1 • Bibbia e… generi letterarî
Creeedo che la Bibbia sia il libro più famoso del mondo.
«Famoso» non nel senso di «letto»…
…ma nel senso che le persone sanno che è «un tomozzo di qualche migliaio di pagine scritto tanto tempo fa».
Secondo il filosofo e medievalista italiano Umberto Eco (1932-2016) la Bibbia fa parte dei G.U.B., ovvero i «great unread books» – i «grandi libri non letti» (cfr. JEAN-LOUIS SKA, L’Antico Testamento : spiegato a chi ne sa poco o niente, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), p.5).
Come tutti saprete, la parola «Bibbia» viene dal greco e significa «libri» (biblìa, βιβλία, è il nominativo plurale di biblìon, βιβλίον, che significa «libro»)…
…e infatti la Bibbia non è un libro, ma piuttosto:
- una raccolta di libri (una settantina circa);
- redatti tra il X secolo avanti Cristo e il I secolo dopo Cristo;
- composti in differenti contesti storico-socio-culturali;
- ognuno dei quali appartiene ad uno specifico genere letterario;
- scritti su “fogli” di materiali differenti: ad esempio, nelle grotte di Qumran sono stati trovati molti rotoli di pelle, e qualche rotolo di papiro… in seguito i rabbini hanno stabilito che la pelle era l’unico materiale degno sul quale copiare la Torah (cfr. MEIR BAR-ILAN, Writing in Ancient Israel and Early Judaism: Scribes and Books in the Late Se- cond Commonwealth and Rabbinic Period in M. J. MULDER, H. SYSLING (eds.), Mikra: Text, Translation, Reading and Interpretation of the Hebrew Bible in Ancient Judaism and Early Christianity, Van Gorcum, Assen 1988, 21-37, 26)
Insomma, la Bibbia non è un testo uniforme e omogeneo!
Al suo interno ci sono:
- libri poetici
- libri sapienziali
- libri narrativi
- codici di leggi
- etc.
Ogni libro della Bibbia ha uno specifico (o a volte più di uno) genere letterario.
Che significa?
Come dicevo a suo tempo, un genere letterario è un orizzonte di aspettative di lettura, ovvero indica cosa devo attendermi da un libro o da uno scritto; determina il mio atteggiamento nei confronti del testo.
In che senso?
Nel senso che chi legge la Bibbia, se vuole comprendere ciò che gli agiografi (ovvero gli autori dei testi della Bibbia) volevano dire, deve tener conto di questo aspetto…
…come direbbero gli studiati: per leggere correttamente la Bibbia bisogna comprendere l’«intentio operis», ossia il significato del testo in riferimento al proprio sistema di significazione e alla propria coerenza testuale (cfr. anche Dei Verbum, n.12).
Altrimenti che succede?
Succede che si fraintende ciò che è scritto nella Bibbia.
2 • (in soldoni) Cosa racconta la Bibbia?
Avete presente la quarta di copertina dei libri?
Quella dove di solito si mette il riassunto della storia?
Bene…
…cosa potremmo scrivere nella quarta di copertina della Bibbia, per sintetizzarla?
Io pensavo a qualcosa tipo:
«Questa è la storia di Dio
e del suo desiderio di farsi conoscere dall’uomo.
È una storia molto romantica.
No, non sto scherzando!
Giuro!
Forse non sembra…
…ma l’apparenza inganna!
Qui dentro troverete la storia di questa relazione.
E forse non ci crederete, ma è una relazione a lieto fine!
Giuro!
Forse non sembra…
…ma l’apparenza inganna!»
Insomma… la Bibbia parla di Dio che desidera rivelarsi (cfr. anche Dei Verbum 2).
E… come avviene questa rivelazione?
La rivelazione cristiana avviene nella storia.
Cioè si realizza in luoghi e tempi ben determinati.
Facciamo un paio di esempî al rovescio: quale potrebbe essere una rivelazione di Dio «non storica»?
