1 • Angeli ovunque… tranne che in chiesa
Stavo per cominciare questa pagina del blog scrivendo cose tipo:
- «I preti non parlano volentieri degli angeli»
- «I teologi si imbarazzano a parlare degli angeli»
- «Noi cristiani ci vergogniamo a parlare degli angeli»
- «Preghiere come “Angelo di Dio che sei il mio custode […]” suonano molto cringe e naïf»
Poi però ho realizzato che ho iniziato un po’ troppe pagine del blog in questo modo:
- «Noi cristiani ci vergogniamo a parlare del peccato»
- «Noi cristiani ci vergogniamo a parlare del paradiso»
- «Noi cristiani ci vergogniamo a parlare dell’esame di coscienza»
Insomma.
La verità è che noi cristiani ci vergogniamo semplicemente di essere cristiani.
Che poi dico.
Capisco la vergogna nel parlare del peccato, in un mondo così libertino e licenzioso.
Capisco la vergogna nel parlare del paradiso, in un mondo così cinico e materialista.

Insomma, capisco che tanti argomenti decchiesa non sono proprio accattivanti…
…ma gli angeli, tutto sommato, non sono così respingenti.
Voglio dire.
Se penso al mondo nerd, su due piedi, mi vengono in mente un sacco di esempî fighi:
- Tyrael, l’Arcangelo della Giustizia del videogioco Diablo II (che giocavo nel 2000): uno dei personaggi più iconici della saga, design fighissimo, estetica accattivante… insomma, un gran coatto!
- Angemon, l’evoluzione di Patamon nella serie televisiva anime Digimon Adventure (del 1999-2000)… io ancora ho i brividi quando vedo la clip video con la digi-evoluzione di Patamon!
- nel gioco di carte Magic the Gathering ci sono alcuni angeli iconici che hanno segnato l’immaginario di un sacco di miei coetanei: l’Angelo di Serra, l’Angelo di Platino, l’arcangelo Avacyn, etc.
- l’universo di Dungeons and Dragons, con tutti i suoi piani di esistenza in cui vivono creature extraplanari di allineamento buono come angeli e arconti: i Sette Cieli Ascendenti di Celestia, i Campi Benedetti dell’Elysium e altri piani di esistenza.
Se poi ci allontaniamo dall’ambito nerd, la situazione non cambia.
Quello che voglio dire è che – mai come ai nostri giorni – gli angeli sono oggetto di curiosità.
Intendiamoci.
Magari è una curiosità superficiale.
Un po’ credulona.
Un po’ da libri che si vendono al supermercato (tipo «La guida degli angeli, edizione a colori» di Doreen Virtue, autoproclamatasi «medium nonché professionista di Angel Therapy e di Light Resonance Healing»… che io boh).
Però, la realtà dei fatti è che nel terzo millennio, ci sono:
- autori non cristiani che parlano di angelologia
- film e serie tv che parlano di angeli (Good Omens, Constantine, Lucifer, …)
- Dungeons & Dragons, con la sua metafisica e le sue schiere angeliche
…e gli unici che si imbarazzano a parlare degli angeli sono i cristiani.
2 • Perché abbiamo ridotto gli angeli a cartoline natalizie?
Non so se si era capito, ma nel primo paragrafo ho fatto un po’ il finto ingenuo.
So benissimo che:
- una cosa è guardare una serie tv in cui tra i personaggi ci sono angeli o altre strane creature inventate;
- altro paio di maniche è parlare degli angeli come se fossero qualcosa di reale.
Tra l’altro, se proprio dobbiamo dirla tutta, noi cristiani abbiamo un ulteriore problema con gli angeli.
Mi spiego.
Un conto è il fighissimo angelo Tyrael di Diablo II, ideato dai character designer della Blizzard, che nei primi anni 2000 davano una pista a tutta l’industria videoludica…
Un conto è quel tamarro di Angemon di Digimon Adventures…
Un conto sono gli illustratori delle carte Magic, uno più bravo dell’altro a disegnare angeli che combattono contro demoni, draghi e altre creature dell’abisso…
…noi cristiani però non siamo stati così fortunati.
Purtroppo infatti, qualche secolo fa, la Chiesa è dovuta passare per quel periodo oscuro che ha preso il nome di «Rinascimento».
«Ehm… Sale, forse volevo dire “Medioevo”? È il Medioevo il “periodo oscuro”…».
No, no, intendevo proprio il Rinascimento (XV-XVI secolo).
E che è successo di tanto brutto nel Rinascimento?
È successo che le Chiese cristiane sono state appestate di putti e angioletti in ogni centimetro disponibile.

Nella Bibbia (ma si potrebbe dire lo stesso di tante altre tradizioni religiose) gli angeli sono rappresentati come esseri gloriosi, portatori del mistero divino.
Quando vengono descritti, mi viene in mente il modo in cui il teologo e storico delle religioni tedesco Rudolf Otto (1869-1937) descrive l’esperienza del sacro (nell’omonimo libro).
Otto parla di un «mysterium tremendum et fascinans», cioè un mistero che – allo stesso tempo – incute timore e affascina:
- da un lato, il sacro è percepito come qualcosa di totalmente altro, che suscita timore reverenziale e senso di piccolezza (tremendum)
- dall’altro, attrae e affascina profondamente il cuore dell’uomo (fascinans)
Ebbene: io penso che le stesse parole si possano usare per parlare degli angeli.
