1 • Il lieto fine
Nel nostro contesto culturale:
- se qualcuno crede in Dio, viene percepito come un po’ naïf;
- se prega, è un sempliciotto;
- se spreca tempo ad andare a messa poi, bisognerebbe aiutarlo a trovare un modo più costruttivo per passare la domenica mattina.
Viene da sé, quindi, che anche quando si parla della provvidenza, le persone tendano a storcere il naso.
Ricordo che il mio professore di lettere del secondo anno di liceo (quello ateo e anticlericale di cui parlavo nell’episodio zero di Osteria der Vaticano su Spotify) ce l’aveva a morte con Alessandro Manzoni e con i Promessi Sposi, per tutte le volte in cui nel romanzo si parlava della provvidenza.
Era incazzato nero quando, al termine del romanzo, Manzoni scriveva che:
Renzo, alla prima, rimase impicciato.
Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore.
Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.
(ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi, Newton Compton Editori, Roma 2010, versione Kindle, 70%)
Molte persone (anche credenti) quando pensano alla provvidenza, sono infastidite.
Cioè… provate a pensarci…
- avere fiducia nel fatto che Dio guida ogni evento della nostra vita e della storia verso il bene…
- anche quando non ne comprendiamo immediatamente il senso…
- avere la certezza che nulla accade per caso, ma tutto è ricapitolato in un disegno divino di amore e sapienza…
La provvidenza, secondo alcuni, sembra suggerire l’idea che:
- non ci si debba impegnare nella vita;
- sia sufficiente aspettare che Dio risolva tutti i problemi;
- non ci sia bisogno di rimboccarsi le maniche, perché (prima o poi) arriverà il lieto fine per tutti.
Che poi – a proposito di «lieto fine» – non so se è un caso, ma ho notato che negli ultimi 20-30 anni sono aumentati a dismisura i film senza un lieto fine.
Sembra che agli artisti moderni non piaccia proprio, il lieto fine.
Oh, intendiamoci.
Non ho un campione di dati abbastanza grande per dimostrare quel che sto dicendo.
La mia è una suggestione… un sospetto… che mi è iniziato a venire qualche anno fa.
Dovete sapere che a me piacciono molto gli horror (sia film che videogiochi 🤓).
C’è stato un periodo – quando frequentavo l’università – in cui facevo maratone estive di film horror con i miei cugini.
In quegli anni, notavamo che più i film horror erano recenti, più era probabile che il finale non fosse un lieto fine… cosa che mi infastidiva un sacco e mi faceva rosicare.
Perché?
A costo di passare per un candido sempliciotto: a me piace quando un film horror ti spaventa (anche tanto), ti fa venire la pelle d’oca, ti fa fare tanti jumpscare, ti fa accendere la luce prima di entrare in ogni stanza per una settimana…
…però poi vorrei che il film finisse bene.
È un po’ come andare sulle montagne russe: possono andare anche tanto in alto e fare tutti i giri della morte che ti pare… ma poi mi devono riportare a terra, al sicuro.
Per di più, molto spesso ho notato che i registi volevano deliberatamente inserire un finale amaro, anche quando non ce n’era alcun motivo.
Film in cui i protagonisti si sono impegnati per sconfiggere il cattivo di turno (serial killer o entità maligna) usando astuzia, forza fisica, intelligenza, coraggio, creatività, collaborazione, conoscenze specifiche dell’anatomia del nemico…
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In molti film con epiloghi inutilmente catastrofici, sembra che il regista si sia servito di un deus ex machina, ma al rovescio.
Tra l’altro, ho preso come esempio i film horror, ma penso che il discorso si possa estendere a tanti altri generi di film.
Anzi… penso che il discorso non valga solo per i film, ma anche per serie tv, libri, fumetti, e tanti altri media narrativi.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: «Ma scusa, Sale, che c’è di male se un’opera non finisce bene? Tanto è una storia finta!».
Mhh.
Non sono sicuro di essere d’accordo.
Un secolo fa, lo scrittore e giornalista britannico Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) scriveva provocatoriamente che:
La gente si domanda perché il romanzo sia il genere letterario più popolare, perché si leggano più romanzi che testi scientifici o metafisici. La ragione è molto ovvia: semplicemente perché il romanzo è più vero.
(GILBERT KEITH CHESTERTON, Eretici, Lindau, Torino, 2010, p.154)
I romanzi sono molto più veri dei testi scientifici.