- si può parlare di «rivelazione cosmica» (o di «rivelazione naturale») quando Dio non si rivela in «ciò che fa», ma in «ciò che c’è»… in che senso? Nel senso che l’uomo può intuire la presenza di Dio contemplando l’ordine della natura, gli animali, le piante, il cosmo, la vita, etc. (N.b. Questa rivelazione è presente anche nel cristianesimo; come dice il libro della Sapienza: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore», Sap 13,5);
- si può parlare di «rivelazione sapienziale» quando la ricerca di Dio avviene attraverso la sapienza; questo tipo di rivelazione è tipico della cultura orientale (in alcune religioni cinesi, indiane o persiane)…
Ecco.
La Bibbia parla di un intervento di Dio nella storia.
E… in che modo Dio interviene nella storia?
Beh, direi progressivamente.
Con gradualità.
Semplificando all’osso (e facendo venire un attacco di crepacuore a qualche filologo e biblista), si può dividere il testo della Bibbia in parti, che corrispondono alle differenti tappe della Rivelazione di Dio…
…nell’Antico Testamento le tappe sono:
- La creazione e la caduta: la Bibbia si apre con il racconto della creazione (del quale avevo già parlato a suo tempo) e del peccato originale (anche su quello avevo attaccato una discreta pippa); poi ci sono una serie di altri racconti eziologici: quello di Caino e Abele, della Torre di Babele, del diluvio universale, etc.
- I patriarchi: la storia di Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, etc… insomma, i capostipiti del popolo di Israele. Nonostante le loro famiglie non ne azzecchino una, Dio (che è buono) ha sempre uno sguardo benevolente nei loro confronti. Lungo il corso della storia, la «famiglia di Abramo» pian piano diventa un «popolo» (entrano in Egitto 70 persone… e ne escono in molti di più).
- La monarchia: lungo il corso della storia, c’è un passaggio di leadership; dai patriarchi si passa ai giudici. Poi gli israeliti chiedono a Dio un re, perché vogliono essere «come le altre nazioni». Dio non è d’accordo, e concede controvoglia un re.
Se c’è un filo conduttore che accomuna le storie dei giudici e dei re che hanno regnato su Israele è la disubbidienza a Dio: un espressione che ricorre spesso in questi libri della Bibbia è: «gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal» (cfr. ad esempio Gdc 2,11; 3,7; 10,6; 1Re 18,18; 2Re 3,2) (*) …ma Dio è capace di scrivere dritto sulle righe storte e alla fine anche i re diventano (indirettamente) uno strumento per mostrare la sua misericordia.
- L’esilio: probabilmente il momento più importante della storia d’Israele. Fino ad allora, agli occhi degli israeliti, Dio non era diverso dagli dei degli altri popoli: era il dio «del nostro paese» così come ne esistevano altri… e nelle guerre tra popoli, vinceva quello col dio più forte. Dopo la sconfitta e l’esilio babilonese, nell’animo degli israeliti si produce un cambiamento sconvolgente. Si accorgono del fatto che Dio non è «uno dei tanti», ma «l’unico». La cultura di Israele sopravvive a tutti gli altri popoli limitrofi, che li avrebbero potuti “assorbire” (essendo più forti da un punto di vista politico, militare, culturale, etc.).
- Il giudaismo: ristrutturazione della religione ebraica dopo l’esilio: riforma del culto, costruzione delle sinagoghe (che fino a quel momento non esistevano), etc.
Nel Nuovo Testamento (che è molto più piccolo: 700 pagine, contro le 2300 dell’Antico Testamento) abbiamo:
- La storia di Gesù: raccontata nei quattro Vangeli (per chi se la fosse persa, avevo scritto una paginetta su chi sia Gesù).
- La storia della Chiesa nascente: contenuta negli Atti degli Apostoli e nelle lettere di Paolo, Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda (no, non è Giuda Iscariota, ma l’altro).
Anche il più anticlericale dei lettori di questo blog potrà facilmente constatare che il culmine della storia contenuta nella Bibbia è l’incarnazione: in un luogo ben preciso (la Palestina), in un tempo ben preciso (il I secolo), Dio si è fatto uomo.
La progressività della rivelazione ha il suo culmine in Gesù Cristo, un carpentiere galileo… nonché il Logos del Padre, coeterno a Dio.
3 • Che rapporto c’è tra la Bibbia e la storia?
Nel precedente paragrafo ho scritto che la rivelazione cristiana è storica.
Cioè che avviene nella storia.
Disclaimer #1: questo non significa che tutto quello che avviene nella storia dell’umanità sia rivelazione di Dio!
