Oltre il femminismo e il maschilismo: uguaglianza, differenza e complementarietà tra uomini e donne

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1 • «Uguaglianza»… ma in che senso?

Nel contesto culturale odierno, io credo che la parola «uguaglianza» sia molto fraintesa:

  • «uguaglianza» tra uomini e donne;
  • «uguaglianza» tra bianchi e neri;
  • «uguaglianza» tra gay ed etero;
uguaglianza di opinioni

Credo anche che – il più delle volte – le persone usino la parola «uguaglianza» senza interrogarsi troppo sul suo reale significato.

È utilizzata a mo’ di «asso pija tutto».

Si parla di «uguaglianza» come se fosse la risposta universale a ogni ingiustizia:

  • economica
  • sociale
  • culturale
  • di genere
  • razziale
  • religiosa

In realtà, però, basta esaminare leggermente più a fondo un qualsiasi aspetto della realtà per rendersi conto che… non è tutto così semplice.

Oh, famo a capisse.

Un conto è parlare di uguaglianza quanto a dignità della persona – cioè il riconoscimento del valore intrinseco di ogni essere umano, uomo o donna, ricco o povero, bianco o nero, sano o malato.

Su questo siamo tutti d’accordo (*).

(*) (in realtà ci sono tante persone che non sono d’accordo con questa cosa… ma non è questo il tema della pagina del blog)

Invece.

Un altro paio di maniche è l’idea di trattare tutti in modo identico, senza considerare le differenze e le necessità specifiche di ciascuno:

  • un bambino ha necessità differenti da quelle di un adulto;
  • una persona malata ha necessità differenti da quelle di una persona sana;
  • un uomo ha necessità differenti da quelle di una donna;
  • una donna ha necessità differenti da quelle di un uomo.

Ecco.

Ho voluto scrivere deliberatamente gli ultimi punti dell’elenco per entrare nel vivo della questione.

Rimanendo su un dato puramente biologico, nella nostra specie, la Natura ha fatto sì che, mediamente:

  • le donne siano fisicamente meno forti degli uomini (ed è il motivo per cui negli sport uomini e donne competono in due categorie differenti);
  • gli uomini sono più pesanti delle donne (in Italia, il peso medio degli uomini è di circa 79 kg, delle donne invece è di circa 64 kg);
  • le donne hanno il ciclo mestruale, gli uomini no (con tutto quello che comporta in termini di dolori, variazioni di ormoni in circolo per il corpo, etc.);
  • le donne possono essere incinte, gli uomini no (con tutto quello che comporta in termini di nausee, sbalzi ormonali, limitazioni sulla dieta alimentare, necessità di interrompere il proprio lavoro, etc.);

Insomma: maschi e femmine sono diversi.

Nella specie umana le differenze sono di un certo tipo.

Ma se si prende qualsiasi altra specie animale, si possono osservare altre differenze (come sicuramente saprete, in molte specie sono gli esemplari femminili a essere più forti e/o robusti dei maschi: mantidi religiose, vedove nere, varie specie di rapaci come falchi e aquile, civette, gufi, rane pescatrici, iene maculate, elefanti marini, formiche, api, etc.).

Dunque.

Alla luce di quanto detto fin qui – secondo me – nel nostro contesto culturale, la ricerca dell’«uguaglianza» è spesso fraintesa.

Perseguire l’uguaglianza a tutti i costi, senza distinguere tra situazioni diverse, rischia di trasformarsi in un’ingiustizia.

Facciamo un esempio sciocco.

Una donna che fa boxe non può gareggiare nel campionato di pugilato maschile.

Per trattarla in modo giusto, è necessario trattarla in modo diverso, facendola gareggiare in una categoria differente – quella femminile.

Ovvero, fuor di esempio:

  • c’è un modo giusto di intendere e perseguire l’uguaglianza;
  • c’è un modo sbagliato di intendere e perseguire l’uguaglianza a tutti i costi;
  • e non sempre trattare in modo uguale persone diverse può essere un bene

2 • È «sessista» parlare della differenza tra uomo e donna?

