Chi ha scritto i vangeli?
Chi c’è dietro ai quattro nomi che la tradizione ha associato a questi testi, a partire dal II secolo?
Chi sono Marco, Matteo, Luca e Giovanni?
I vangeli sono stati scritti veramente da loro?
Negli ultimi 100 anni, molti esegeti (*) hanno messo in dubbio questa possibilità…
In realtà, molte osservazioni fatte dalla recente critica (accompagnate da prove archeologiche e/o filologiche) sono interessanti e vale la pena approfondirle…
Oggi vorrei provare a fare ordine su una serie di domande che mi frullavano per la testa:
- A chi fanno capo i testi dei quattro vangeli?
- Chi è all’origine delle tradizioni conservate nei testi?
- Le testimonianze che contengono sono autentiche?
1 • Chi ha scritto il vangelo «secondo Marco»
Questo vangelo (il più antico dei quattro) è stato legato alla figura di «Marco» a partire dal II secolo (nome romano molto diffuso all’epoca).
La tradizione ha identificato l’autore in «Giovanni, detto Marco» nominato più volte negli Atti degli Apostoli (cfr. At 12,12; 12,25; 15,39) (*).
(*) (Stando agli Atti, Marco era il figlio di una donna che aveva messo a disposizione la propria casa per gli incontri e le preghiere dei cristiani, cfr. At 12,12. Nel primo viaggio di Paolo, pare che Marco abbia abbandonato in anticipo il viaggio, cfr. At 13,13… cosa che fece rosicare Paolo, cfr. At 15,37-39. Marco viene ricordato anche nelle lettere di Paolo a Filemone, cfr. Fm 24; in quella a Timoteo, cfr. 2Tm 4,11; in quella ai Colossesi, cfr. Col 4,10; e nella lettera di Pietro, cfr. 1Pt 5,13)
Secondo Eusebio di Cesarea, Marco era l’«interprete di Pietro» (*); stando ad Eusebio infatti, Marco non avrebbe conosciuto direttamente Gesù, ma avrebbe attinto le sue informazioni da Pietro.
(*) (EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica III, 39,15; la fonte di Eusebio è Papia, vescovo di Ierapoli, in Frigia, verso il 125; questi, a sua volta, avrebbe riportato la testimonianza di un certo «Giovanni il Presbitero», un cristiano della prima generazione, che aveva conosciuto gli apostoli)
Insomma, tanto di cappello ad Eusebio, che ha cercato di ricostruire la catena di testimonianze da Papia di Ierapoli a Gesù…
In realtà però, ci sono una serie di motivi per i quali è inverosimile che questo Marco «interprete di Pietro» – cioè un giudeo di Gerusalemme – abbia scritto uno dei quattro vangeli:
A partire sia dalla presentazione di Pietro in questo vangelo, sia dalle numerose imprecisioni geografiche che vi si possono scoprire (ad esempio 7,31), sia ancora da altre sue caratteristiche, oggi molti autori ritengono improbabile che Giovanni/Marco, un giudeo di Gerusalemme, che parlava molto probabilmente aramaico ed era diventato molto presto cristiano, abbia potuto scrivere quest’opera, che per di più dipende da Pietro.
Preferiscono attribuire questo vangelo a un giudeo-cristiano della seconda generazione, che parlava greco ed era aperto alla missione universale.
Forse si chiamava Marco, il che spiegherebbe la successiva confusione con il Giovanni/Marco degli atti degli apostoli.
(PIERRE DEBERGÉ, JACQUES NIEUVIARTS, Guida di lettura del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 2006, p.39, nota a pie’ pagina)
2 • Chi ha scritto il vangelo «secondo Matteo»
Analogamente al precedente vangelo, anche in questo caso l’associazione a «Matteo» è della seconda metà del II secolo.
Anche per questo vangelo, Eusebio di Cesarea cita come fonte Papia, che dice:
Matteo riunì in lingua ebraica [aramaica?] i detti (logia, λόγια) [del Signore] e ognuno li interpretava come gli era possibile.
(EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica III, 39,16)
Cosa significa la frase di Papia?