Una storia d’amore è molto più vera di una pubblicazione accademica sull’entanglement quantistico.
Un romanzo è più vero di un testo scientifico perché, pur non descrivendo “fatti oggettivi”, racconta verità universali dell’esperienza umana: l’amore, il dolore, la speranza, il sacrificio.
Se la scienza analizza il mondo esterno con rigore, il romanzo esplora l’anima, cogliendo quelle sfumature di emozioni e relazioni che ci rendono (realmente) umani.
Ecco.
Ora non vorrei fare la mammina iper-protettiva, che vuole negare che nel mondo ci sia anche il male (e tanto male).
Però i romanzi (e tutti i media narrativi) – ci piaccia o no – educano ad osservare ed interpretare la realtà.
E secondo me, oggi, ci sono fin troppe storie senza un lieto fine che sono alimentate dallo sguardo cinico che tanti artisti hanno sulla realtà.
Storie che – a loro volta – alimentano nelle persone che ne fruiscono uno sguardo ancor più cinico sulla realtà.
Insomma.
Non so voi.
Ma io ho tanti amici e amiche che avrebbero veramente bisogno di sentirsi raccontare più spesso storie con un lieto fine.
2 • Un Dio discreto
Come ho detto altre volte qui sul blog, la maggior parte dei miei amici non ha un rapporto molto felice con la religione:
- alcuni di loro non credono in Dio
- altri non sanno se ci credono o meno
- altri ancora non sanno esattamente in cosa credono
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Comunque.
Dato che le persone snob che guardano la religione “con la puzza sotto il naso” mi stanno a cuore…
…proviamo a prendere sul serio l’obiezione di chi dice che la Bibbia è un libro fantasy.
Lo è davvero?
Secondo me, no.
Attenzione però.
Non rispondo di «no» perché credo in Dio.
E non rispondo di «no» perché penso che la Bibbia vada interpretata in modo letterale, parola per parola: non lo penso (per chi volesse approfondire, lo rimando alla pagina intitolata «Che significa che la Bibbia è vera?»)
E non rispondo di «no» perché penso che l’aggettivo «fantasy» abbia un valore dispregiativo: non lo penso: il fantasy è il mio genere letterario preferito.
Rispondo di no perché – quando penso al fantasy – mi vengono in mente:
- creature mitologiche
- eventi spettacolari, pirotecnici, prodigiosi
- eroi epici, protagonisti coraggiosi, con un destino straordinario
- incantesimi, artefatti magici e poteri sovrannaturali
- dèi che interagiscono con i protagonisti del romanzo (ad esempio, nella saga di Percy Jackson di Rick Riordan… o nel libro American Gods di Neil Gaiman… o nel Silmarillion di J.R.R. Tolkien)
E non mi sembra di trovare niente di simile nella Bibbia.
Anzi.
Quando la si paragona ad altri testi sacri e mitologie del mondo antico, la Bibbia è molto diversa.
È vero che nella Bibbia si parla di Dio… ma se ne parla in modo molto particolare.
In molte tradizioni religiose, le divinità influenzano gli eventi storici, comandano battaglie, agiscono direttamente nella storia, fulminano gli infedeli.
Il Dio della Bibbia invece agisce con una delicatezza sorprendente.
È discreto.
La sua azione è sfumata.
Non è mai invadente.
Sì, per carità, ci sono alcuni testi biblici un po’ più “miracolosi” (alcuni racconti eziologici del Pentateuco come la confusione delle lingue durante la costruzione della torre di Babele… o il diluvio universale… o testi simili) o “teofanici” (vedi l’Apocalisse).
Ma la maggior parte delle volte in cui compare nella Bibbia, Dio sceglie di operare sullo sfondo della storia umana, rispettando la libertà e i ritmi delle vicende terrene.
In molti libri biblici, la presenza di Dio si riduce al “timore” nei suoi confronti, a quel rispetto profondo per la Trascendenza che permea l’esperienza del popolo d’Israele.
Il Dio di Israele non è un burattinaio onnipresente che tira i fili, né un eroe che risolve ogni problema.
Piuttosto, Dio è un’eco costante, una forza che guida senza imporsi.
Quando interviene, lo fa con un tocco delicato, sempre rispettoso dei tempi e delle scelte umane.
Per questo dico che la Bibbia non è un fantasy: perché più che «parlare di Dio», parla della relazione dell’umanità con un Dio che spesso si nasconde nelle trame della storia, lasciando spazio al mistero e alla libertà.