Molte persone dicono che la Chiesa è sessista

  • «…perché parla di una differenza tra uomini e donne»
  • «…perché subordina le donne agli uomini»
  • «…perché insiste sulla “vocazione materna” come prioritaria per le donne»
  • «…perché le sante sono presentate come modelli di obbedienza e purezza»
protestanti woke

(Per chi pensasse che in questa vignetta io abbia esagerato, può guardare questo reel per farsi venire un brividino di ateismo lungo la schiena)

In realtà la Chiesa dice – e ha sempre detto – due cose:

  • che uomini e donne sono uguali quanto a dignità (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n.371, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n.111)
  • che uomini e donne sono diversi nella loro dimensione corporea e psicologica (e anche spirituale, ma ora non vorrei appesantire la pagina)

Per quanto riguarda la dimensione corporea, penso ci sia poco da dire: abbiamo un corpo sessuato.

Non solo il nostro corpo come organismo, ma ogni singola cellula del nostro corpo è sessuata (cromosomi XX per le donne, XY per gli uomini).

Per quel che concerne gli aspetti psicologici, forse è un po’ più difficile cogliere questa differenza.

Non perché non esista, ma perché negli ultimi anni c’è stata una forte pressione ideologica che ha cercato di appiattire, sbiadire e cancellare le differenze tra uomini e donne – complici influencer, personaggi dello spettacolo, film, serie tv e altre opere multimediali (per chi fosse interessato, lo rimando alla pagina del blog sull’ideologia gender).

In realtà, se si cerca con un minimo di attenzione, non mancano le pubblicazioni che riscontrano una differenza nel funzionamento della psiche degli uomini e delle donne:

  • sia in ambito accademico: a titolo di esempio vi cito uno studio recente, che suggerisce che l’esperienza stessa della genitorialità modella in modo differente la mente di padri e madri, con adattamenti neurologici specifici per ciascun sesso, che favoriscono ruoli complementari (per chi volesse approfondire, lo rimando al lavoro di Eyal Abraham e Ruth Feldman, «The Neural Basis of Human Fatherhood: A Unique Biocultural Perspective on Plasticity of Brain and Behavior»)
  • sia in ambito divulgativo: il medico e saggista francese René Écochard, nel suo libro Uomo, Donna: Che cosa ci dicono le neuroscienze, riassume molte di queste scoperte, dimostrando come le neuroscienze evidenzino differenze specifiche e complementari tra il cervello maschile e femminile.

Insomma, penso che la ricerca scientifica (*) possa ancora dirci tanto sulla complementarietà e sulle differenze biologiche e psicologiche tra uomini e donne.

(*) (quella non prezzolata, almeno)

A tal proposito, una ventina di anni fa, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace scriveva che:

Il «maschile» e il «femminile» differenziano due individui di uguale dignitià, che non riflettono però un’uguaglianza statica, perché lo specifico femminile è diverso dallo specifico maschile e questa diversità nell’uguaglianza è arricchente e indispensabile per un’armoniosa convivenza umana.
(Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n.146)

A questo punto, qualcuno potrebbe chiedere: e quali sarebbero lo specifico maschile e quello femminile?

Apriti cielo!

In un’altra pagina del blog ho scritto quasi 50.000 battute per parlare di ciò che significa «maschile», ciò che significa «femminile», che ruolo hanno «natura» e «cultura» nel determinare la sfera semantica di questi due concetti, e cosa rende un uomo «uomo» e una donna «donna» (per chi se la fosse persa, questo è il link).

Quello che vorrei aggiungere qui è solo una considerazione molto spicciola, basata sul senso comune.

Uomini e donne, sulla terra, dovrebbero aver superato gli 8 miliardi nel 2023.

Approssimativamente, siamo 4.04 miliardi di uomini e 3.96 miliardi di donne.

Ebbene.

Per ciascuno dei due sessi, si potrebbe fare un grafico per misurare determinate caratteristiche degli uni o degli altri.

Non so… si potrebbero misurare:

  • altezza
  • peso
  • forza fisica
  • capacità di ascolto
  • determinazione
  • attenzione ai dettagli
  • sensibilità
  • empatia
  • etc.

Alcune di queste grandezze sono molto facili da misurare: altezza, peso, massa muscolare.

Per altre bisognerebbe scegliere un criterio univoco (ad esempio, per la forza fisica si potrebbe valutare qual è il peso massimo che un uomo o una donna possono sollevare sopra la propria testa).

Altre ancora, essendo più difficili da definire, probabilmente richiederebbero la correlazione dei dati di varie branche scientifiche (penso alla capacità di ascolto, o all’attenzione ai dettagli, che potrebbero richiedere numerosi test teorici, pratici, multi-disciplinari, etc.).