Nell’Antico e nel Nuovo Testamento, gli angeli sono esseri maestosi, incommensurabili, sublimi, messaggeri del Dio Altissimo, apparizioni potenti e terribili, capaci di far tremare le ginocchia ai profeti più coraggiosi.
Non certo il genere di presenza da appendere su una cartolina natalizia.
Ecco.
Noi cristiani provenivamo da tutto questo…
…ma con il Rinascimento e l’avvento dei putti, siamo riusciti a compiere un piccolo capolavoro di “stupro dell’immaginario metafisico”: abbiamo barattato l’angelo glorioso e ultraterreno con il «pingue infante cicciottello».
L’emanazione personificata della gloria di Dio è divenuta il «pargoletto alato».
L’essere «altro» si è trasformato nell’«angioletto del Signore / che mi guidi con amore / con le ali sempre aperte / stai vicino alla mia sorte».
Mentre i profeti urlavano terrorizzati davanti al messaggero celeste, noi lo abbiamo trasformato in un bambolotto, in un bebè paffutello, in un pupazzetto.
~
Alla luce di quel che ho scritto fin qui, vi confesso candidamente che non avrei mai pensato di scrivere una pagina sugli angeli.
Mai e poi mai.
Cos’è che mi ha fatto cambiare idea?
Mi ha fatto cambiare idea la lettura della trilogia cosmica dello scrittore, saggista e teologo britannico Clive Staples Lewis (1898-1963).
La «trilogia cosmica» è composta dai libri Lontano dal pianeta silenzioso (del 1938), Perelandra (del 1943) e Quell’orribile forza (del 1945).
Ora, ovviamente, non vi posso scrivere la trama per fila e per segno: proverò ad essere più sintetico possibile… e a non fare spoiler…
Nei primi due libri della trilogia viene raccontata la storia del professor Elwin Ransom, che si trova (suo malgrado) a viaggiare su altri pianeti del sistema solare.
Nel corso dei romanzi, apprendiamo che ogni pianeta del sistema solare è governato da un un Oyarsa, un essere spirituale che funge da custode e guida per le creature che vi abitano.
Tutti gli Oyéresu (plurale di Oyarsa) sono stati creati da Malendil, il Creatore di tutti i mondi, che regna supremo su di essi.
Ransom, nel primo libro, atterra su Malacandra (Marte), e scopre che sul pianeta vivono tre specie di creature senzienti, ciascuna delle quali è in comunione con l’Oyarsa del pianeta.
Quando Ransom si chiede come mai non abbia mai sentito parlare degli Oyéresu sulla Terra, gli viene spiegato che tanto tempo fa l’Oyarsa della Terra è diventato malvagio e, ribellandosi, ha corrotto il pianeta, separandolo dalla comunione con il resto dell’universo. Per questo la Terra è nota come Pianeta Silenzioso.
…
…vi suona qualche campanello?
Ebbene.
Secondo me Lewis, nella sua opera, ha donato una nuova dignità ad angeli e schiere celesti.
Non nomina mai espressamente il Dio cristiano.
E non usa mai termini teologici.
E, a ben vedere, rifiuta di utilizzare la parola «angelo», all’interno del racconto, per riferirsi a queste creature.
Ma con un gioco di parallelismi, di detto-nondetto ed altre intuizioni letterarie formidabili, ha scritto una trilogia che è un vero e proprio capolavoro teologico della letteratura del ‘900.
A chiusura di questo paragrafo, vi lascio uno stralcio della fine del secondo libro, in cui Ransom descrive l’Oyarsa di Marte e quello di Venere:
A quanto mi disse Ransom i loro corpi erano bianchi, ma dalle loro spalle si elevava un arcobaleno di colori che si diffondevano su per il collo e baluginavano sul volto e sul capo circondando la testa come un’aureola o una corona di piume.
Mi disse che in un certo senso riusciva a ricordare quei colori – li avrebbe riconosciuti, cioè, se li avesse rivisti – ma che, per quanti sforzi facesse, non riusciva ad evocarne un’immagine visiva, né a definirli.
Le pochissime persone con le quali noi possiamo parlare di questi problemi ne danno tutte la medesima spiegazione.
Noi pensiamo che quando creature di tipo ipersomatico decidono di «apparirci» non agiscano sulla nostra retina ma su determinate regioni del nostro cervello. Se le cose stanno così, esse possono probabilmente suscitare nella nostra mente le sensazioni che proveremmo se i nostri occhi fossero in grado di percepire quei colori dello spettro che per noi sono invisibili.
Le aureole o «corone di piume» dei due eldila erano diversissime l’una dall’altra.
L’Oyarsa di Marte riluceva di freddi colori mattutini, lievemente metallici – puri, forti e tonificanti.
L’Oyarsa di Venere ardeva di uno splendore caldo che suggeriva l’idea di una lussureggiante vita vegetale.
I loro volti lo stupirono profondamente: non avevano niente a che vedere con l’«angelo» dell’arte popolare.
La grande varietà, l’accenno di potenzialità latenti che rendono interessanti i volti umani mancavano del tutto. Su entrambi quei visi era stampata un’unica espressione immutabile – talmente radiosa da ferirgli gli occhi e abbagliarlo – e null’altro.
In quel senso i loro volti erano «primitivi» e innaturali, se si vuole, come quelli delle sculture arcaiche di Egina.