(Per questo paragrafo, cfr. PIETRO BOVATI, Vie della giustizia secondo la Bibbia : sistema giudiziario e procedure per la riconciliazione, EDB, Bologna 2014, p.16)
3 • Come si concilia l’esistenza della provvidenza con la presenza del male nel mondo?
Fatte le dovute premesse nei precedenti paragrafi, veniamo al succo del discorso.
Spesso corriamo il rischio di pensare che la provvidenza sia una sorta di “scudo magico” che ci protegge da dolori, croci, lutti e ogni altro cetriolo della vita.
Ebbene.
Questa non è la provvidenza di cui parla Gesù di Nazaret.
E qual è la provvidenza di cui parla?
Per capirlo occorre aprire il Vangelo (tanto per cambiare).
All’interno del Discorso della montagna, Gesù dice quanto segue:
«Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
(Matteo 7,24-27)
La pioggia, i fiumi, i venti – cioè, fuor di metafora, le disgrazie della vita – capitano a tutti:
- a chi NON ascolta la parola di Dio…
- …e ANCHE a chi l’ascolta
In che consiste allora la provvidenza?
Qual è la sua prerogativa?
Come spiegava padre Maurizio Botta in una catechesi al termine del 2024:
La provvidenza è l’opera di Dio in uno scenario che contempla ANCHE la croce, la malattia, la morte, le ingiustizie.
(MAURIZIO BOTTA, dalla catechesi dei Cinque Passi «Se Dio vuole… un passo sulla divina provvidenza» del 14 dicembre 2024)
Dio non promette a nessuno un’esistenza priva di tempeste…
…però offre una casa che resta in piedi.
La Sua provvidenza non elimina il male, ma lo accoglie, lo trasforma, lo ingloba in un disegno più grande e più alto, che spesso riusciamo a scorgere solo col senno di poi.
…
Forse questo discorso può sembrare un po’ difficile da “mandare giù”.
E infatti lo è.
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(*) (per chi se la fosse persa, lo rimando alla pagina del blog sulle bestemmie).
Se c’è una cosa che mi rasserena, comunque, è che non sono il solo ad aver fatto questi urlacci.
Non sono il solo ad aver fatto il bastian contrario.
Non sono il solo ad aver fatto mille obiezioni a Dio.
Nella Bibbia ci sono un sacco di libri in cui si parla di tutto questo.
Libri in cui si parla del silenzio di Dio.
Libri in cui si parla di uomini che – posti di fronte al dolore dell’esistenza umana – si interrogano sulla bontà di Dio.
Uomini che si interrogano sulla presenza di Dio nella loro vita e nella storia e si arrabbiano con Lui.
Uomini che si chiedono come mai il silenzio di Dio sia così assordante.
La cosa interessante è che, nei brani più antichi della Bibbia, è «lo stolto» a pensare che Dio non ci sia:
Lo stolto pensa: «Dio non c’è».
Sono corrotti, fanno cose abominevoli:
non c’è chi agisca bene.
(Salmo 14,1; cfr. anche Salmo 53,2)
Però, man mano che all’interno di Israele si sviluppa una riflessione sapienziale, ci si rende conto che non è solo «lo stolto» a pensare che Dio non ci sia.
Anche «i saggi», i profeti, e persino i giusti si interrogano sul suo silenzio (cfr. PIETRO BOVATI, Vie della giustizia secondo la Bibbia, cit., p.16-17)… e non sanno cosa rispondere:
Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi?
Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?
Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese.
(Abacuc 1,2-3)
Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta.
(Giobbe 30,20)
(cfr. anche Salmo 13,1-3; Salmo 22,2-3; Salmo 83,2; Isaia 64,11; Geremia 14,9; Lamentazioni 3,8; Abacuc 1,13; Michea 3,4; Zaccaria 7,13; Matteo 27,46; Marco 15,34; Luca 23,46)
Questo grido di dolore e di dubbio attraversa tutta la Bibbia.
Eppure, nonostante tutto, questa inquietudine non è segno di disperazione.
Anzi, testimonia la fede di Israele.
Se Dio non esistesse, non avrebbe senso gridare verso di Lui.
Il Suo silenzio diventa allora parte della relazione con Lui: un silenzio che provoca, interroga, e alla fine conduce l’uomo a una fede più matura e consapevole.