Comunque… per spiegare quello che voglio dire, vorrei fare alcuni esempî.

Primio esempio: prendiamo in considerazione l’altezza degli uomini e delle donne.

Se misurassimo in un grafico l’altezza degli uomini, e in un altro l’altezza delle donne, in entrambi i casi otterremmo una curva gaussiana:

gaussiana

Il valore medio nel grafico degli uomini è di 177,8 centimetri (circa).

Quello delle donne di 164,6 centimetri (circa).

Queste due curve – pur sovrapponendosi in parte – presentano differenze evidenti.

Orbene.

Facciamo un secondo esempio: andiamo a misurare la forza fisica degli uomini e delle donne.

Anche in questo caso, otteniamo due gaussiane.

E anche in questo caso, otteniamo due curve differenti.

È possibile (anzi, è certo) che alcune donne all’estremo destro della loro curva superino la media maschile (e che quindi siano in grado di sollevare pesi maggiori rispetto all’uomo medio)…

…ma mediamente gli uomini sollevano pesi maggiori rispetto alle donne.

Bene.

In modo analogo a quanto detto (sebbene sia più complesso), potremmo rappresentare su un grafico altre caratteristiche di uomini e donne – livello di attenzione, sensibilità, determinazione, empatia, autostima, etc.

Ed probabile (anzi, è certo) che queste curve mostrino differenze tra gli uomini e le donne, legate:

  • al differente sviluppo corporeo
  • alla conformazione neurologica, sviluppatasi in base alle differenti percentuali di ormoni secreti dalle ghiandole maschili e femminili
  • al contesto culturale in cui sono nati e cresciuti

Ebbene.

Nonostante io sia il primo a dire che certamente i fattori culturali e sociologici abbiano un peso molto importante nella nostra crescita e sviluppo (l’educazione ricevuta, il contesto sociale, etc.)…

…credo che la tendenza contemporanea a ricondurre le differenze tra maschile e femminile unicamente a fattori culturali (escludendo cioè la biologia, la neurologia, la natura) sia un grave errore.

Insomma.

Sperando che gli esempî che ho fatto siano stati chiari.

Prima di dare del «sessista» a qualcuno/a (che sia la Chiesa o un tuo amico), io mi interrogherei prima sulla possibilità che l’affermazione fatta da qualcuno non rientri invece nel modo in cui statisticamente si comportano uomini e donne:

  • statisticamente, gli uomini sono più forti delle donne
  • statisticamente, le donne tendono a sviluppare una maggiore empatia rispetto agli uomini
  • statisticamente, gli uomini sono più inclini a rischiare rispetto alle donne
  • statisticamente, le donne tendono a comunicare e condividere di più rispetto agli uomini
  • statisticamente, gli uomini tendono ad avere una maggiore densità muscolare rispetto alle donne
  • statisticamente, le donne sono più inclini a sviluppare strategie collaborative rispetto agli uomini
  • statisticamente, gli uomini sono più propensi a intraprendere attività sportive competitive rispetto alle donne
  • etc.

(Non vi riporto le fonti di queste statistiche per non appesantire la paginetta… potete chiederle a chatGPT)

Insomma, alcune volte non si tratta di sessismo… ma di statistica.

3 • È «sessista» parlare di complementarietà tra uomo e donna?

Nei primi due capitoli della Genesi, è descritta la creazione (per chi volesse approfondire la questione «creazionismo vs evoluzionismo», lo rimando a questa pagina del blog).

Dopo che Dio ha creato la terra, il sole, il mare, le piante, gli animali… crea Adamo.

Poche righe dopo, Dio dice:

«Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». […] Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.
(Genesi 2,18.21-22)

Anche qui… apriti cielo:

  • «Come si permette Dio di creare la donna come “aiuto” dell’uomo?»
  • «“Aiuto” a chi?»
  • «Io sono una donna indipendente, autonoma, self-made!»
  • «Aiutare un uomo? Io? Pfui!»
zia molesta

Ora.

Fuor di ironia.

Ho conosciuto più di una persona che di fronte al testo di Genesi – in cui Dio crea la donna per l’uomo come «un aiuto che gli corrisponda» (Gn 2,18) – ha storto il naso.

Ci possiamo chiedere: non è un’espressione un po’ infelice?

Che significa che la donna è «un aiuto» per l’uomo?

Cos’è?

La sua colf?