Dapprima egli non capì bene che cosa esprimessero, ma poi giunse alla conclusione che irradiavano carità.
[…]
Entrambi i corpi erano nudi, privi di qualsiasi carattere sessuale, sia primario che secondario. Era prevedibile, ma da dove veniva quella curiosa differenza tra di loro? Ransom non riusciva a capire in che cosa consistesse, eppure era impossibile ignorarla.
Poteva tentare – ed egli l’ha fatto cento volte – di tradurla in parole.
Diceva che Malacandra era come il ritmo e Perelandra come la melodia; che Malacandra lo commuoveva come un verso quantitativo e Perelandra come un verso accentuativo.
Gli pareva che il primo tenesse in mano un oggetto simile a una lancia, mentre le mani dell’altra figura erano aperte, con le palme rivolte verso di lui.
Ma non so se nessuno di questi suoi tentativi mi abbia aiutato a capire meglio.
(CLIVE STAPLES LEWIS, Perelandra, Adelphi, Milano 2011, versione Kindle, 88-89%)
3 • Cos’è un angelo?
Ma veniamo al cuore della pagina.
Esistono gli angeli?
Dunque.
Prima di rispondere a questa domanda, forse potremmo chiederci più in generale:
- È reale solo ciò che è percepibile dai nostri cinque sensi?
- Esiste una realtà metafisica (cioè, etimologicamente, «oltre/dopo le cose fisiche»)?
- Tutto ciò che non riesco a vedere non esiste?
Prima che rispondiate a queste domande, vorrei farvi notare una cosa.
Spesso si pensa che chi crede in Dio, o negli angeli, o in so-un-cavolo-io, lo faccia per motivi irrazionali.
E chi invece rifiuta questa possibilità, lo faccia basandosi sulla ragione, sull’intelletto, sulla scienza.
In realtà – quale che sia la vostra posizione in merito – la risposta che date a questa domanda non dipende da una dimostrazione scientifica (per chi si fosse perso la pagina sulle dimostrazioni scientifiche, lo rimando a questo link).
In entrambi i casi, quello che avviene è questo:
- osservate la realtà intorno a voi (e quando dico «realtà» intendo anche tutto ciò che vi è stato insegnato in famiglia, a scuola, nel vostro contesto culturale, nei reel che guardate quando fate swipe su Instagram o TikTok, all’università, tra gli amici, da Taylor Swift, BarbascuraX o dal vostro influencer preferito, etc.);
- unite i puntini nel modo che vi sembra più verosimile;
- date una risposta alla domanda sull’esistenza di una realtà metafisica.
Ebbene.
Sia chi crede in Dio, sia chi rifiuta l’esistenza di una realtà soprasensibile, lo fa senza poterlo dimostrare in modo formale e cogente.
Non esiste infatti una prova inoppugnabile che dica che «Dio esiste»… ma neanche una che dica che Dio, gli angeli e la metafisica siano fregnacce.
Se credi che esiste solo ciò che riesci a vedere, buon per te…
…però stai rispondendo a questa domanda in modo dogmatico, assiomatico, non dimostrabile.
Ecco.
Se rientri tra queste persone, puoi terminare qui la lettura di questa pagina, senza perdere ulteriore tempo.
~
Per tutti gli altri, facciamo un mezzo passo avanti.
Quando ci chiediamo se esistano o meno gli angeli, dobbiamo metterci d’accordo su «cosa intendiamo» quando usiamo la parola «angelo».
Cos’è un angelo?
La teologia cristiana ci ha messo un po’ a formulare un pensiero strutturato su di loro.
Partirei col dire che un angelo è una creatura spirituale (vi ricordate la pagina in cui dicevo che gli uomini sono fatti di spirito, anima e corpo? Ebbene, gli angeli sono fatti di solo spirito).
Il primo padre della Chiesa a dire che gli angeli sono creature spirituali è stato Gregorio Magno (cfr. GIULIO MASPERO, Creatore perché Padre : introduzione all’ontologia del dono, Cantagalli, Siena 2012, p.114).
Potrà sembrare una cosa scontata… ma prima di lui si pensava che gli angeli essendo «creature» – e quindi «esseri limitati» – dovessero avere una qualche forma di corporeità (cfr. Ibidem).
Neanche a dirlo, il fatto che gli angeli non siano tangibili né visibili è il motivo principale per il quale molte persone non credono alla loro esistenza…

Cos’altro sappiamo degli angeli?
Sappiamo che:
La creazione si divide in cosmo materiale e cosmo spirituale.
L’uomo appartiene ad entrambi, mentre gli angeli esclusivamente al secondo.
Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento si parla di esseri spirituali, invisibili, chiamati angeli.
Sono creature, perché sono stati tratti dal nulla, ma partecipano in qualche modo al governo del mondo.
Dio, che in Sé è relazione, si fida e si affida alla relazione: per questo ama non fare da solo e moltiplica gli intermediari.
Questi sono totalmente diversi dal demiurgo platonico, che era ontologicamente a metà strada tra la sfera divina e il mondo.
Il ruolo degli angeli non è necessario, ma libero.
Dio potrebbe fare da solo, ma vuole comunicare la propria bontà magnanimamente, affidandola alla relazione personale.
