In che consiste la speranza cristiana?

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1 • Andrà tutto bene (?)

In una poesia tanto sconosciuta quanto bella, Giacomo Leopardi (1798-1837) chiedeva ad un amico:

[…] di che speranze il core
vai sostentando?
(GIACOMO LEOPARDI, Epistola al conte Carlo Pepoli, vv. 3-4)

Due secoli dopo, siamo ancora qui, a cercare una risposta alla stessa domanda: in cosa speriamo?

Durante i primi mesi di lockdown del 2020, per esorcizzare la paura del Covid, ripetevamo slogan come:

  • «Andrà tutto bene!»
  • «Ce la faremo!»
  • «Ne usciremo migliori!»
  • «Oggi siamo divisi, ma domani saremo più uniti di prima!»
speranza ottimisti pessimisti

Guardandomi intorno, mi sembra che in giro ci siano tanti spacciatori di «speranza a buon mercato».

Tutti noi (io per primo) cerchiamo qualcosa a cui aggrapparci, per provare a fronteggiare un futuro che per mille motivi (economici, ambientali, sociali, geopolitici) sembra sempre più incerto.

Ciascuno di noi spera in qualcosa.

Ciascuno di noi – anche il più disperato – ripone una segreta aspettativa in qualcosa (fosse anche per «tirare a campare»).

Mai come ai nostri giorni, ho l’impressione che la parola «speranza» sia usata spessissimo.

Proprio per questo, credo che dovremmo un po’ tutti imparare a smascherare tante false speranze che ci vengono vendute dalla cultura contemporanea, dagli influencer di Instagram, dai guru di Youtube, dai politici.

2 • In cosa sperare?

Vorrei evitare in ogni modo possibile di scrivere una paginetta in cui parlo del modo in cui «gli altri» si aggrappano a tante cose, riponendo in esse la loro speranza…

…quindi parto dal «metro quadrato che mi circonda»: nel corso della mia vita, IO ho attaccato il cuore a tante di quelle cose che la metà sarebbero bastate.

Ad esempio.

Quando frequentavo l’università, uno dei pensieri che mi faceva guardare al futuro con serenità era il fatto che stessi frequentando ingegneria…

sale spocchioso

Un altro pensiero che mi metteva sicurezza (strettamente connesso al primo), era l’idea che avrei potuto guadagnare molti soldi.

Ogni tanto mi trovavo a fare pensieri tipo:

guadagnare molti soldi

Un’altra mia speranza, fin da quando ero più piccolo (ma neanche poi troppo piccolo 🥸), sono stati i videogiochi.

Qualcuno potrebbe dire: «Scusa, Sale… capisco il «posto fisso»… capisco un buono stipendio… ma come fai a “sperare” nei videogiochi?».

Mhh.

Ditemi voi se sto dicendo una scemenza…

…ma secondo me, nel contesto culturale in cui viviamo, i videogiochi sono uno dei tanti svaghi a cui è facilissimo attaccare il cuore, per distrarsi dalle inquietudini quotidiane.

E infatti, io ci sono cascato in tutte le fasi della mia vita:

  • Brutto voto a scuola? Dai, stacco un po’ il cervello e mi distraggo con Diablo II
  • Esame all’uni andato male? Dai, non pensiamoci… un paio di partite in ladder a Warcraft III per rifocillarmi…
  • Giornata di lavoro pesante? Dai, dopo otto ore di fatica, un paio di ore davanti a Dark Souls ci stanno tutte…

Vi ho raccontato un paio di aneddoti autobiografici, ma se allarghiamo un po’ il cerchio, si può facilmente constatare che ognuno ha la sua segreta speranza:

  • qualcosa che ha trovato, e che spera di non perdere;
  • o, al contrario, qualcosa che rincorre, un obiettivo che gli dà la benzina per vivere proiettato in una direzione.

Gli esempî si sprecano:

  • per qualcuno può essere il lavoro… o un contratto a tempo indeterminato…
  • per qualcuno possono esere i soldi…
  • per qualcuno può essere il sesso… o magari la ricerca dell’anima gemella
  • per qualcuno può essere un’ideale: la giustizia… il bene comune… il paradiso in terra

Ebbene.

Non vorrei deludervi…

…ma tutte queste speranze sono fragili. Instabili. Inconsistenti.

Oggi ci sono. Domani chissà.

E anche se ci fossero domani, potremmo non esserci più noi ☠️.