La sua donna delle pulizie?

La sua cortigiana?

Niente di tutto questo.

La parola ebraica usata nella Bibbia – che in italiano è stata tradotta con «aiuto» – è «‘ê·zer» (in ebraico עֵ֖זֶר ).

Compare 21 volte nell’Antico Testamento…

…e 15 volte si riferisce a Dio in persona (vi riporto tre esempî qui sotto):

Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto (‘ê·zer) e mi ha liberato dalla spada del faraone
(Esodo 18,4)

Chi è come te,
popolo salvato dal Signore?
Egli è lo scudo della tua difesa (‘ê·zer)
e la spada del tuo trionfo.
(Deuteronomio 33,29)

L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto (‘ê·zer) e nostro scudo.
(Salmo 33,20)

Dio è «l’Aiuto» (‘ê·zer) dell’uomo per antonomasia.

E pone la donna, al fianco dell’uomo, come suo «aiuto» (‘ê·zer).

L’uomo, in sé stesso, è manchevole.

È debole.

Ha bisogno di un aiuto.

La donna è l’immagine di Dio nella vita dell’uomo.

A tal proposito, vorrei riportavi uno stralcio di Edith Stein (1891-1942) – monaca cristiana e filosofa, nonché patrona d’Europa – che commentava in questo modo il versetto di Genesi che vi ho citato:

[Dio] fece l’uomo a sua immagine. Ma Dio è uno e trino: come dal Padre procede il Figlio, e dal Figlio e dal Padre lo Spirito, così la donna è uscita dall’uomo, e da ambedue discendono i posteri.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.70)

Non si parla qui di un dominio dell’uomo sulla donna: ella viene detta compagna e aiuto, e dell’uomo si dice che a lei si sarebbe unito, e i due sarebbero diventato una sola carne. Con ciò si vuol significare che la vita dei primi due uomini deve venir considerata come la più intima comunità di amore, che essi collaboravano in perfetta armonia di forze come un unico essere, nello stesso modo in cui nei singoli vi era, prima del peccato, la perfetta armonia delle potenze: spirito e senso erano nel giusto rapporto senza possibilità di contrasti. E perciò essi non conoscevano nessuna brama sregolata dell’uomo verso l’altro. Questo concetto è incluso nelle parole: erano nudi e non se ne vergognavano.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.71)

L’uomo e la donna sono diversi.

Complementari.

Volendo usare una metafora, uomo e donna non sono due “variazioni dello stesso schema”, ma due melodie che si intrecciano per creare un’armonia più grande.

Non sono concorrenti in una corsa per “chi arriva primo”, ma pezzi di un puzzle disegnato per incastrarsi, l’uno per l’altra.

Per citare nuovamente il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa:

La donna è il complemento dell’uomo, come l’uomo è il complemento della donna: donna e uomo si completano a vicenda, non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma anche ontologico.
È soltanto grazie alla dualità del «maschile» e del «femminile» che l’«umano» si realizza appieno.
È «l’unità dei due», ossia una «unidualità» relazionale, che consente a ciascuno di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono che è al tempo stesso una misione: «A questa “unità dei due” è affidata da Dio non soltanto l’opera della procreazione e la vita della famiglia, ma la costruzione stessa della storia».
«La donna è “aiuto” per l’uomo, come l’uomo è “aiuto” per la donna!»: nel loro incontro si realizza una concezione unitaria della persona umana, basata non sulla logica dell’egocentrismo e dell’autoaffermazione, ma su quella dell’amore e della solidarietà.

(Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n.147)

~

Ho aperto questo paragrafo citando un versetto di Genesi.

Per estendere il discorso però, io credo che la stessa chiave interpretativa debba essere utilizzata per leggere qualsiasi altro passo della Bibbia in cui si parla dell’uomo e della donna, del «maschile» e del «femminile».

È sbagliato leggere la Bibbia in modo maschilista e denigratorio nei confronti delle donne…

…ma è altrettanto sbagliato (oltre che ideologico) leggere questi versetti con la lente deformante del femminismo, per mettere:

  • l’uomo contro la donna
  • la Bibbia contro la donna
  • i padri della Chiesa contro la donna
  • Dio contro la donna

A costo di essere ripetitivo, l’unica chiave di lettura sana (e sanante) è quella della complementarietà.