(GIULIO MASPERO, Creatore perché Padre : introduzione all’ontologia del dono, Cantagalli, Siena 2012, p.110-111)
Che significa che gli angeli «partecipano al governo del mondo»? E che Dio «moltiplica gli intermediarî»?
Dunque.
Non so se avete mai letto il Silmarillion di John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973).
Il Silmarillion è l’“Antico Testamento” dell’universo di Tolkien. Racconta tutto ciò che è accaduto nella Terra di Mezzo dalla creazione fino alla fine della Terza Era (che è quando si è svolto Il Signore degli Anelli).
Nelle prime pagine del Silmarillion si trova il brano della creazione (l’Ainulindalë, cioè la «musica degli Ainur»).
Nel racconto, Eru Ilúvatar (che sarebbe Dio) crea gli Ainur – entità spirituali, ognuna dei quali richiama un aspetto della sua potenza e volontà. Dopo averli creati, Ilúvatar li invita a cantare insieme a lui, unendo le loro voci in armonia per comporre una melodia polifonica maestosa, molto complessa ed articolata. Man mano che si dipana, questo canto diventa l’espressione della visione di Ilúvatar, un disegno grandioso che anticipa la creazione del mondo. Al termine del canto, Ilúvatar mostra agli Ainur che la loro musica ha dato forma a Eä, il mondo che sta per essere creato.
Ebbene, in modo analogo (*) a come viene raccontato nel Silmarillion, anche al Dio cristiano non piace fare le cose da solo.
(*) (ho detto «analogo», non «uguale»; vedi la citazione più in basso, a proposito di ciò che dice Tommaso d’Aquino sul ruolo demiurgico degli angeli)
Dio potrebbe fare tutto da solo.
Ma desidera affidarsi a degli intermediarî.
E infatti, anche in ebraico, la parola per dire «angelo» è mal’akh (מַלְאָךְ), la cui radice semitica significa «delegato», «ambasciatore», «messaggero».
Facciamo un piccolo passo avanti.
Cosa fanno gli angeli?
Gli angeli contemplano continuamente il volto di Dio (cfr. Matteo 18,10).
La loro esistenza è interamente orientata al Suo servizio: lo contemplano, lo adorano e, allo stesso tempo, agiscono come suoi messaggeri e custodi verso il mondo creato.
La loro missione verso l’uomo è parte integrante del loro rapporto con Dio, perché servire Dio significa anche prendersi cura delle sue creature.
Degli angeli e delle loro apparizioni si parla sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento (cfr. ad esempio Genesi 19,1-3; Esodo 23,20-21; Isaia 6,1-3; Matteo 1,20; Luca 1,26-28; Matteo 28,2-7; Atti 12,7; Apocalisse 5,11-12).
…e Gesù stesso conferma la loro esistenza (cfr. Matteo 18,10 e Luca 15,10).
Nel corso della storia della Chiesa, ci sono state numerose riflessioni teologiche sugli angeli e sulla loro natura:
La dottrina patristica è in questo ambito molto estesa.
Il magistero difese la legittimità della loro rappresentazione contro gli iconoclasti, nel VII Concilio di Nicea del 787, e difese la loro vera natura creata contro le dottrine gnostiche, che negavano direttamente o indirettamente che si trattasse di creature.
Il Concilio Lateranense IV (1215) ribadì la loro creaturalità e Tommaso chiarì che essi non hanno nessun ruolo demiurgico, cioè che non intervengono nell’atto creativo.
(GIULIO MASPERO, Creatore perché Padre : introduzione all’ontologia del dono, Cantagalli, Siena 2012, p.112)
A partire da Gregorio Magno, i Padri sottolineano la dimensione cristologica di tutto ciò: dal momento che il Verbo si è incarnato, gli angeli non possono lasciarci, perché l’umanità è stata assunta.
Tommaso dice che sono come la scorta che Dio ci ha posto al fianco nel cammino della vita, che rimarrà con noi nell’eternità.
[…]
Gli angeli capiscono l’uomo e lo vedono come nemmeno lui stesso si vede, perché ne colgono il valore infinito legato all’incarnazione, perché lo contemplano alla luce di Cristo.
Seguendo la dottrina paolina (Efesini 1,12ss e Colossesi 1,16) e l’Antico Testamento, nella liturgia e negli scritti dei Padri si parla spesso di una complessa gerarchia celeste.
La formulazione dello Pseudo Dionigi l’Areopagita è la più nota.
Esisterebbero tre livelli, ciascuno dei quali a sua volta composto da tre ordini di angeli: nel livello più alto si trovano i Troni, i Cherubini (dalla radice di pregare, benedire) e i Serafini (gli ardenti); poi, nel secondo, le Potestà, le Dominazioni e le Virtù; infine, nell’ultimo livello, gli Angeli, gli Arcangeli ed i Principati.
Tra questi, gli Arcangeli occupano un posto particolare nella storia della salvezza.
Conosciamo il nome di tre di loro: Michele (“Chi come Dio”, Daniele 10,13.20; Apocalisse 12,7; e Giuda 9); Gabriele (“Potenza di Dio”, Luca 1,19.26); Raffaele (“Dio guarisce”, Tobia 12,15.20).
(GIULIO MASPERO, Creatore perché Padre : introduzione all’ontologia del dono, Cantagalli, Siena 2012, p.113-114)
La Chiesa ha sempre venerato gli angeli.
Ha sempre insistito sul fatto che essi – in modo analogo ai santi – intercedono per la protezione degli uomini.