Il silenzio di Dio diventa uno spazio in cui l’uomo è chiamato a cercare, a interrogarsi, a purificare la propria fede.
È un invito alla perseveranza:
Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui.
(Isaia 30,18)
È un invito a confidare nel fatto che le trame della storia sono nelle Sue mani:
Questa parola fu rivolta dal Signore a Geremia: «Àlzati e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola».
Scesi nella bottega del vasaio, ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto.
Allora mi fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Forse non potrei agire con voi, casa d’Israele, come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele.
(Geremia 18,1-6)
4 • Dio scrive dritto sulle righe storte
La provvidenza non consiste nella realizzazione del mio “progetto su carta millimetrata”.
Non si realizza quando la mia vita è priva di spigoli, di caos o di sorprese.
Non si realizza “nel mulino che vorrei”, ma nella mia vita.
Nel mio presente.
Nel mio qui ed ora.
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Come ha ricordato più di una volta don Fabio Rosini:
[…] la vita sana non sta in un altro luogo, ma esattamente dove sei.
(FABIO ROSINI, L’arte di guarire: l’emorroissa e il sentiero della vita sana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2020, versione Kindle, 82%)
Alla fin fine pare che a Dio piaccia spesso fare così: prendere le nostre storture, i nostri malintesi, e inglobarli dentro la sua Provvidenza.
[…] Per ricominciare, questo è il primo spigolo contro cui è salutare sbattere: si parte dalle cose come sono, e non come “dovrebbero essere”.
La sapienza non consiste in una teoria in cui far entrare a martellate le situazioni. Uno si ritrova in mano la realtà e l’unica strada intelligente è accoglierla.
(FABIO ROSINI, L’arte di ricominciare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, p.36-37)
Dio parte da ciò che c’è.
Da dove sono.
Da «qui».
Non da un ipotetico «là» perfetto ed ordinato.
Dio opera nella realtà.
E non so com’è la vostra realtà… ma la mia è incasinata, caotica, sbeccata e piena di crepe.
A tal proposito, il «nemico numero uno» contro cui devo combattere – che spesso mi impedisce di vedere l’azione della provvidenza nella mia vita – non sono le disgrazie che mi capitano… ma come spiega don Fabio:
Sto dove sto. Ho combinato quel che ho combinato. Mi è successo quel che mi è successo. Si riparte da qui dove sono. E identifico uno dei miei nemici più pericolosi: le mie pretese. Le mie aspettative.
(FABIO ROSINI, L’arte di ricominciare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, p.38)
Fosse per me, io farei un taglia-e-cuci gigantesco della mia vita:
- toglierei alcune cose;
- ne sovrascriverei delle altre;
- eliminerei del tutto quel «periodo no»;
- cancellerei il «primo bacio» dato alla persona sbagliata;
- modificherei le aspettative che aveva mia nonna su di me, quando ero piccolo;
- modificherei le aspettative che aveva mio papà su di me, quando ho dovuto scegliere la facoltà all’università;
- tornerei indietro dal me tredicenne e lo riempirei di schiaffi per aver sprecato ore e ore della sua vita a giocare ad Ultima Online;
- etc.
Ecco.
A differenza di come agirei io, Dio non opera all’infuori di questo caos, ma IN questo caos… altrimenti, che Dio sarebbe?
Il miglior cuoco non è quello che fa il piatto prelibato sulla base dei dovuti ingredienti, ma quello che apre il frigo e si inventa una cosa intrigante sulla base di quello che ci trova. Quella è arte vera. Accogliere le situazioni, assecondare la venatura delle cose, valorizzare il verso della vita.
Non remargli contro, ideologicamente.
Il problema è che ci sono due creatori: Dio Padre e la nostra testa.
Uno crea la realtà, l’altro la pretende.
(FABIO ROSINI, L’arte di ricominciare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, p.37)
Ora non vorrei risultare ripetitivo a furia di citare il don Fabio nazionale…
Facciamo così: per chi avesse bisogno di qualche altro pensiero del don, ve li lascio nel mini-paragrafo extra qui sotto.
Per chi ha capito l’antifona, invece, potete scrollare poche righe più in basso, e giuro che non citerò più Rosini in questa pagina! 🤣
Mini-paragrafo extra con qualche altra frase di don Fabio (clicca per espandere)
«Partiamo con un primo, semplice consiglio. La ricetta dice: un bel respiro e… deglutire le cose accadute.