Uguaglianza di dignità…

…ma differenza di:

  • ruoli: senza ridurre l’uno o l’altra a stereotipi, ma valorizzando ciò che ciascuno porta;
  • carismi: ciascuno donato per il bene comune e il servizio reciproco;
  • sensibilità: che si completano nell’armonia dell’essere umano;
  • attitudini: che si manifestano in modi unici e complementari;
  • vocazioni: che, pur diverse, convergono nel cammino verso Dio;
  • approcci: che si integrano per il bene della famiglia e della società.

A chiusura del paragrafo, faccio un ultimo esempio di ciò che intendo quando dico che «la chiave di lettura è quella della complementarietà».

Nella Summa Theologiae, Tommaso d’Aquino (1224-1274) a un certo punto dice che «l’uomo è principio e fine della donna» (TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I, q.93, a.4).

Ma che significa questa frase?

  • Significa che le donne valgono di meno?
  • Che sono “un oggetto” ad uso e consumo degli uomini?
  • Che le donne che non si sposano hanno fallito nella vita? (*)

Niente di tutto ciò.

(*) (su questo punto, vi rimando a questo paragrafo in cui parlavo del senso delle parole «paternità» e «maternità»)

Per rispondere, vi cito ancora una volta Edith Stein, che offre un’interpretazione corretta di questo passaggio di Tommaso:

Principio è ciò da cui qualcosa procede.
La frase di Tommaso sottolinea il fatto che la donna fu estratta dall’uomo. […]
Fine è ciò cui qualcosa tende, in cui trova il suo riposo e compimento.
Ciò significa che il vero senso dell’essere femminile si spiega nell’unione con l’uomo.
[…]
Il che significa che la donna è stata creata per l’uomo, perché egli ne ha bisogno per spiegare adeguatamente il senso del suo proprio essere.
Non mi par tuttavia di dover intendere qui che la donna sia stata creata solo per l’uomo; ogni creatura infatti ha un senso proprio, che è riprodurre in modo caratteristico l’immagine dell’essenza divina.
[…]
[La donna è] la compagna, che sta a lui di fronte, al di sopra di tutte le altre creature; ma dev’essere il suo aiuto, personale e libero, che gli rende possibile diventare ciò che egli deve essere.
Infatti anche l’uomo non è senza donna, e perciò egli deve «lasciare il padre e la madre ed unirsi alla sua sposa».

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.214)

4 • La lotta per la supremazia tra i sessi

Negli ultimi anni, mi sono trovato più volte di fronte a scene come questa:

  • si verifica un caso di cronaca nera di matrice maschilista;
  • si alza l’ondata di indignazione mainstream delle femministe;
  • lo sdegno dilaga sui social, su pagine come Abolizione del suffragio universale o simili;
  • si crea una contro-ondata di malcontento da parte delle persone che – pur non essendo maschiliste – lo diventano “per esasperazione”;
  • cresce la polarizzazione e le opinioni delle parti in causa diventano sempre più radicali;
  • i social si saturano di interventi al vetriolo di Michela Murgia (pace all’anima sua 🙏), Chiara Valerio, Vera Gheno, Maura Gancitano o altre femministe livorose;
politicante battuta infelice

Insomma.

Si tratti del maschilismo più becero o del femminismo più tossico, a me sembra che il più delle volte gli “scontri tra sessi” finiscano in un vicolo cieco.

E perché?

Perché finché il fine di queste discussioni sarà quello di “addentare l’avversario alla giugulare”, nessuno farà un passo avanti.

Come se ne esce allora?

Dunque.

Negli ultimi anni, ogni volta che c’è stato un femminicidio (o altri gravi casi di cronaca in cui un uomo ha fatto del male ad una donna), si è parlato spesso dell’esigenza di fare «educazione sessuale» nelle scuole.

Se vi devo dire la mia, però, mi sembra una falsa pista.

Quando si parla di «educazione sessuale», infatti – 9 volte su 10 – si intendono corsi “tecnici” nei quali si insegna agli adolescenti ad usare metodi contraccettivi.

Qualche persona un po’ più studiata sostiene che – più che educazione sessuale – sia necessario fare corsi di «educazione all’affettività».

Ecco, fuochino.