Custodiscono il creato, le nazioni, le istituzioni (Cfr. Ibidem, p.112)
La Chiesa li ha sempre ricordati all’interno della liturgia.
Dedica al loro culto due giorni: il 29 settembre (festa degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele) e il 2 ottobre, festa degli angeli custodi: secondo la teologia cristiana infatti ad ogni persona, fin dal momento della nascita, è assegnato un angelo, con il compito di proteggerla, guidarla ed intercedere per lei presso Dio (cfr. Salmo 91,11-12 e anche il già citato Matteo 18,10).
Ora non vorrei appesantire eccessivamente il discorso, ma sappiate che anche la questione degli angeli custodi è roba seria: i Padri della Chiesa ne hanno parlato spesso… a titolo di esempio, vi riporto un passaggio di Basilio di Cesarea (che viene citato a sua volta dal Catechismo della Chiesa Cattolica, n.336):
Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita.
(BASILIO DI CESAREA, Adversus Eunomium, 3, 1: SC 305, 148 (PG 29, 656))
Insomma.
Non so voi.
Ma prima di liquidare come naïve la preghiera dell’Angelo di Dio, ci penserei due volte.
4 • Perché molti cristiani non credono nell’esistenza degli angeli?
Nel precedente paragrafo ho accennato al fatto che gli angeli non si vedono e non si sentono… e quindi molte persone non credono alla loro esistenza.
In realtà, questo ragionamento prima ancora che per gli angeli, vale per Dio (*):
- ci sono gli agnostici, che non vedono e non sentono Dio, e non vogliono formulare un giudizio sulla sua esistenza;
- ci sono gli atei, che non vedono e non sentono Dio, ed affermano con certezza la sua non esistenza.
(*) (Per chi se la fosse persa, lo rimando alla pagina del blog sull’esistenza di Dio… e a quella sulla sua non esistenza)
E va bene così.
Non c’è nulla di male nell’essere agnostici e non esprimersi sulla metafisica.
E non c’è nulla di male nell’essere atei e rifiutare la metafisica.
Quello che mi suona strano però è che ci siano sedicenti cristiani (magari anche cattolici) che non credono all’esistenza degli angeli.

(*) (In questa clip potete ascoltare qualche perla del fantasista brianzolo)
Forse ricorderete il teologo evangelico tedesco Rudolf Bultmann (1884-1976).
Avevo già parlato di lui qui sul blog nella pagina sulla risurrezione di Gesù (c’è stata o no?) e in quella in cui rispondevo alla domanda se Gesù fosse stato divinizzato dai suoi discepoli.
Come accennavo in quelle altre occasioni, Bultmann è stato uno dei teologi più famosi (o famigerati) nel portare avanti l’opera di demitologizzazione della Sacra Scrittura, ovvero la lettura dei testi biblici “liberata” da ogni elemento non immediatamente spiegabile o comprensibile secondo i criteri empiristici/illuministici/razionalistici dell’epoca moderna.
Neanche a dirlo, per Bultmann angeli, demoni, miracoli, esorcismi, etc. non sono altro che residui di antichi miti, allegorie letterarie, simbologie poetiche, proiezioni di forze naturali, etc. Per essere compresi in modo corretto, questi testi devono essere ripuliti da tutte queste “superstizioni”.
A costo di ripetere ogni volta le stesse cose: ogni volta che un teologo usa questi giri di parole, in realtà sta dando voce al proprio pregiudizio secondo il quale gli uomini delle epoche passate sarebbero stati degli emeriti rincoglioniti, ingenui, primitivi, dotati di scarso intelletto.
Ebbene.
A me in realtà sembra che la Chiesa (dai Padri dei primi secoli, fino al recente magistero, cfr. Lumen Gentium n.50) abbia sempre parlato degli angeli in modo razionale, sapendo distinguere la fede dalla superstizione.
A tal proposito, vi voglio nominare un’autrice che probabilmente non conoscete.
Suor Maria Pia Giudici (1922-2020) è stata una suora salesiana.
È morta il 20 febbraio 2020, all’età di 97 anni, nell’eremo di San Biagio a Subiaco (Roma).
Uno dei temi di maggiore interesse della suora – neanche a dirlo – erano proprio gli angeli, sui quali ha scritto numerosi libri (il più famoso dei quali è «Gli Angeli. Note esegetiche e spirituali»).
Verso la fine degli anni ’80, suo Maria Pia è stata intervistata dal giornalista Vittorio Messori, che si è soffermato sull’interesse della suora per queste creatura.
Nel corso dell’intervista, la salesiana ha citato papa Giovanni Paolo I (1912-1978), che lamentava il fatto che:
[…] gli angeli sono i grandi sconosciuti, di questi tempi. Qualcuno ha persino insinuato il dubbio che non siano persone. Molti non ne parlano. Sarebbe invece opportuno ricordarli più spesso come ministri della Provvidenza nel governo del mondo e degli uomini, cercando di vivere in familiarità con essi, come hanno fatto i santi.