Nessuna di queste speranze, infatti, può allungare anche solo di un giorno il tempo della nostra vita.

Posso confidare nel lavoro… nei soldi… nell’aver ottenuto il trofeo di platino a Bloodborne

…ma un giorno morirò.

E tutto questo finirà.

3 • Il paradiso in terra (?)

Ci sono tante persone, anche all’interno della Chiesa, che pensano che la «speranza cristiana» consista nel «costruire il regno di Dio in terra»:

  • con un programma politico
  • con l’impegno civico
  • con una proposta socio-culturale

Nell’introduzione di un suo libro del 1985, Joseph Ratzinger (1927-2022) scriveva queste righe:

La speranza divenne in tal modo politica, la sua realizzazione sembrava essere affidata all’uomo stesso. Il regno di Dio, attorno al quale tutto il cristianesimo ruota, sarebbe diventato il regno dell’uomo, il «mondo migliore» di domani: Dio non sta «in alto, ma davanti».

(JOSEPH RATZINGER, Escatologia: morte e vita eterna, Cittadella Editrice, Assisi 2008, p.8)

Il libro si intitola «Escatologia».

Per chi non lo sapesse, l’escatologia è quella branca della riflessione teologica che si interroga sul destino dell’umanità e delle singole persone:

  • «Qual è il fine della vita dell’uomo?»
  • «C’è qualcosa dopo la morte?»
  • «Ci sarà un giudizio?»
  • «Quale sarà il “metro di giudizio”?»
  • «Nel tempo che ci è dato di vivere sulla terra, cosa siamo chiamati a fare come cristiani?»

Il cardinal Ratzinger ha notato che negli ultimi tempi la riflessione cristiana sull’escatologia si è secolarizzata.

In che senso?

Vediamo un po’.

Qual era il criterio con cui i primi cristiani rispondevano a queste domande?

Beh, il criterio erano le parole di Gesù:

Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio (*) e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

(Mt 6,31-34)

Il mio regno non è di questo mondo (*); se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù.

(Gv 18,36)

(*) (Ora non vorrei attaccare una pippa su cosa sia questo fantomatico «regno di Dio»… per chi volesse, avevo speso qualche parola nel 2019; comunque, per sintetizzare… i cristiani hanno sempre vissuto con piedi per terra, e con lo sguardo verso il Cielo)

Nell’ultimo secolo invece l’escatologia ha avuto un cambio di rotta

…o almeno, questo è ciò che sostiene Ratzinger nel suo libro:

Questo processo di secolarizzazione della riflessione escatologica cristiana ha evidentemente succhiato a poco a poco la linfa dalla coscienza credente, le ha estraniato gli impulsi della speranza cristiana, trasformando quest’ultima in una fede nel progresso terreno.

(JOSEPH RATZINGER, Escatologia: morte e vita eterna, Cittadella Editrice, Assisi 2008, p.29)

Trasformando l’escatologia in utopia politica si depotenzia contemporaneamente la speranza cristiana; conferendole apparentemente un aspetto realistico, la si priva insieme del suo contenuto specifico, per cui essa si muta in un surrogato illusorio.

(JOSEPH RATZINGER, Escatologia: morte e vita eterna, Cittadella Editrice, Assisi 2008, p.68-69)

Negli ultimi anni, mi è capitato spesso di sentire:

  • teologi che parlano di tutto tranne che di Dio, e che hanno confuso la «speranza cristiana» con l’«attivismo»;
  • teologhe che hanno barattato la fede cristiana con un’ideologia (il socialismo, il femminismo o qualche altra utopia socio-politica);
teologi moderni

Ora.

Qual è il problema di fondo?

Scusate se mi ripeto per l’ennesima volta: il problema è che l’uomo ha una natura ferita.

Il problema è che molti dei teologi che parlano di fraternità, di ambiente, di diritti civili, di femminismo e di mille altre tematiche (più o meno importanti) hanno perso di vista l’essenziale.

Molti teologi hanno dimenticato che se la libertà dell’uomo non agisce in sinergia con la grazia di Dio, non c’è nessuna speranza, programma politico o proposta socio-culturale a cui possiamo attaccarci:

Il cambiamento della natura umana e insieme del mondo intero, [che è possibile solamente per un miracolo della grazia,] viene trasformato nel criterio base per ogni agire politico.