Dico «fuochino» perché:

  • sono d’accordo con il fatto che i ragazzi debbano essere educati a formarsi un proprio «alfabeto affettivo»;
  • il mio timore però è che – quasi sempre – i relatori dei corsi di educazione affettiva siano i volontarî dell’associazione LGBTqwerty+ di turno, che impiegano buona parte delle lezioni a spiegare ai ragazzi qual è la differenza tra un «pansessuale queer aromantico» e un «sapiosessuale demipanromantico» (passando per tutte le sfumature ideologiche), lasciando gli adolescenti digiuni di una vera e propria pedagogia che li aiuti a costruire relazioni belle e profonde.

L’educazione all’affettività, infatti – a mio inutilissimo avviso – dovrebbe servire a:

  • riconoscere e nominare le emozioni;
  • costruire amicizie e relazioni che si basino sul rispetto, la fiducia, l’ascolto reciproco;
  • affrontare conflitti in modo costruttivo;
  • spiegare la differenza tra attrazione fisica, affetto e amore;
  • educare all’empatia, alla sensibilità, alla tenerezza;
  • riconoscere il proprio valore personale indipendentemente dall’approvazione altrui;
  • costruire relazioni senza dipendenza emotiva;
  • evitare manipolazioni o comportamenti tossici;
  • imparare a perdonare e a fare pace;
  • educare alla femminilità e alla mascolonità (quella «sana»… a tempo perso, vi consiglio il libro «Il padre. L’assente inaccettabile» di Claudio Risé);
  • etc.

Sarebbe bello se a scuola si affrontassero questi temi (possibilmente, in modo non ideologico).

Sarebbe altrettanto bello se la prima educazione affettiva avvenisse all’interno delle famiglie, che sono la prima e più importante palestra di vita di ciascuno di noi.

Io ad esempio, nel mio piccolo, osservando papà e mamma ho imparato che non è nell’antagonismo che si trova la soluzione al “problema” maschile/femminile, ma nella reciprocità e nella complementarietà.

Anzi.

Dirò di più.

La soluzione al “problema” maschile/femminile sta nel servizio reciproco:

Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.
(Marco 10,43-44)

Nella sua lettere apostolica sulla dignità e la vocazione della donna, Giovanni Paolo II (1920-2005) scriveva queste righe:

Cristo porta sempre in sé la coscienza di essere «servo del Signore», secondo la profezia di Isaia (cf. 42, 1; 49, 3. 6; 52, 13), in cui è racchiuso il contenuto essenziale della sua missione messianica: la consapevolezza di essere il Redentore del mondo.
Maria sin dal primo momento della sua maternità divina, della sua unione col Figlio che «il Padre ha mandato nel mondo, perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (cf. Gv 3, 17), si inserisce nel servizio messianico di Cristo.
E’ proprio questo servizio a costituire il fondamento stesso di quel Regno, in cui «servire (…) vuol dire regnare» (cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 36).
Cristo, «servo del Signore», manifesterà a tutti gli uomini la dignità regale del servizio, con la quale è strettamente collegata la vocazione d’ogni uomo.

(GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Mulieris Dignitataem, n.5, 15 agosto 1988)

L’incontro tra l’uomo e la donna, tra il «maschile» e il «femminile», non è una battaglia per il dominio, ma una chiamata alla comunione, in cui ciascuno si dona completamente all’altro.

L’appello cristiano è un invito a fare un passo indietro per far spazio all’altro, a riconoscerlo come un “tu” complementare, capace di completare ciò che da solo non posso essere (cfr. anche GIOVANNI PAOLO II, Udienza generale 11 agosto 1982).

Qualche maschilista potrebbe storcere il naso di fronte alla proposta scandalosa di trattare una donna «alla pari».

E qualche femminista potrebbe inorridire dinanzi alla possibilità di «fare un passo indietro».

Questa prospettiva – che può sembrare drastica o anacronistica – si radica profondamente nella visione cristiana del servizio come fondamento delle relazioni umane.

È un invito a rovesciare le logiche di potere e dominio, sostituendole con la logica dell’amore e del dono reciproco.

Non è una soluzione facile, né scontata, perché richiede un cambiamento profondo di mentalità, di cuore… richiede che ci si converta.

Tuttavia, è proprio questa via che, da duemila anni, rappresenta la logica di Dio

…una logica che, come ricorda zio Eliseo nel film La vita è bella, illumina la dignità e la bellezza del servire senza perdere se stessi:

Guarda i girasoli: si inchinano al sole, ma se ne vedi qualcuno che è inchinato un po’ troppo significa che è morto.
Tu stai servendo, però non sei un servo.
Servire è l’arte suprema.
Dio è il primo servitore.
Dio serve gli uomini, ma non è il servo degli uomini.