Disclaimer #2: e questo non significa neanche che tutti i racconti biblici siano ugualmente storici.
Quando ci si interroga sulla storicità dei libri della Bibbia, bisogna fare due discorsi differenti, a seconda che si parli dell’Antico o del Nuovo Testamento.
‘sta cosa non me la sono inventata io: molti studiosi – biblisti, esegeti, storici che seguono il metodo storico-critico – affermano che è necessario fare questa distinzione…
…proviamo a capire perché.
3.1 • Nell’Antico Testamento
Come accenavo sopra, l’Antico Testamento contiene testi:
- composti in un arco di tempo di dieci secoli…
- …che, a volte, sono stati scritti molti secoli dopo i fatti raccontati;
Inoltre:
- alcuni racconti veterotestamentarî hanno trovato riscontro con gli studî archeologici…
- …ma altre volte l’archeologia ha messo in dubbio la verosimiglianza storica di alcuni passaggi.
Insomma…
Detto papale papale…
Gran parte dei racconti dell’Antico Testamento (dalla storia dei patriarchi all’esodo, dalla conquista della terra promessa all’esilio) non riuscirebbe a superare un “test” di attendibilità storica, se utilizzassimo i criterî della storiografia moderna (*).
(*) (tra epigrafia, numismatica, analisi di documenti e reperti archeologici, etc.)
Però…
Però…
Però…
- Una cosa è la non-verificabilità storica…
- …altra cosa invece è la negazione della storicità.
Il fatto che un racconto non sia verificabile storicamente non implica necessariamente la sua falsità!
Come disse una volta un mio professore:
Benché possa sembrare ovvio, è importante ricordare che per studiare la storia biblica ci vuole un minimo di sensibilità religiosa e di apertura ai valori spirituali.
Pretendere il contrario in nome della scienza sarebbe come voler studiare la storia dell’arte senza sensibilità estetica.
(CARLOS JÓDAR-ESTRELLA, professore Straordinario di Antico Testamento; direttore del Dipartimento di Sacra Scrittura della Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce)
In che senso?
Nel senso che in molti racconti dell’Antico Testamento spesso la storicità del racconto è sub-ordinata ad un contenuto teologico.
Cioè?
Cioè gli autori di molti testi non avevano la pretesa di fornire una narrazione precisa e puntuale della storia di Israele, ma proporre una riflessione filosofica e teologica sul modo in cui la relazione con Dio cambia radicalmente la vita di una persona (e di un popolo).
Anche quei libri dell’Antico Testamento che noi chiamiamo «storici», non lo sono nello stesso senso delle «storie» di Erodoto di Alicarnasso (484 a.C. – 425 a.C.) o di Tucidide (460 a.C. circa – 400 a.C. circa) (…e infatti, come dicevo, forse avrebbe più senso parlare di «libri narrativi» anziché di «libri storici»).
Insomma…
Se è vero che la fede cristiana è legata a doppio filo con la storia della salvezza del popolo ebraico…
…rimane aperta la domanda: «Quali avvenimenti raccontati nell’Antico Testamento sono imprescindibili da un punto di vista storico per i cristiani?».
Non è facile rispondere.
Nel tentativo di cercare una risposta, però, terrei sempre presente quello che diceva nel 2003 il cardinale Joseph Ratzinger:
L’opinione che la fede come tale non conosca assolutamente niente dei fatti storici e debba lasciare tutto questo agli storici, è gnosticismo: tale opinione disincarna la fede e la riduce a pura idea.
Per la fede che si basa sulla Bibbia, è invece esigenza costitutiva proprio il realismo dell’accadimento.
Un Dio che non può intervenire nella storia e mostrarsi in essa non è il Dio della Bibbia.
(JOSEPH RATZINGER, dal documento della Pontificia Commissione Biblica «Il rapporto fra Magistero della Chiesa ed esegesi», scritto in occasione dei 100 anni dalla costituzione della Pontificia Commissione Biblica)
3.2 • Nel Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento contiene testi:
- composti nella seconda metà del I secolo d.C.
- che raccontano fatti accaduti in un tempo relativamente vicino alla composizione dei testi.
