata la disforia di genere…»

  • «…o lo sottoponete quanto prima alle terapie ormonali per il blocco della pubertà, in modo da prepararlo alla transizione di genere»
  • «…oppure crescerete un bambino infelice, che quando diventerà più grande, non potrà sopportare la sofferenza psicologica di vivere “nel corpo sbagliato” e si suiciderà»

Quella che ho appena descritto è la cosiddetta fallacia logica del «falso dilemma»: si verifica quando una frase è costruita in modo da far sembrare all’interlocutore che esistano solo due opzioni da considerare – una è palesemente un’opzione da scartare, mentre l’altra è quella che il giornalista vorrebbe farvi scegliere (come al solito, se volete approfondire la questione delle fallacie logiche, vi rimando a questo mazzo di carte):

L’uso off-label dei bloccanti per la disforia di genere è stato autorizzato dall’AIFA [Agenzia Italiana del Farmaco] nel 2019, senza troppi squilli di trombe mediatici, ma nel solo mese di gennaio 2023 sono stati pubblicati diversi articoli e post volti a descrivere questi farmaci – che comportano a tutti gli effetti la castrazione chimica e il blocco dello sviluppo – come “salvavita” (ad esempio, in questo articolo di Wired), seguendo alla lettera la narrazione “transizione o suicidio” che da quasi un decennio ormai viene propagandata dall’attivismo LGBT internazionale.
In particolare – con toni pietistici e melodrammatici – viene fatta leva sulla retorica del suicidio per convincere l’opinione pubblica della necessità di medicalizzare i ragazzini “nati nel corpo sbagliato”, i quali altrimenti soffrirebbero le pene dell’inferno.
I quotidiani nazionali più seguiti presentano titoli come “Farmaci bloccanti della pubertà, non garantirli vuol dire negare un aiuto a chi ne ha bisogno” (questo articolo del Fatto Quotidiano) e “Sbaglia chi attacca le terapie, ci hanno salvato la vita” (questo articolo di Repubblica), descrivendo i bloccanti – che, ricordiamo, sono gli stessi farmaci usati per la castrazione chimica dei criminali sessuali – come l’unica soluzione per salvare la vita di questi “bambini trans”.
Si insiste in particolar modo sul bullismo e sulla discriminazione subiti da questi poveri bambini, con il palese scopo di far empatizzare il lettore a tal punto da accettare come ovvia l’unica soluzione proposta, il blocco farmacologico della pubertà.

(ELISA BOSCAROL, A che punto siamo in Italia, in SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.35)

Anche in questo caso, la realtà è leggermente più complessa di come la presentano i mass media:

Verso i genitori dubbiosi dubbiosi per il percorso di transizione la pressione dei medici è forte: “Preferite una figlia morta o un figlio vivo?”, facendo leva su presunti rischi elevati di suicidio, ma in realtà al contrario, studi a lungo termine (per un periodo maggiore di 10 anni) dimostrano aumenti del tasso di suicidio, ospedalizzazione psichiatrica e qualità della vita inferiore dopo gli interventi chirurgici di transizione (*).
«Da 10 a 15 anni dopo la riassegnazione chirurgica, il tasso di suicidi di coloro che avevano subito un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso è salito a 20 volte quello dei coetanei comparabili (**).

(SILVIA GUERINI, Dal corpo neutro al cyborg postumano : riflessioni critiche all’ideologia gender, Asterios, Trieste 2022, p.51)

(*) (Dhejne et al. 2001: Simonsen et al. 2016; Kuhn et al. 2009; link per approfondire)

(*) (Jennifer Bilek, Big Pharma Exploits and Monetizes “Trans Identity” in The 11th Hours, link per approfondire)

A tal proposito, una delle storie che più mi ha colpito è quella di Chloe Cole, una ragazza americana a cui a 9 anni è stata diagnosticata la disforia di genere; seguendo la suggestione che la bambina fosse «nata nel corpo sbagliato», i suoi genitori hanno iniziato a sottoporla ai trattamenti ormonali per il blocco della pubertà; poi hanno avviato l’iter per la transizione di genere, e Chloe è stata sottoposta ad una doppia mastectomia – cioè, le sono stati rimossi chirurgicamente entrambi i seni – finché… arrivata all’età di 18 anni, Chloe si è resa conto di aver fatto una cavolata che le ha rovinato la vita – con la complicità dei genitori incoscienti che l’hanno accompagnata in questo percorso, e dei medici che hanno perpetrato questa macellazione (se volete saperne di più, in questo video trovate qualche informazione in più; se invece masticate un po’ di inglese, Chloe ha anche una sua pagina su Wikipedia).

Un paio di anni fa, un’altra storia che mi aveva fatto gelare il sangue è quella di Scott Newgent, una de-transitioner che racconta gli amari retroscena del percorso di transizione di genere (per la sua intervista completa, vi rimando al documentario «What is a woman?» di cui parlavo al paragrafo 4).

Conclusione

Viviamo in un secolo buffo:

  • ci battiamo per i diritti delle donne… ma poi diciamo che «gli uomini possono diventare donne»;
  • urliamo lo slogan «no uterus, no opinion»… ma poi diciamo che la Rowling è omofoba quando dice che le «donne trans» in realtà sono uomini;
  • ci lamentiamo del fatto che le donne sono discriminate… ma poi non battiamo ciglio quando i trans salgono sul gradino più alto del podio nelle competizioni atletiche femminili;
  • siamo pronti a batterci per i «diritti» di qualcuno… ma spesso non riusciamo a cogliere la differenza tra un diritto e un capriccio;
  • confondiamo le parole «uomo» e «donna» – che sono dati biologici oggettivi – con l’omologazione agli stereotipi culturali di «maschile» e «femminile».

Visto che ho scritto una paginetta piena di affermazioni controverse e fastidiose, chiudo con un’ultima citazione controversa e fastidiosa di papa Francesco:

Purtroppo, i tentativi compiuti negli ultimi decenni di introdurre nuovi diritti, non pienamente consistenti rispetto a quelli originalmente definiti e non sempre accettabili, hanno dato adito a colonizzazioni ideologiche, tra le quali ha un ruolo centrale la teoria del gender, che è pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali.
Tali colonizzazioni ideologiche provocano ferite e divisioni tra gli Stati, anziché favorire l’edificazione della pace.

(PAPA FRANCESCO, dall’Udienza al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, 8 gennaio 2024)

sale

(Primavera 2024)

Fonti/approfondimenti

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