(JOSEPH RATZINGER, Escatologia: morte e vita eterna, Cittadella Editrice, Assisi 2008, p.69)

Molte teologhe hanno dimenticato che Gesù è stato molto chiaro: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5).

Senza di Lui non si può fare NULLA:

  • senza di Lui, non diventeremo più ecologici;
  • senza di Lui, non diventeremo «più fratelli»;
  • senza di Lui, possiamo urlare ad alta voce #metoo, #nonunadimeno o l’hashtag che più vi aggrada, ma non cambierà nulla nel cuore delle persone.

In altre parole: senza di Lui, rincorriamo utopie… e le utopie portano con sé solo violenza e sofferenza:

[…] dove dunque l’impossibile diviene il filo conduttore della realtà, la violenza, la distruzione della natura e insieme dell’humanum diventano intrinseca necessità.

(JOSEPH RATZINGER, Escatologia: morte e vita eterna, Cittadella Editrice, Assisi 2008, p.69)

4 • «Siamo al capolinea… o Dio può dire altro?»

Nella tradizione cristiana, la speranza è una delle cosiddette virtù teologali (insieme alla «fede» e alla «carità»).

Ma che significa?

Cos’è una virtù teologale?

In cosa «sperano» i cristiani?

Nell’arco del suo pontificato, Benedetto XVI (1927-2022) ha scritto una serie di tre encicliche, dedicate proprio alle virtù teologali.

Nel 2007 ha scritto quella sulla speranza (a mio inutilissimo avviso, la «Spe salvi» è l’enciclica più bella che io abbia letto… forse a parimerito con la «Fides et ratio» di Giovanni Paolo II).

Il papa ha aperto l’enciclica con queste domande:

[…] il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
Ora, si impone immediatamente la domanda: ma di che genere è mai questa speranza per poter giustificare l’affermazione secondo cui a partire da essa, e semplicemente perché essa c’è, noi siamo redenti? (*)
E di quale tipo di certezza si tratta?

(BENEDETTO XVI, Lett. enc. Spe Salvi, 1)

(*) (Nota mia: si sta riferendo alla frase di san Paolo citata poco prima: «nella speranza siamo stati salvati», Rm 8,24)

Per rispondere a queste domande, prendiamo un racconto del Vangelo di Matteo, che penso possa fare al caso nostro.

Nel quinto capitolo del Vangelo, c’è un brano in cui si parla di un uomo molto importante – uno dei capi della sinagoga – che ha una figlia di dodici anni.

Questa bambina si ammala… e poi muore.

Gesù però, di fronte alla notizia della morte della fanciulla, rimane sereno e dice: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme» (Mc 5,39).

black humor

Che risposta inverosimile…

…come sarebbe a dire che «la bambina dorme»?

No, non dorme. È morta per davvero.

La risposta di Gesù è talmente assurda, che le persone lì intorno iniziano a deriderlo (cfr. Mc 5,40).

Gesù però li ignora, e si incammina verso la casa del capo della sinagoga.

E qualche versetto dopo risuscita la bambina.

Rileggendo questi versi, don Fabio Rosini scriveva queste righe:

Si parte sempre da qui, e la domanda è sempre questa: siamo al capolinea o la corsa continua? Abbiamo detto l’ultima parola o Dio può dire altro?
[…]
Solo chi ha potere sulla vita e sulla morte.
Noi uomini non abbiamo questo potere.
Ma Dio ha potere di trasformare la morte in un sonno da cui potersi risvegliare.
Questa non può essere una convinzione filosofica da difendere per partito preso, questa deve essere un’esperienza, che, una volta fatta, genera uno sguardo diverso sulle persone.
Bisogna aver sperimentato che il Signore ha potere di dare la vita lì dove noi l’abbiamo smarrita.

E se questa esperienza c’è nella propria esistenza allora si può guardare a tanti che sembrano morti, arrivati, terminati, rotti, irrimediabilmente scassati come a gente che si può risvegliare.
Se non credessi questo non potrei annunziare il Vangelo.
E non potrei scrivere questo libro.
E lo credo non perché mi piace il concetto ma perché nella mia carne e nel mio spirito c’è una vita che non mi sarei potuto dare da me stesso.
Sono anche io un morto tornato alla vita, su questo non mi posso ingannare.
Per questo annunzio la vita, non la povera vita mortale che ci rubacchiamo fra noi, ma quella che viene dal Signore Gesù Cristo.
Quella che trasfigura ogni buio, ogni errore, ogni fallimento, ogni disastro in una rinascita. Quella che trasforma il sepolcro da punto di arrivo a punto di partenza.
Ed è per questo che vale la pena di provare a guarire ingaggiando battaglia contro la nostra rassegnazione, contro la convinzione che sia inutile provare a rialzarsi, che certe cose siano irrisolvibili. Bisogna disobbedire al certificato di morte che abbiamo stilato nel nostro cuore a riguardo di noi stessi, o a parte di noi.