È successo qualcosa. Sto in un punto della mia vita. Forse non è il migliore tratto della mia esistenza. Potrebbe anche essere il peggiore…
Meglio de-assolutizzare il mio atteggiamento, la mia visione delle cose.
C’è qualcosa di più grande di me e della mia impotenza.
C’è un Padre che è il Creatore.
Le cose sono due: aprirsi a Lui o sclerotizzarsi nell’amarezza, nello scoraggiamento».
(FABIO ROSINI, L’arte di ricominciare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, p.38-39)
«Sto parlando invece di una mentalità, un modo di vedere le cose: che quel che è ben fatto è ciò che è logico, lineare, comprensibile.
C’è un problema.
Che un matrimonio è un evento caotico.
Fare il prete è un evento caotico.
Lavorare è un evento caotico, crescere un adolescente è un evento imprevedibile, andare in vacanza ha una dinamica illogica, tenersi un anziano in casa scardina la vita, una fraternità cristiana, o semplicemente umana, è roba disordinata, una malattia ti arriva addosso senza senso, fare un figlio è disordine puro.
Una giornata non va mai come la pensi.
Le cose non sono mai come “dovrebbero” essere.
Il mondo è caotico. Resta tale. La croce di Cristo è stoltezza e scandalo (cfr. 1 Corinzi 1,18.23).
Io sono caotico. Nasco povero, insufficiente. E resto tale per tutta la vita.
E invece: tutti ad aspettarsi un qualche ordine, una qualche reale regolarità, e si passa il tempo a mettere giù la vita su carta millimetrata, pianificando, predisponendo, come fosse un oggetto domabile».
(FABIO ROSINI, L’arte di ricominciare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, p.41-42)
«Ma perché indugiare su questo punto?
Perché per ricominciare si inizia dal caos.
Dall’accettare di essere sbreccati come una tazza vecchia.
Di non essere simmetrici.
Di aver perso già dei pezzi, pure se si è molto giovani».
(FABIO ROSINI, L’arte di ricominciare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018, p.46)
«Ecco che mentre io penso che nella mia storia ci sono dei fotogrammi da tagliare o dimenticare, Lui se li è venuti a prendere.
Gli interessa il nostro dolore, ci ha voluto fare uno scontro frontale, non si è scansato.
Ma allora forse io non ho capito quel che c’è nascosto nel mio dolore…
Eppure l’orrore e la memoria del dolore sono lo strumento principale con cui le mie menzogne interiori si sono attivate e mi hanno tenuto sotto scacco.
Ma Lui pensa altro di tutto questo…»
(FABIO ROSINI, L’arte di guarire: l’emorroissa e il sentiero della vita sana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2020, versione Kindle, 46%)
Non so se avete letto le frasi di don Fabio, o siete saltati a pie’ pari fino a qui.
Se devo essere sincero, non le ho riportate per voi che state leggendo, ma per me.
Per avercele a portata di mano, qualora volessi andarmele a rileggere.
L’ho già scritto tante volte, ma anche oggi vorrei ribadire che io non scrivo le pagine del blog per «spiegare a voi comuni mortali» cose che io ormai ho assimilato, e che vi consegno «dall’alto del mio pulpito di cartapesta».
Siamo tutti sulla stessa barca.
Anzi.
Se proprio devo dirla tutta, a giudicare dai messaggi che ricevo su Instagram da molti di voi, a volte penso che, sì, siamo tutti sulla stessa barca, ma io ho dimenticato i remi a casa.
Ciò che condivido qui sul blog non è il frutto di una qualche illuminazione mistica, ma – poveramente – spunti che ho raccolto qua e là, ascoltando una catechesi, leggendo un libro, o semplicemente mettendo insieme i cocci della mia esperienza.
Tra l’altro, man mano che cammino e provo a mettere un piede dopo l’altro, mi rendo conto che – sì – tutte queste cose sono anche utili… ma quello che fa la differenza è un incontro reale con Dio.
Mi rendo conto che questa cosa che ho appena detto può far storcere il naso.
E capisco perfettamente il perché.
Quando si parla dell’«incontro con Dio», sembra una di quelle frasi fatte, una cosa un po’ vaga, un po’ fuffosa, un po’ misticheggiante, che ti lascia più confuso che ispirato.
La cosa strana, è che molte persone nella storia della Chiesa (a partire dai santi) ne hanno parlato… e molte di esse hanno raccontato eventi molto diversi tra loro.