- Sta parlando di un originale ebraico, che in un secondo momento Matteo avrebbe tradotto in greco? (alcuni studiosi sostengono questa ipotesi; nel 2016 citavo Jean Carmignac che nel libro «Nascita dei vangeli sinottici» ha fatto un lavoro incommensurabile, andando a retro-tradurre il testo greco per risalire all’originale semitico);
- Sta parlando di quel vangelo secondo gli Ebrei che è citato da molti Padri della Chiesa tra il II e il V secolo, che veniva utilizzato dai cristiani in Palestina e dai giudeo-cristiani della regione di Aleppo, in Siria?
La critica è divisa sulla questione…
…certo è che oggi nessun filologo attribuisce questo vangelo a «Matteo il pubblicano», uno dei dodici apostoli (Mt 10,3; cfr. anche 9,9; Mc 3,18; Lc 5,15; At 1,13). Infatti:
- l’autore di questo vangelo usa tra le sue fonti il vangelo di Marco (datato 67-68)… cosa piuttosto strana da parte di uno che sarebbe stato testimone oculare della vita di Gesù;
- l’immagine del giudaismo riflessa da questo vangelo è quella di un giudaismo riunito attorno ai farisei, quindi successivo alla caduta di Gerusalemme nel 70;
- le molte occorrenze dell’espressione «le loro sinagoghe» (4,23; 9,35; 10,17; 12,9; 13,54; 23,34) lasciano intendere che la separazione fra la comunità alla quale si rivolge questo vangelo e i giudei, se non era cosa fatta, era già piuttosto avanzata.
(PIERRE DEBERGÉ, JACQUES NIEUVIARTS, Guida di lettura del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 2006, p.45)
Senza contare che nel vangelo si allude più di una volta a persecuzioni (in particolare in Mt 10,16-33).
Verosimilmente il testo potrebbe essere stato redatto negli anni 70 da un cristiano di origine giudaica, in una comunità in cui l’apostolo Matteo avrebbe avuto un ruolo importante.
3 • Chi ha scritto il vangelo «secondo Luca»
La tradizione dei primi secoli riconosce in «Luca» l’autore di questo vangelo e degli Atti degli apostoli.
Già a partire da Ireneo di Lione (130-202):
Luca, compagno di Paolo, consegnò in un libro il vangelo che quest’ultimo predicava.
(IRENEO DI LIONE, Adversus Haereses III, 1)
Testimonianze simili si trovano nel Canone muratoriano (un’antica lista dei libri del Nuovo Testamento), in Clemente di Alessandria, Origene e Tertulliano.
Questo vangelo e gli Atti sono stati attribuiti a Luca per due motivi:
- Paolo, nelle sue lettere, indica più volte Luca come suo collaboratore/compagno (cfr. Fm 1,24; Col 4,14; 2Tm 4,11);
- ci sono varî passi negli Atti degli apostoli, in cui il racconto è narrato in prima persona plurale: come se l’evangelista fosse presente a quegli eventi (cfr. At 16,10-17; 20,5-15; 21,1-18; 27,1-28).
Molti critici però, già dalla fine del XIX secolo, hanno iniziato a dubitare di queste testimonianze; sia per il fatto che all’epoca il nome greco «Luca» (Loukás, Λουκάς) era assai diffuso; sia perché l’utilizzo del «noi» in un’opera da parte dell’autore era un artificio letterario utilizzato spesso in passato; senza contare che nel prologo del vangelo (cfr. Lc 1,1-4) Luca pone il suo lavoro al termine di un elenco di testimoni oculari e di «molti» che hanno, prima di lui, composto dei racconti sulla vita, morte e risurrezione di Gesù.
Insomma, anche in questo caso gli esegeti hanno dubitato dell’identificazione tra «Luca compagno di Paolo» e l’autore del testo del vangelo:
Leggendo quest’opera si sente che l’uomo indicato con il nome di Luca non è molto probabilmente né palestinese (lo indicano il suo modo di presentare Nazaret (4,29), le informazioni maldestre di 4,44 e 17,11, ciò che Luca afferma a proposito delle case con i tetti di tegole (5,19), delle piene dei fiumi (6,48-49), della tecnica della semina (8,5-7), o anche del lago di Tiberiade, che si rifiuta di chiamare mare (5,1-11; 8,22-23.33)), né ebreo (la sua conoscenza dell’Antico Testamento potrebbe indurre a crederlo. Ma l’errore sulla purificazione in 2,22 («loro» implica a torto la purificazione del padre) sembra escludere che sia stato allevato in una famiglia ebraica, e ciò che afferma riguardo alla legge dell’Antico Testamento – considerata un giogo insopportabile (At 15,10) – è improbabile in bocca a un circonciso. Perciò è meglio collocare l’evangelista fra i pagani divenuti «timorati di Dio», cfr. Lc 7,5; At 10,2, o proseliti. Si può quindi ritenere che prima della sua conversione al cristianesimo si fosse avvicinato al giudaismo).