Inoltre:
- nonostante ci sia qualche dissomiglianza fra le diverse versioni della vita di Gesù e dei primi discepoli, complessivamente i testi convergono su gran parte del contenuto;
- esistono anche autori non cristiani che menzionano Gesù e le prime comunità cristiane (come dicevo in una delle prime paginette che avevo scritto sul blog nel lontano 2016);
- ci sono state scoperte archeologiche che hanno confermato la verosimiglianza di molti racconti del Nuovo Testamento.
Insomma…
Se utilizzassimo i criterî della storiografia moderna che ho nominato poco più sopra, il Nuovo Testamento supererebbe un “test” di attendibilità storica.
E infatti gli studî sul cosiddetto «Gesù storico» – cioè le ricerche in ambito accademico sulla figura di Gesù di Nazaret – sono stati portati avanti anche da persone non credenti.
Su questo tema però c’è un’ignoranza dilagante ed endemica…
Ad esempio…
Senza fare nomi…
L’anno scorso, un capo scout ha commentato così sotto a un post della pagina Facebook del blog: «Poco dovrebbe importare che [Gesù] sia esistito davvero o meno (o che abbia compiuto DAVVERO quanto narrato)»
In realtà, importa eccome che Gesù abbia fatto ciò che è scritto nel Vangelo!
Non è possibile presentare la dottrina di Gesù come se fosse indipendente dalla sua vita…
…e infatti, già Paolo di Tarso scriveva che:
Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede.
(1Cor 15,14)
Inoltre, in uno dei documenti del Concilio Vaticano II, i malvagi vescovi scrivevano che:
La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò […].
(Costituzione dogmatica Dei Verbum, n.19)
4 • In che senso la Bibbia è «vera»?
La Chiesa ha sempre sostenuto la veridicità della Scrittura.
Su questo non ci piove.
Il problema però è il senso che noi diamo alla parola «verità» quando leggiamo ciò che è scritto nella Bibbia.
Questa parola infatti ha diverse sfumature di significato… ma non tutte sono applicabili ad ogni testo dell’Antico e del Nuovo Testamento.
In che senso?
Fino a qualche secolo fa, molti cristiani credevano (*) che la verità della Bibbia fosse da intendere nel senso di «inerranza assoluta», ovvero che non contenesse alcun tipo di errore: teologico, storico, scientifico, grammaticale (nell’Apocalisse ci sono spesso errori di sintassi!), psicologico, filosofico, etc…
(*) (e alcuni lo credono ancora)
Ecco… no!
La Chiesa non ha mai detto che ogni singolo dettaglio contenuto nella Scrittura corrisponde ad una cronaca storica, né ad una definizione dogmatica da prendere alla lettera!
C’è stato qualche cristiano in passato (*) che ha sostenuto questa cosa…
(*) (Ce ne sono alcuni anche nel XXI secolo; ma grazie a Dio, nel frattempo la psichiatria ha fatto passi da gigante, ed oggi queste persone possono essere aiutate! Ironia a parte, prendiamo il caso del libro «La Bibbia aveva ragione» di Werner Keller: l’autore ha fatto un lavoro enorme per “dimostrare” che alcuni racconti del libro della Genesi corrispondono ad alcune scoperte archeologiche fatte nel Vicino Oriente… ma questi tentativi – a volte forzati – di trovare a tutti i costi una concordanza tra alcuni racconti dell’Antico Testamento e la cronaca storica rischiano di creare problemi inutili per la fede in tutti quei passi veterotestamentarî nei quali questa concordanza è palesemente impossibile!)
…ma già Agostino d’Ippona (354-430) («dottore della Chiesa» nonché uno dei teologi più importanti della storia… insomma, non era un “esegeta modernista”) nel suo «De Genesi ad litteram» parlava del senso letterale e senso figurato nella sacra Scrittura e scriveva che:
In tutti i Libri sacri si devono poi distinguere le verità eterne che vi sono inculcate e i fatti che vi sono narrati, gli eventi futuri che vi sono predetti, le azioni che ci si comanda o consiglia di compiere. Rispetto dunque al racconto dei fatti sorge la questione se tutto dev’essere inteso in senso figurato oppure si deve affermare e sostenere anche l’autenticità dei fatti attestati.