Per alcuni, questo incontro è stato qualcosa di delicato e graduale…
…come l’alba che pian piano illumina tutto, e ti accorgi che qualcosa è cambiato solo dopo un po’, quando guardi il cielo e ti rendi conto che è già giorno.
Per altri, invece, è stato qualcosa di dirompente, un terremoto interiore, che ha stravolto tutto da un momento all’altro (per chi se la fosse persa, vi rimando alla pagina del blog sui convertiti).
Comunque.
Quale che sia il caso.
L’incontro con Dio è qualcosa che avviene nella vita concreta, nella realtà di tutti i giorni – fatta di corse, contrattempi, cetrioli, etc.
Ed è qualcosa che cambia il baricentro della vita.
Prima di questo incontro, il “punto fermo” era il mio lavoro… o le mie ambizioni… o il modo in cui mi guardavano gli altri… o le mie ansie e le mie preoccupazioni…
Dopo l’incontro con Dio queste cose non spariscono, però passano in secondo piano.
Si riorganizzano attorno a qualcos altro.
Anzi, attorno a Qualcuno:
L’incontro con Cristo ci riconcilia con quella che fino al giorno prima era la nostra disperazione.
È un miracolo che tante volte non arriva a essere visibile agli occhi degli altri. È qualcosa che scopri in prima persona semplicemente perché non hai più una posizione da schiacciato, da oppresso, ma torni a vivere anche con i tuoi piedi storti, anche se quel problema ti tiene esteriormente fermo.
Certe volte si è più liberi così, più di tanti altri che magari hanno semplicemente una libertà di forma, di movimento esterno, ma non di sostanza.
Questo è il cristianesimo.
(LUIGI MARIA EPICOCO, Sale non miele : per una fede che brucia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2017, p.183)
Se Dio nella mia vita non è un soprammobile, ma il fulcro attorno a cui ruota tutto, ecco che le cose cambiano.
Non nel modo in cui voglio io, ma nel modo in cui vuole Lui.
A volte ci vuole del tempo per accogliere questo sguardo sulla realtà.
Però poi i frutti si vedono:
Se potessimo con un solo colpo d’occhio interiore vedere quanto vi è di buono e misericordioso nel disegno di Dio su ciascun o di noi – anche nelle cose che chiamiamo disgrazie, dispiaceri, afflizioni – saremmo tanto felici da gettarci tra le braccia della volontà divina con l’abbandono di un piccolo che si getta tra le braccia di sua madre. Agiremmo, in ogni circostanza, con l’intenzione di piacere a Dio, poi, ci manterremmo in un santo riposo, ben certi che Dio è nostro Padre e desidera la nostra salvezza più di quanto la desideriamo noi stessi.
(MARIE GUYART, religiosa francese (1599-1672), fondatrice delle Orsoline del Canada; citata in JACQUES PHILIPPE, «La pace del cuore», EDB, Bologna 2020, p.67 )
5 • Come si può dimostrare l’esistenza della provvidenza?
Arrivati a questo punto del discorso, vorrei fare una precisazione.
Non si può dimostrare con un discorso l’esistenza della provvidenza.
Non si può leggere un saggio in cui si parla della provvidenza (né tantomeno una pagina su un blog a fumetti) e convincersi del fatto che “funzioni”.
Così come non si può leggere un trattato sul funzionamento dei neurotrasmettitori all’interno del cervello di una coppia di fidanzati e fare esperienza di cosa si prova ad essere innamorati…
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Ebbene.
La provvidenza non si può provare con un «esperimento»…
…però se ne può fare «esperienza».
Qual è la differenza tra un esperimento ed un’esperienza?
Uno scienziato, quando fa un esperimento, può avere il controllo pressoché assoluto di ciò che sta succedendo.
«Fare esperienza» di qualcosa invece significa farsi coinvolgere, anche se quella cosa è un mistero.
La provvidenza funziona così: la vivi, ne fai esperienza lungo il cammino… e ti accorgi che ti ha accompagnato guardandoti alle spalle, quando tutto acquista un senso che prima sembrava nascosto.
È in questo senso che vorrei che leggeste questa pagina.
Non è una “dimostrazione”.
Qualche paragrafo fa – quando vi ho citato alcuni passaggi della Bibbia – non era per dire «lo dice il Libro Sacro, quindi è così!»…
…quei versetti piuttosto sono la testimonianza di un popolo che ha fatto esperienza dell’agire di Dio.