(GIOVANNI PAOLO I, citato in VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul cristianesimo: sei tu il Messia che deve venire?, Società editrice internazionale, Torino 1987, p.239)
Poche battute dopo, la suora ha citato anche il filosofo e teologo ortodosso russo Pavel Evdokimov (1901-1970), il quale ha criticato lo sguardo snob con cui certi teologi cattolici liquidano l’esistenza degli angeli:
Tutto ciò che colpisce, che esorbita dall’esperienza sensibile e supera il senso comune viene sterilizzato. Così la religione è appiattita, resa prudente, in tutto ragionevole. E proprio per questo l’uomo d’oggi la rigetta.
(PAVEL EVDOKIMOV, citato in VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul cristianesimo: sei tu il Messia che deve venire?, Società editrice internazionale, Torino 1987, p.239)
La frase di Evdokimov mi ha fatto venire in mente un altro motivo per il quale – soprattutto in epoca moderna – siamo un po’ restii a parlare di angeli: cioè il fatto che non accettiamo che ci siano mediatori nel nostro rapporto con Dio.
Questo bias, ahimé, è una delle conseguenze della Riforma Protestante (per chi volesse approfondire la questione, lo rimando a questa pagina del blog):
- niente culto dei santi
- niente culto della Beata Vergine Maria
- niente culto degli angeli
Che dire?
Questo “taglio netto” può sembrare un passo verso la semplicità… ma a me sembra più una perdita che un guadagno.
Eliminare i mediatori ha tolto ricchezza e profondità alla fede, rendendola più solitaria e meno comunitaria (vi ricordo che noi cristiani crediamo che la Chiesa è composta sia dalla sua parte «militante» – cioè noi che viviamo “quiggiù” sulla terra – sia dalla parte «trionfante» – costituita da angeli, santi, beati e tutte le persone che ci precedono in Paradiso).
Infatti, nella visione cristiana, non è un segno di debolezza accettare l’aiuto degli angeli, dei santi e della Vergine Maria, ma un riconoscimento della bellezza del disegno di Dio, che opera attraverso molti canali.
(paragrafo bonus) • Tolkien e gli angeli
(Disclaimer: se non siete appassionati di Tolkien, forse questo paragrafo potrebbe non interessarvi eccessivamente. Non so… io metto le mani avanti: non c’è niente di peggio che attaccare una pippa fantasy a chi non piace il fantasy. Se rientrate in questa categoria, potete saltare direttamente alle conclusioni. Per tutti gli altri invece… ecco un ultimo paragrafo!)
Nel secondo paragrafo dicevo che ho deciso di scrivere una pagina sugli angeli dopo la lettura della Trilogia cosmica di Lewis.
Ebbene.
In realtà, già qualche anno prima, avevo letto una lettera di Tolkien nella quale – rispondendo ad una lettera del figlio nella quale faceva riferimento agli angeli custodi – il professore di Oxford aveva scritto delle parole molto belle a riguardo.
Vi riporto qui sotto lo stralcio in questione:
La tua allusione alla protezione del tuo angelo custode […] mi ha anche fatto venire in mente una visione improvvisa (o forse una percezione che subito è diventata un’immagine nella mia mente) che ho avuto non molto tempo fa quando ho trascorso una mezz’ora a St Gregory davanti ai Santi Sacramenti mentre vi venivano celebrate le Quaranta Ore.
Ho percepito oppure ho pensato alla Luce di Dio e in essa sospesa una piccola particella (o milioni di particelle ma la mia mente si dirigeva solamente verso una di queste), di un bianco lucente per il raggio emanato dalla Luce che tutte le sosteneva e le illuminava.
[…]
E il raggio era l’angelo custode della particella: non una cosa che si frapponeva fra Dio e la creatura, ma la stessa attenzione di Dio, personalizzata.
E non intendo «personificata», secondo una convenzione linguistica basata sulla tendenza del linguaggio umano, ma una vera (completa) persona.
Ripensandoci […] mi è venuto in mente che (parlo con cautela e non ho idea se questa nozione sia legittima: comunque è del tutto separata dalla visione della Luce e della particella sospesa) che questo è un essere finito parallelo all’Infinito.
Come l’amore del Padre e del Figlio (che sono infiniti ed identici) è una Persona, così l’amore e l’attenzione della Luce per la Particella è una persona (che sta sia con noi sia in Cielo): finita ma divina: cioè angelica.
(JOHN RONALD REUEL TOLKIEN, da una lettera a Christopher Tolkien del 7-8 novembre 1944, in JOHN RONALD REUEL TOLKIEN, La realtà in trasparenza : lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2001, p.114-115)
Ora.
Premesso che io non sono un teologo dogmatico.
Né un angelologo.
E che non ho chissà quali conoscenze cosmogoniche o so-un-cavolo-io.
E quindi potrei non cogliere eventuali inesattezze teologiche nelle parole di Tolkien…
…rimane il fatto che la lettura di questa lettera è stata un fulmine a ciel sereno.
Mi ha fatto guardare agli angeli – per la prima volta in vita mia – con una gravitas, una serietà, una dolcezza, una commozione, uno stupore per la perfezione con cui Dio fa le cose.
Che genio è stato il professore di Oxford nel riuscire a formulare questo pensiero così semplice, eppure così bello?
Tra l’altro, già che stiamo parlando di Tolkien, ne approfitto per spendere due parole sulla Storia della Terra di Mezzo.
(E che c’entra con gli angeli? Ci arriviamo tra poco…)
Per chi non lo sapesse, La Storia della Terra di Mezzo è una raccolta in dodici volumi, curata da Christopher Tolkien – il terzo (dei quattro) figli di Tolkien – e pubblicata tra il 1983 e il 1996, che esplora gli scritti inediti e le versioni preliminari delle opere di suo padre.