(La vita è bella, regia di ROBERTO BENIGNI, Miramax Films, 1997)

5 • L’evirazione del «maschile»

Non so se lo sapete, ma dalla sua origine fino ai nostri giorni ci sono state quattro «ondate» di femminismo.

Il femminismo della prima ondata (metà XIX secolo – inizi XX secolo) ha combattuto battaglie che avevano a che fare con questioni di uguaglianza legale e diritti fondamentali:

  • il diritto di voto (suffragio femminile);
  • l’accesso all’istruzione e alla cultura;
  • la parità nei diritti legali e civili (lotta per la possibilità di possedere beni, firmare contratti e avere autonomia legale rispetto alla figura maschile);
  • il miglioramento delle condizioni lavorative (parità salariale e migliori tutele).

Neanche a dirlo, io sono totalmente d’accordo con ciascuno dei punti di questo elenco.

Di ondata in ondata, a seconda del contesto storico, le battaglie delle femministe si sono diversificate, andandosi a focalizzare sui varî ambiti della vita, della cultura, dell’etica…

…e non di rado, all’interno del movimento femminista si sono create correnti di pensiero in contrasto tra loro (penso ad esempio alle posizioni diametralmente opposte delle «femministe radicali» e delle «transfemministe»).

Ad oggi, ci sono alcune tematiche “femministe” (*) sulle quali mi trovo d’accordo:

  • la denuncia delle violenze domestiche;
  • la lotta contro alcuni stereotipi di genere;
  • la critica alla “bellezza normativa”, cioè la possibilità per le donne di essere valorizzate per ciò che sono, senza la pressione a conformarsi a standard estetici irrealistici o limitanti;
  • l’accesso al lavoro e la lotta contro il gender pay gap;
  • la sensibilizzazione su molestie sessuali, aggressioni e comportamenti abusivi, sia nella vita reale che online;
  • etc.

(*) (Anche se mi chiedo sempre più spesso se oggi sia necessario definirsi «femminista» per essere d’accordo con queste cose; Edith Stein non si è mai definita «femminista»; e neppure Madeleine Delbrêl, Therese Hargot, Wanda Półtawska, Hannah Arendt; e a dirla tutta, neanche mia nonna, mia mamma, entrambe le mie sorelle e la mia fidanzata… eppure, tutte loro concorderebbero su questi temi)

Su altre questioni, invece, sono totalmente in disaccordo:

  • aborto
  • contraccezione
  • critica al matrimonio, con proposta di modelli alternativi di relazione (famiglie omogenitoriali, matrimonio queer e altre amenità)
  • decostruzione del binarismo uomo-donna (“donne” trans, linguaggio inclusivo, schwa)
  • tematiche legate al mondo della pornografia, Only Fans, etc.

Detto questo.

Ciò di cui vorrei parlare in quest’ultimo paragrafo non è tanto una tematica femminista con cui non sono d’accordo…

…quanto piuttosto una «modalità» con cui fin troppe femministe combattono la loro battaglie.

Avete presente quando prima parlavo della complementarietà tra uomo e donna?

Dell’arricchimento reciproco?

Dell’essere l’uno per l’altra?

Ebbene.

A me sembra che, fin troppo spesso, l’intento (manifesto o latente) di tante femministe sia la demonizzazione del «maschile» in quanto tale.

La disintegrazione, l’evaporazione, l’evirazione del «maschile».

La promozione di una mascolinità castrata, svuotata di forza e autorevolezza… come se il solo fatto di essere uomini fosse un peccato originale da espiare:

Patriarcale, è diventato un aggettivo spregiativo, così come paternalista, patriota, e in genere ogni parola che contiene la parola padre e suoi derivati, cui viene associato un significato di «arretrato» e d’«ingiusto».

(CLAUDIO RISÉ, Il padre : l’assente inaccettabile, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2014, versione Kindle, 46%)

Il modello di “maschio-zerbino-senza-palle” – spesso promosso (volontariamente o inconsciamente) in certi ambienti femministi – non è un uomo che si mette al servizio della donna con la sua identità integra, ma un uomo mancato, privo di spina dorsale, diventato ormai l’ombra di sé stesso.

E qual è il risultato di tutto questo?

Il risultato è che l’incontro maschile-femminile non porta più ad un un arricchimento reciproco, ma ad un impoverimento generale.