Tra l’altro, la Bibbia non è neanche l’unico “luogo” in cui possiamo trovare traccia di tutto questo.
Ci sono molte altre tracce lungo tutta la storia della Chiesa.
E – se volete la mia – penso che le più significative sono quelle che ci hanno lasciato i santi (che, come ricordavo in questa pagina del blog, sono le persone che hanno spostato il baricentro della propria vita in Dio, e hanno preso sul serio la relazione con Lui).
Ad esempio.
Non so se conoscete Jeanne-Françoise Frémyot.
Jeanne-Françoise Frémyot – conosciuta più comunemente come Giovanna di Chantal (1572-1641) – era una nobile francese (suo padre era presidente del Parlamento della Borgogna).
Nel 1592 ha sposato il barone de Chantal, da cui ha avuto sei figli.
Dopo essere rimasta prematuramente vedova, ha conosciuto il vescovo di Ginevra Francesco di Sales, e con lui ha fondato un ordine monastico.
Ebbene.
Riprendendo l’analogia del lavoro artigiano, la religiosa francese ha scritto queste righe:
Sì, sorella mia, essere totalmente affidate, dipendenti e sottomesse a ciò che accade per volere della Divina Provvidenza è un punto fondamentale della più alta e sublime perfezione.
Se ci affidiamo come si conviene alla Provvidenza, ci andarà altrettanto bene trovarci a cento leghe da qui che stare dove siamo; anzi, preferiremo quel che più sarà gradito a Dio e meno soddisfazione darà a noi stessi.
Sarà per noi indifferente essere umiliate o esaltate, condotte da questa o da quell’altra mano, trovarci nella desolazione, nell’aridità, nella tristezza e nella privazione, oppure essere consolate con l’unzione divina e appagate da Dio.
Insomma, saremo tra le capaci mani del Dio altissimo come la stoffa tra quelle del sarto, il quale la taglia in cento modi diversi per farne l’uso che gli piace e a cui l’ha destinata, senza che essa lo ostacoli.
E così potremo sopportare che la potente mano di Dio ci tagli, ci martelli e ci ceselli, per renderci pietra adatta al suo edificio; e le gioie e i dolori diverranno per noi la stessa cosa, perché, insieme al nostro grande padre fondatore, anche noi diremo: “Mio Signore Gesù Cristo, taglia, spacca, brucia: se sono con te e ti posseggo, sono contenta!”.
(GIOVANNA DI CHANTAL, dal Colloquio sulla Divina Provvidenza, citata in MAX HUOT DE LONGCHAMP (a cura di), Siate santi… nella gioia! : Testi scelti per cristiani immersi nel mondo, Itaca : Oratorium, Castel Bolognese (RA) 2018, p.161)
Un’altra persona che ha vissuto sulla propria pelle l’azione della provvidenza è stato Charles de Foucauld.
Charles de Foucauld (1858-1916) era un militare ed esploratore francese.
Dopo un periodo di lontananza dalla fede, si è convertito al cattolicesimo ed è stato ordinato sacerdote nel 1901.
Dopo l’ordinazione, si è trasferito nel Sahara algerino, vivendo come eremita tra i Tuareg e dedicandosi alla preghiera, allo studio della cultura locale e alla testimonianza del Vangelo.
Papa Francesco lo ha proclamato santo il 15 maggio 2022.
Ebbene.
In una delle sue meditazioni, Charles scriveva queste righe:
O fede! fede! fede! fede nell’infinito amore di Dio per me, povera e indegna creatura; fede nel suo cuore! Fede nelle sue parole e nelle seguenti: «Cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi verrà dato in sovrappiù» (cfr. Mt 6,33); ossia, fate ciò che è perfetto, anche se pare difficile e pure impossibile: mettetevi in gioco coraggiosamente, e io vi darò ogni cosa buona per il bene della vostra anima; vi darò non solo il necessario, ma anche il superfluo…
(CHARLES DE FOUCAULD, da una meditazione su Genesi 28,11ss, in CHARLES DE FOUCAULD, Pagine da Nazaret. Gli scritti spirituali del santo che amò il deserto, Terra Santa, Milano 2020, p.150)
Last but not least, vorrei nominare anche Marie-Azélie Guérin.
Marie-Azélie Guérin (1831-1877) – nota anche come Zélie, o italianizzata in Zelia – era la mamma di Teresa di Lisieux.