Non so se lo sapete, ma nell’arco della sua vita Tolkien è riuscito a pubblicare soltanto due opere che hanno a che fare con la Terra di Mezzo: Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit.
Il Silmarillion è un taglia-e-cuci pubblicato postumo da Christopher (nel 1977, quattro anni dopo la morte del padre); è basato sugli scritti di Tolkien… ma è stato modificato dal figlio, che ha:
- selezionato e organizzato gli appunti del padre
- integrato o creato nuove sezioni per colmare alcune lacune
- corretto nomi di personaggi e luoghi per renderli coerenti all’interno del racconto
Dato che gli appassionati di Tolkien avevano storto il naso di fronte alla scelta editoriale di Christopher, quest’ultimo ha deciso di pubblicare una serie di volumi con tutto il materiale manoscritto e dattiloscritto del padre, creando una vera e propria edizione critica del Legendarium (Christopher ha anche ammesso, col senno di poi, che la pubblicazione frettolosa del Silmarillion nel 1977 è stato un errore da parte sua… però – se devo dire la mia – sono felice che abbia commesso questo errore! Per chi volesse approfondire, lo rimando a CHRISTOPHER TOLKIEN, dall’introduzione del 1983 a JOHN RONALD REUEL TOLKIEN, La Storia della Terra di Mezzo : Il Libro dei Racconti Perduti – Prima parte, Bompiani, Milano 2022, p.11).
Detto questo.
Vi devo fare una confessione.
Molti di voi pensano che io sia un «tolkieniano di ferro».
Ebbene… non è affatto vero!
Intendiamoci.
A me piace molto Tolkien.
Penso che Il Signore degli Anelli e Il Silmarillion siano i miei due romanzi preferiti.
L’epistolario del professore di Oxford è pieno di pensieri bellissimi.
E anche Albero e Foglia contiene spunti interessanti…
…però La storia della Terra di Mezzo è un po’ too much per me.
Cioè.
Detto papale papale.
Sapere che nella prima versione del racconto di «Beren e Lúthien» Beren non era un Umano, ma un Elfo… o sapere che nella prima versione de «La venuta dei Valar e la costruzione di Valinor» Melko stesso ha aiutato i Valar a costruire i pilastri delle lampade…
…ecco…
…con tutto il rispetto…
…sti cavoli! Mi basta (e mi avanza) il Silmarillion!

Comunque.
Detto questo.
Sperando di non aver infastidito nessun appassionato di Tolkien.
Negli ultimi anni – per motivi di studio – mi sono trovato a leggere i volumi della Storia della Terra di Mezzo (pensa te quanto sono scemo!).
I testi – neanche a dirlo – sono molto belli, ed è impressionante constatare quanto tempo ed energie Tolkien abbia speso nella redazione del suo Legendarium (ogni tanto, leggendo, pensavo con una nota di malinconia: «Povero Tolkien! Quanti testi lasciati a metà! Chissà quanto tempo libero in più avrebbe voluto avere, per dedicarsi con un po’ più di calma a questo lavoro!»)…
…però la cosa che più mi colpisce (nella History così come nel Silmarillion) è il modo in cui le potenze angeliche (*) intervengono nelle sorti della Terra di Mezzo.
(*) (gli Ainur di cui parlavo sopra)
A volte questo intervento è diretto.
Altre volte è più sfumato.
Altre volte viene semplicemente suggerito.
Però è interessante il fatto che Tolkien abbia raffigurato le potenze celesti come degli intermediarî che aiutano i popoli della Terra di Mezzo.
Tra l’altro, se un lettore distratto non facesse caso a questa cosa, è Christopher stesso che tra le sue note e commenti al testo, fa notare questi dettagli.
Cito a titolo di esempio due passaggi tratti dal secondo volume della History:
Si suggerisce spesso che i Valar esercitassero in qualche modo un influsso diretto sulle menti e sui cuori dei lontani Elfi delle Grandi Terre.
Così si afferma (p.23) che i Valar dovevano aver ispirato l’abile discorso di Beren a Melko, e mentre questo potrebbe anche essere solo un abbellimento “retorico” è chiaro che quando Tinúviel sogna Beren bisogna accettare che il suo è “un sogno dei Valar” (p.28).
Anche dopo, “i Valar le posero in cuore una nuova speranza” (p.63), e più avanti nel racconto di Vëannë i Valar sono visti come “destini” attivi che guidano le sorti dei personaggi; sono così i Valar che “guidarono” Huan a ritrovare Beren e Tinúviel in Nan Dumgorthin (p.48), e Tinúviel dice a Tinwelint che “solo i Valar hanno salvato [Beren] da una morte crudele” (p.51).