Un maschio che abdica alla sua vocazione di «diventare uomo»:

  • non può accogliere la chiamata ad essere dono per chi lo circonda – a partire dalla donna;
  • diventa “una comparsa” (o peggio, “un peso”) nella vita degli altri;
  • non può costruire relazioni autentiche, ma finisce per vivere una vita “al ribasso”, piena di compromessi;
  • non può rispondere al desiderio profondo di tante donne: incontrare un uomo che sappia amare senza paura.

Ebbene.

Forse mi sbaglio.

Ma a me sembra che un certo femminismo (che oggi va per la maggiore):

  • per combattere la logica della «sottomissione del femminile», finisca per promuovere la «soppressione del maschile»;
  • si dimentica che l’equilibrio non sta nell’eliminazione delle differenze, ma nel valorizzarle;
  • non si rende conto del fatto che una mascolinità annientata si traduce in un’umanità mutilata.

Non mi stancherò mai di ripeterlo: uomini e donne sono chiamati a collaborare, non a competere o annullarsi a vicenda.

Solo nella complementarietà c’è la vera grandezza, il vero mistero dell’essere fatti «maschio e femmina».

~

Che poi la cosa paradossale è che la tattica dell’“annullamento del maschile” finisce per ritorcersi contro le donne stesse.

E questo non lo dico io: lo vedo negli occhi di tante amiche, mie coetanee, donne brillanti, appassionate, tenaci, generose, che cercano un uomo con cui costruire qualcosa di grande… e non lo trovano!

Sì, perché fare la guerra alla mascolinità – invece di renderla più autentica – significa privare le donne di quegli uomini forti, generosi, responsabili, che potrebbero davvero accompagnarle e arricchirle.

Tolta di mezzo la mascolinità, in giro rimangono solo trentenni insicuri, mammoni, eterni Peter Pan che, nel migliore dei casi, passano il tempo in discoteca… o a giocare ai videogiochi…

trentenni infantili

Tolta di mezzo la mascolonità (quella sana), ci ritroviamo con uomini «scappati de casa», che hanno un lombrico al posto della spina dorsale.

Uomini pronti a fare la valigia e “andare a comprare le sigarette” al primo segnale di difficoltà.

E tutto questo non è casuale: è il frutto di una cultura che, nel tentativo di decostruire il patriarcato, ha finito per costruire un… come lo possiamo chiamare?

Un “lombricarcato”?

Un “mosciarcato?

Un “mammonarcato”?

Uno “zerbinarcato”?

Una società in cui l’uomo è spesso spinto a essere debole, indeciso, non assertivo, privo di quel senso di missione che lo rende «padre» – nel senso pieno del termine, non solo biologico, ma psicologico e spirituale.

Così, donne e uomini si trovano intrappolati in un circolo vizioso:

  • lei cerca un uomo, ma trova solo ragazzi spaventati dall’idea di crescere;
  • lui, invece, ha paura di assumersi il rischio di essere uomo, di sbagliare, di donarsi, e resta bloccato nella sua comfort zone (discoteca, videogiochi, pornografia).

Alla fine, entrambi restano soli, frammentati, incapaci di costruire qualcosa che li superi.

Insomma.

Non la definirei esattamente «una vittoria» per il femminismo.

Conclusione

Chiudo questo paragrafo con un’ultima citazione di Edith Stein che – sperando potessero aumentare le riflessioni volte a riconoscere e valorizzare la diversità dei sessi – scriveva queste righe a cavallo tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del ‘900:

Credo che sarebbe davvero un’opera meritoria ponderare a fondo e con serietà questi interrogativi.
Infatti, si avrebbe una veramente utile collaborazione dei sessi nella vita professionale, solo quando tutte e due le parti fossero consce, con serena oggettività, delle proprie doti e delle proprie limitazioni, e ne sapessero dedurre le conseguenze pratiche.
Iddio ha creato l’uomo maschio e femmina, l’uno e l’altra a propria immagine.
Solo quando le rispettive caratteristiche maschili e femminili sono pienamente sviluppate, si raggiunge la massima somiglianza possibile col divino, e solo allora la comune vita terrena viene tutta potentemente compenetrata dalla vita divina.

(EDITH STEIN, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, Città Nuova, Roma 2018, p.66)

sale

(Inverno 2024-2025)

Fonti/approfondimenti

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