Per chi non lo sapesse, Teresa di Lisieux al momento è:
- patrona dei missionari (insieme a san Francesco Saverio);
- patrona di Francia (insieme a santa Giovanna d’Arco)
- dottore della Chiesa
Sua mamma, molto più umilmente, al momento è “solo” santa (canonizzata da papa Francesco insieme al marito nel 2015: prima coppia di sposi ad essere canonizzati insieme).
Ebbene.
C’è un epistolario bellissimo che contiene le lettere che Marie-Azélie si è scambiata con suo marito Louis Martin.
In una di queste lettere, indirizzata a sua figlia Pauline, del 12 marzo 1876, Marie-Azélie scriveva queste righe:
La signorina X. è venuta a darmi tue notizie; pare che ti abbia vista mercoledì: mi ha detto che eri tanto cresciuta e questo mi ha fatto molto piacere. Questa signorina è una brava persona, peccato che abbia delle idee così liberali. Credo che un giorno cambierà parere: è troppo caritatevole perché il buon Dio permetta che continui ad avere un velo così fitto sugli occhi.
L’altro giorno suo fratello ci diceva che «Dio non si occupava di noi»: lo vedrà se il buon Dio non se ne occupa, e credo abbastanza presto! Mi addolora che amici così buoni abbiano simili sentimenti. Io lo so che il buon Dio si occupa di me: in vita mia me ne sono accorta già tante volte e ho tanti ricordi in proposito che non si cancelleranno mai dalla memoria.
(ZELIA GUÉRIN, LUIGI MARTIN, Lettere familiari: dei genitori di santa Teresa di Gesù Bambino (1863-1888), Edizioni OCD, Roma 2019, versione Kindle, 61-62%)
Insomma.
Ora non vorrei ammorbarvi di citazioni.
Tutto questo per dire che la provvidenza non si “dimostra”… però se ne può fare esperienza.
E se si vuole dare una “sbirciata”, si possono leggere le vite dei santi.
Conclusione
In super-sintesi, la provvidenza:
- non è uno scudo contro il male
- è l’opera di Dio in uno scenario che contempla ANCHE la croce, la malattia, la morte, le ingiustizie
- si realizza nel caos della realtà quotidiana
- si attua a partire da «ciò che c’è», e non su «ciò che dovrebbe esserci»
- si comprende retrospettivamente
Sperando di non avervi eccessivamente ammorbato, chiudo con due ultime citazioni.
La prima è di papa Francesco, da un’udienza generale del 2022:
Ascoltate bene: Dio lavora attraverso eventi non programmabili… quel «per caso»: «per caso mi è successo questo», «per caso ho incontrato questa persona», «per caso ho visto questo film», non era programmato ma Dio lavora attraverso eventi non programmabili, e anche nei contrattempi: “Ma io dovevo fare una passeggiata e ho avuto un problema ai piedi, non posso…”. Contrattempo: cosa ti dice Dio? Cosa ti dice la vita lì? […] Un consiglio che vi do, state attenti alle cose inattese.
(PAPA FRANCESCO, dall’udienza generale di mercoledì 7 settembre 2022)
La seconda è tratta nuovamente dai Promessi sposi.
A un certo punto del romanzo, Renzo – che era pieno di dubbi e preoccupazioni, e non aveva la più pallida idea dei casini che sarebbero accaduti – rimette tutto nelle mani di Dio e dice:
«Quel che Dio vuole,» rispondeva ai pensieri che gli davan più noia. «Quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c’è anche per noi. Vada tutto in isconto de’ miei peccati».
(ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi, Newton Compton Editori, Roma 2010, versione Kindle, 36%)
sale
(Inverno 2024-2025)
- ALESSANDRO MANZONI, I promessi sposi, BUR, Milano 2003
- FABIO ROSINI, L'arte di guarire : l'emorroissa e il sentiero della vita sana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2020
- FABIO ROSINI, L'arte di ricominciare : i sei giorni della creazione e l'inizio del discernimento, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018
- MAURIZIO BOTTA, «Se Dio vuole... Un passo sulla Divina Provvidenza», catechesi di sabato 14 dicembre 2024
- JACQUES PHILIPPE, La pace del cuore, EDB, Bologna 2020
- PIETRO BOVATI, Vie della giustizia secondo la Bibbia : sistema giudiziario e procedure per la riconciliazione, EDB, Bologna 2014