(CHRISTOPHER TOLKIEN, da un commento a «Il racconto di Tinúviel», in JOHN RONALD REUEL TOLKIEN, La Storia della Terra di Mezzo : Il Libro dei Racconti Perduti – Seconda parte, Bompiani, Milano 2022, p.91)
Come nel Racconto di Tinúviel (vedi p.91), anche nel Racconto di Turambar sono presenti diversi riferimenti al potere dei Valar nelle vicende degli Uomini e degli Elfi nelle Grandi terre – e a preghiere, sia di ringraziamento sia di richiesta, a loro rivolte; così i custodi di Túrin “ringraziarono i Valar” per essere riusciti a compiere il viaggio fino in Artanor (p.97), mentre, fatto più rilevante, Úrin “aveva invocato i Valar dell’Ovest, avendo appreso molte cose sul loro conto dagli Eldar di Kôr – gli Gnomi da lui incontrati – e le sue parole, chissà come, erano giunte fino a Manwë Súlimo sulle altitudini di Taniquetil” (p.102). […]
Ottenne “risposta” la sua preghiera? Forse questo è il significato dell’espressione assai strana “come volle la fortuna dei Valar” (p.105), riferita a quando Flinding e Beleg trovarono Túrin che giaceva vicino al punto in cui erano entrati nell’accampamento degli Orchi.
Sogni inviati dai Valar giungevano ai capi dei Rodothlim, benché ciò fosse più tardi modificato e il riferimento ai Valar eliminato (p.110 e nota 10); gli Uomini dei Boschi dicevano. “Volessero i Valar sollevare l’incantesimo che grava su Níniel” (p.130), e Túrin “imprecò amaramente contro i Valar e il proprio destino sciagurato” (p.141).
(CHRISTOPHER TOLKIEN, da un commento a «Il racconto di Turambar», in JOHN RONALD REUEL TOLKIEN, La Storia della Terra di Mezzo : Il Libro dei Racconti Perduti – Seconda parte, Bompiani, Milano 2022, p.180)
E niente.
Ho sempre apprezzato questi “indizî” sparsi qua e là nel Legendarium di Tolkien.
È molto bello il fatto che i suoi scritti – pur non essendo esplicitamente teologici – contengano in germe così tanti aspetti della fede cristiana.
Conclusione
Anche oggi, mi sembra di aver attaccato un pistolotto sufficientemente denso.
In conclusione, vi lascio due stralci del filosofo francese di origine ebraico/tunisina Fabrice Hadjadj (classe ’71) che non mi entravano negli altri paragrafi… ma che era un peccato rimuovere del tutto:
Per pensare l’uomo, non si può prescindere dagli angeli.
Senza di loro, sono costretto a definirlo solo in rapporto agli animali: l’uomo è un animale dotato di ragione.
Mi concentro su questa differenza specifica, canto la dignità della sua coscienza, mostro l’eccellenza della sua soggettività.
Ma dovendolo distinguere dalle altre creature intellettuali, questa definizione viene rovesciata.
L’elemento secondario diventa improvvisamente l’essenziale: l’uomo – sono costretto a spiegare – è uno spirito dotato di carne.
Egli non è più l’animale superiore, quanto piuttosto lo spirito più debole.
Tanto debole che non può disporre da sé degli atti di conoscenza e d’amore.
Ma la carne gli viene in soccorso.
Essa appare come ciò che lo specifica meravigliosamente.
La sua intelligenza e la sua volontà possono fiorire grazie alla supplenza di quest’ultima, con la forza delle sensazioni e delle passioni che essa procura loro con il suo contatto con il mondo materiale.
(FABRICE HADJADJ, Mistica della carne : la profondità dei sessi, Medusa, Milano 2020, p.162)
Ciò che agli angeli manca, non è di essere intelligenti (da questo lato, essi ci superano), ma di essere impastati con il fango di questa terra e, più precisamente, di provenire dall’unione dei sessi.
I teologi ci spiegano che «è impossibile che due angeli siano della stessa specie» (TOMMASO D’AQUINO, S.Th.I, q.50, art.4).
Ognuno di essi è stato creato direttamente da Dio.
Ognuno forma un tutto completo, senza dipendere da altri quanto alla sua natura.
Viceversa, noi siamo intrecciati gli uni agli altri attraverso la nostra fecondità carnale.
Indubbiamente Dio crea ogni volta l’anima spirituale che viene a unirsi al corpo scaturito dalla congiunzione dei genitori, ma esso risponde alla loro causalità dispositiva, obbedisce, in certa maniera, alle conseguenze oscure dell’amplesso.
Relativamente agli altri spiriti, ci contraddistingue più il coitus che il cogito.
Un angelo potrebbe dire: Cogito ergo sum.
Mentre ciò che non può assolutamente dire è Coeo ergo erit – copulo dunque sarà, oppure: Coiverunt ergo sum, copularono dunque io sono.
Questa origine sessuale ci unisce tutti quanti, a partire da una coppia originaria, in una comunità di specie.
Anche se le più profonde divergenze spirituali ci dividono, questa comunità carnale rimane, infrangibile.
(FABRICE HADJADJ, Mistica della carne : la profondità dei sessi, Medusa, Milano 2020, p.163)
sale
(Inverno 2024-2025)
- CLIVE STAPLES LEWIS, Lontano dal pianeta silenzioso (Trilogia cosmica Vol. 1), Adelphi, Milano 2011
- CLIVE STAPLES LEWIS, Perelandra (Trilogia cosmica Vol. 2), Adelphi, Milano 2011
- CLIVE STAPLES LEWIS, Quell'orribile forza (Trilogia cosmica Vol. 3), Adelphi, Milano 1999
- GIULIO MASPERO, Creatore perché padre : introduzione all'ontologia del dono, Cantagalli, Siena 2012
- MARKO IVAN RUPNIK, Dire l'uomo - Volume 1: Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2011
- TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, I-I, q.50-64