(AGOSTINO D’IPPONA, De Genesi ad litteram, libro I, 1.1)
Insomma, già nel IV secolo un cristiano con un po’ di sale in zucca quale era Agostino scriveva che:
[Lo Spirito Santo] non intendeva ammaestrare gli uomini [sulla figura del cielo o altre verità scientifiche], che non hanno importanza alcuna per la salvezza eterna.
(AGOSTINO D’IPPONA, De Genesi ad litteram, libro II, 9.20; ripreso da Leone XIII nell’enciclica Providentissimus Deus del 18 novembre 1893, che aveva a tema lo studio delle Sacre Scritture)
Qualche secolo più tardi, Galileo Galilei (1564-1642) in una sua lettera scriveva che:
Io qui direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado (*), l’intenzione dello Spirito Santo essere d’insegnarci come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo.
(GALILEO GALILEI, lettera a madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana (1615) in G. Galilei, Le opere, Barbera, Firenze 1895, 5:319)
(*) (molto probabilmente si sta riferendo al cardinale Cesare Baronio)
(Per chi se la fosse persa, su Galileo ho attaccato una discreta pippa in altre pagine del blog; questi sono i link: «La ricerca astronomica all’epoca di Galileo Galilei», «Perché l’inquisizione condannò Galileo Galilei?» e «Il processo a Galileo Galilei»)
Insomma, «il messaggio di Dio viene espresso, in un determinato punto della storia della salvezza, con le imperfezioni proprie dell’esistenza umana» (DENIS FARKASFALVY, Inspiration and Interpretation. A Theological Introduction to Sacred Scripture, Catholic University of America Press, Washington D.C. 2010, p.232).
La Bibbia (con tutte le distinzioni che ho fatto sopra tra Antico e Nuovo Testamento) racconta in modo progressivo come Dio si è rivelato, e come gli uomini hanno risposto a questa rivelazione…
…e questo racconto è vero… ma:
[…] la verità che intende trasmettere la Bibbia non è da intendere in termini astratti e assoluti, come se fosse un trattato sistematico di teologia, costituito da enunciati logici indipendenti, ognuno dei quali esprimerebbe una verità atemporale.
(JUAN CARLOS OSSANDÓN WIDOW, Introduzione generale alla sacra scrittura, EDUSC, Roma 2018, p.214)
Riassumendo.
Anzi.
Tagliando con la motosega.
E facendo venire un’aritmia cardiaca a qualche tomista.
La verità contenuta nella Bibbia è una sola: Gesù Cristo (che è «il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione», Dei Verbum n.2).
Gesù è il Logos del Padre.
La «Parola» di Dio con la «P» maiuscola.
La Bibbia invece potremmo dire che è «parola di Dio» con la «p» minuscola.
È vera!
È una miniera d’oro!
Viva Dio che la leggiamo tutti i giorni a Messa!
Ma è «vera» nella misura in cui ogni unità testuale della Bibbia riconduce a Cristo, pienezza della verità.
Chiarito questo, poi ci possiamo pure sedere intorno a un tavolo per capire se il racconto dell’arca di Noè o di Caino e Abele siano vicende storiche o piuttosto eziologia meta-storica…
…ma la verità della Bibbia non sta lì.
Come ha scritto don Luigi Maria Epicoco:
La Bibbia non è un libro di ricette, è più un dito puntato verso una direzione.
(LUIGI MARIA EPICOCO, Solo i malati guariscono : l’umano del (non) credente, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2016, p.39)
E la direzione verso cui punta quel dito è Gesù Cristo, «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
5 • Che significa che la Bibbia è ispirata?
Parlando della Bibbia, spesso si sente dire che «è un testo ispirato».
Ma… che significa?
La parola «ispirazione» spesso viene fraintesa.
Prima di spiegare cosa significa, partiamo col dire cosa NON significa (parafrasando alcune cose scritte nella Costituzione Dogmatica Dei Filius del 1870):
- «Ispirazione» NON significa «dettato divino»: avete presente il Corano? Per la teologia musulmana, il Corano sarebbe stato dettato a Maometto – in arabo – dall’arcangelo Gabriele, per conto di Allah. Ecco… i cristiani non credono che la Bibbia sia stata «dettata» da Dio (e infatti, a volte è capitato che i pagani abbiano rifiutato la Scrittura, perché a loro sembrava un testo di “livello inferiore”).