(FABIO ROSINI, L’arte di guarire: l’emorroissa e il sentiero della vita sana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2020, versione Kindle, 12-13%)

5 • La virtù teologale della speranza

Come accennavo nel precedente paragrafo, la speranza è una «virtù teologale».

«Teologale» significa:

  • che NON è qualcosa che ti dai da solo;
  • che NON è questione di «mettertici d’impegno»;
andra tutto bene

«Teologale» significa che la speranza è un dono di Dio.

Cioè?

Torniamo all’esempio della pandemia, che facevo qualche riga più sopra.

Ora.

Mi scuso in anticipo per ciò che sto per dire…

Non vorrei passare per una persona cinica…

…ma l’ottimismo con il quale cercavamo di esorcizzare la paura del Covid era ingenuo.

Infantile.

Irrazionale.

Perché dico che era irrazionale?

Perché NESSUNO aveva la certezza che tutto sarebbe «andato bene».

E infatti, per tante persone le cose non sono andate affatto bene.

~

Qualche anno fa, ho letto l’epistolario della psichiatra e attivista polacca Wanda Półtawska (1921-…).

Per chi non la conoscesse, Wanda Półtawska è stata una delle più care amiche di Giovanni Paolo II; non ho il tempo di raccontarvi tutta la sua vita (per chi volesse, vi rimando alla bibliografia a fondo pagina), ma tra le tante croci che ha dovuto sopportare, tra il 1941 e il 1945 è stata prigioniera del campo di concentramento di Ravensbrück, dove per quattro anni è stata utilizzata come cavia umana negli esperimenti scientifici dei medici nazisti.

In una lettera scritta a Karol Wojtyła (all’epoca era un semplice sacerdote), Wanda scrive che:

Nell’uomo c’è anche una fiducia irrazionale, in me c’era; Ma essa non resiste alla prova – ho bisogno della fiducia più profonda.
Ora vedo l’enorme differenza tra l’ingenua affermazione fiduciosa «sarà quel che sarà» e la profonda fiducia dell’affidarsi a Dio sulla linea del suo amore costante. Prego per avere questa fiducia, che è prodotto di una fede consapevole in un Dio, verso cui non c’è affatto un altro rapporto che non sia l’affidarsi a Dio.

(WANDA PÓŁTAWSKA, Diario di un\’amicizia. La famiglia Poltawski e Karol Wojtyla, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, p.227)

Qual è la differenza tra l’ottimismo dell’«andrà tutto bene» e la speranza cristiana?

La speranza cristiana nasce da un incontro reale con Dio; dall’aver sperimentato realmente che Dio non è una «ipotesi esplicativa della realtà», ma è un Padre.

Un ottimista è una persona che è caduta in un pozzo, e vorrebbe tirarsi fuori da solo, afferrandosi per i capelli.

Un cristiano spera in Dio perché ha fatto esperienza nella propria vita del fatto che Dio è fedele.

Un cristiano ha fatto esperienza del fatto che, anche quando il mare è in tempesta e la nave imbarca acqua (cfr. Mc 4,35-41), non c’è nulla di cui aver paura, perché Dio ci vede più lungo.

Un cristiano ha fatto esperienza nella propria vita del fatto che persino la morte non ha l’ultima parola:

Dovremmo immaginare un contadino che si avvicina a un seme e dice: «Ho sbagliato a toglierlo dal sacco e metterlo dentro la terra, perché adesso sta marcendo; non mi piace vederlo marcire, lo tolgo dalla terra, lo rimetto nel sacco». Quella sì che è morte: toglierci dalla logica in cui la sofferenza è illuminata da una luce di fondo. È la luce della spiga che si intravede per dono di Dio dentro il seme. Nessuno di noi ha occhi abbastanza forti e potenti da poter vedere la spiga che è nascosta dentro il seme.
La virtù teologale della Speranza è avere l’intima certezza, l’intimo sguardo di intuire la spiga dentro il seme, di intuire la vittoria nel fallimento.
«Signore, sto perdendo tutto, sto morendo, non ho più nulla, ma ho la Speranza», cioè l’intuizione che dentro tutto quel dolore, quel fallimento, è nascosto qualcosa, un bene, la spiga.