- «Ispirazione» NON significa «estasi»: l’idea che c’è dietro all’estasi è quella di «salvaguardare la santità della Scrittura dal fatto che l’uomo la “insozzerebbe” con la sua natura; e infatti, nell’estasi l’autore umano è annullato; nell’estasi, la perdita del controllo garantisce il fatto che Dio sia l’autore di un’opera. Ecco… i cristiani credono che nessun testo della Bibbia sia stato scritto «in estasi». Due esempî a caso: Luca all’inizio del proprio Vangelo scrive di aver fatto «ricerche accurate su ogni circostanza» (Lc 1,3); e quando san Paolo si arrabbia con i Galati (Gal 1,6) è padrone delle proprie facoltà…
- «Ispirazione» NON significa neanche «approvazione susseguente»: si ha una «approvazione susseguente» quando un testo viene scritto dagli uomini; poi la comunità lo trova particolarmente pregiato; e quindi viene “approvato” e considerato ispirato (In quest’ultimo caso, si stanno confondendo i concetti di «canonico» e di «ispirato»… sulla differenza tra queste due parole ci tornerò in futuro, sennò oggi non finiamo più).
Cos’è allora l’ispirazione?
E che significa che un testo è «ispirato»?
Nel Nuovo Testamento ci sono molti passaggi in cui si parla del fatto che gli autori dei testi sono stati guidati dallo Spirito Santo, e che quella che portano è «parola di Dio»:
[…] non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio.
(2Pt 1,21)
Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.
(1Ts 2,13)
La parola «ispirato» però, nella Scrittura, compare solo in un punto:
Tutta la Scrittura, ispirata da Dio (θεόπνευστος, teò-pneustos, letteralmente «soffiata da Dio»), è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
(2Tm 3,16)
Il termine è rimasto lì, senza causare particolari problemi, fino al XVI secolo: contestualmente alla nascita dell’esegesi critica infatti, la teologia ha sentito l’esigenza di formulare un pensiero più sistematico intorno al concetto di ispirazione.
Riducendo all’osso la questione, possiamo dire (sintetizzando quello che dice il punto n.11 della Dei Verbum) che:
- l’ispirazione è un carisma (che, come insegna Paolo in 1Cor 12, è un dono che Dio fa a qualcuno, a vantaggio della comunità);
- la Bibbia è «parola di Dio» in quanto ispirata dallo Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16);
- Dio è l’autore del testo;
- gli agiografi – cioè, gli autori dei libri della Bibbia – sono i veri autori dei testi biblici (a volte si dice che Dio è l’«Autore principale» e l’agiografo è l’«autore strumentale»; va bene anche questa terminologia, purché sia chiaro il fatto che sia Dio sia l’agiografo sono entrambi «autori al 100%». Infatti è sbagliato dire che «Dio è più autore dell’agiografo»; così come è sbagliato dire che «l’agiografo è uno strumento passivo»);
- nella Bibbia non ci sono libri più ispirati di altri;
- un testo è ispirato a partire dalla sua nascita, che coincide con la scrittura del punto finale (*).
(*) (come insegna la linguistica, infatti, un testo nasce dopo il suo punto finale, cioè con l’atto che costituisce la sua chiusura. Durante la redazione, infatti, il testo viene scritto, riscritto, modificato, cancellato, etc. Solo il punto finale pone fine alla redazione. Dunque chi è l’autore di un testo ispirato? Il “responsabile” del punto finale)
Conclusione
…e niente…
…basta!
Se mi sono rotto le palle io nel raccogliere il materiale di questa pagina, figuriamoci voi nel leggerlo! 😅
Se qualcosa che ho scritto vi è tornata utile, scrivetemelo su Instagram! 😬
sale
(Inverno 2022-2023)
- JUAN CARLOS OSSANDÓN WIDOW, Introduzione generale alla Sacra Scrittura, EDUSC, Roma 2018
- Costituzione dogmatica Dei Verbum (18 novembre 1965)
- JEAN-LOUIS SKA, L'Antico Testamento : spiegato a chi ne sa poco o niente, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011
- DOMINIQUE LAMBERT, Scienza e teologia. Figure di un dialogo, Città Nuova, Roma 2006