(LUIGI MARIA EPICOCO, Sale non miele, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, p.96)

Non so se avete presente il racconto del Vangelo in cui Gesù sale sul monte Tabor insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni e si trasfigura davanti a loro.

In entrambi i Vangeli che riportano questo episodio (cfr. Mt 17,1-9; Mc 9,2-10), i discepoli rimangono folgorati dalla bellezza di quel momento.

Al termine di questo momento in cui i discepoli contemplano la sua gloria, Gesù dice loro che di lì a poco tempo dovrà soffrire molto – sta alludendo alla propria crocifissione.

Commentando questo passaggio del Vangelo, don Luigi Maria Epicoco ha scritto queste righe:

Perché, però, è interessante questa esperienza del Tabor?
Perché Gesù sa bene che l’unica maniera per reggere la notte è farsi una scorpacciata di luce preventiva.
Vuol far fare ai suoi discepoli un bagno di luce. È l’unico modo per poter far attraversare loro la notte.
Il Tabor è necessario al Calvario.
È l’esperienza di vedere, di toccare con la parte più profonda noi, che al fondo di tutto c’è la divinità del Figlio di Dio, c’è un bene nascosto.
Quando tu sai che lì dentro c’è nascosto un bene, verrà un giorno in cui tutto ti dirà il contrario e solo la memoria di quella luce ti potrà salvare. Nell’ora della Croce, nell’ora del Calvario tu non vedi più la luce, ma solo la memoria della luce può non farti scappare. È la memoria profonda, il ricordarci che una volta l’abbiamo vista quella luce. Questo ci salva nella notte.

(LUIGI MARIA EPICOCO, Sale non miele, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017, p.86)

Conclusione

Ho il timore che questi discorsi possano suonare come delle supercazzole.

Soprattutto se li legge qualcuno che ha una fede tiepida.

O qualcuno che non è affatto cristiano.

Ci sta.

Lo capisco benissimo.

Se c’è una cosa che ho imparato negli ultimi anni di aridità spirituale è che il cristianesimo non è “una teoria”… il cristianesimo è un’esperienza.

Non si può “spiegare” la fede a qualcuno, augurandosi che quella persona poi si converta.

Così come non è possibile che qualcuno – leggendo un libro di neuroscienze nel quale vengono spiegati tutti i processi bio-elettro-chimici all’interno del cervello di una persona innamorata – si innamori.

Non ci si può innamorare con una spiegazione.

Allo stesso modo, non si può conoscere Dio leggendo libri. O leggendo un blog su internet.

E questo è ancor più vero nel contesto culturale in cui viviamo, in cui «ci siamo assuefatti al concetto cristiano di Dio» (cfr. BENEDETTO XVI, Lett. enc. Spe Salvi, 3) e crediamo di sapere già tutto su di Lui.

Mentre invece, molte persone (e molti sedicenti cristiani) non lo hanno mai visto in faccia.

~

E niente.

Spero di avervi messo qualche pulce nell’orecchio su cosa sia (e cosa NON sia) la speranza cristiana.

Chiudo con un’ultima citazione, del teologo e cardinale ceco Tomáš Špidlík (1919-2010):

La vita dell’uomo dipende dalla soluzione che trova alla morte.

(TOMÁŠ ŠPIDLÍK, citato in Marko Ivan Rupnik, Il giorno al giorno ne affida il racconto : l’esperienza del padre, Lipa, Roma 2019, p.17)

sale

(Estate 2023)

Fonti/approfondimenti
  • GIACOMO LEOPARDI, Epistola al conte Carlo Pepoli, 1826
  • BENEDETTO XVI, Spe Salvi (enciclica sulla speranza cristiana)
  • FABIO ROSINI, L'arte di guarire : l'emorroissa e il sentiero della vita sana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2020
  • WANDA PÓŁTAWSKA, Diario di un'amicizia. La famiglia Poltawski e Karol Wojtyla, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010
  • LUIGI MARIA EPICOCO, Sale non miele. Per una fede che brucia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2017

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