Uomo colto, il suo talento di scrittore gli permette di giocare con i vari stili della lingua greca, mettendo persino in bocca ai suoi personaggi la lingua e lo stile che doveva caratterizzarli: così, alla pentecoste, Pietro si esprime in un greco infarcito di semitismi (At 2,14-36), mentre Paolo, all’Areopago di Atene, pronuncia un discorso in un greco forbito (At 17). In altri passi, Luca sa imitare anche il greco della versione dei LXX (Lc 1).
(PIERRE DEBERGÉ, JACQUES NIEUVIARTS, Guida di lettura del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 2006, p.51)
In compenso, la quasi totalità dei critici concorda sul fatto che l’autore di questo vangelo e quello degli Atti degli apostoli coincidono (nonostante non ci siano manoscritti in cui i due testi sono uno adiacente all’altro): i motivi sono sia linguistici, sia letterarî, sia teologici.
4 • Chi ha scritto il vangelo «secondo Giovanni»
L’ultimo vangelo nomina spesso un personaggio misterioso: il «discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23-26; 19,26-27; 20,2-10; 21,7.20-23).
Ireneo di Lione è stato il primo ad identificarlo con Giovanni, figlio di Zebedeo, nonché a ritenerlo l’autore del quarto vangelo (*):
Giovanni, il discepolo del Signore, quello che riposò sul suo petto, pubblicò anch’egli un vangelo mentre dimorava a Efeso in Asia.
(IRENEO DI LIONE, Adversus Haereses III, 1)
(*) (La fonte di Ireneo è il suo maestro Policarpo, il quale a sua volta fu discepolo dell’apostolo Giovanni)
Anche nella lettera a Florino (riportata da Eusebio di Cesarea), Ireneo rivela informazioni interessanti:
Sono in grado di dire anche i luoghi dove il beato Policarpo si sedeva a discutere e il suo modo di iniziare e terminare un argomento, il tipo di vita che conduceva, il suo aspetto fisico, le discussioni che teneva davanti alla folla, come raccontava i suoi rapporti con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, come ricordava le loro parole, e quali erano le cose che aveva udito da loro sul Signore, sui suoi miracoli e sul suo insegnamento e come Policarpo, dopo aver appreso tutto questo dai testimoni oculari della vita del Logos, riferisse ogni cosa conformemente alle Scritture. Grazie alla misericordia di Dio che è scesa su di me, anche allora io ho ascoltato attentamente queste cose e le ho annotate non su un foglio di papiro, bensì nel mio cuore e sempre per la grazia di Dio le meditai ripetutamente con fedeltà.
(EUSEBIO DI CESAREA, Storia ecclesiastica IV, 20,4-8 295)
Molti critici sostengono che è inverosimile che l’autore del vangelo sia un apostolo: sia per la datazione tardiva (come scrivevo, si ritiene che il vangelo secondo Giovanni sia stato scritto tra il 90 e il 100), sia perché il «discepolo che Gesù amava» descritto in questo testo è molto diverso da Giovanni figlio di Zebedeo descritto nei sinottici (cfr. ad esempio Lc 9,54-55; Mc 10,35-40):
Inoltre, al termine del vangelo, troviamo questo verso:
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.
(Gv 21,24)
«Noi sappiamo»… «noi» chi? Il soggetto sembrerebbe essere non tanto il testimone oculare, quanto i membri della comunità all’interno della quale è stato scritto il vangelo.
D’altra parte però, se si esamina il testo, emergono dettagli molto interessanti:
Poiché il greco di questo vangelo contiene costruzioni semitiche, il suo sfondo è fortemente segnato dal giudaismo e dall’Antico Testamento (1,17.45; 3,14; 6,31; 7,38; etc.) e il suo «autore» dimostra un’eccellente conoscenza della Giudea e di Gerusalemme: informazioni sulla piscina di Bethesda (5,2-3), sulla piscina di Siloe (9,7), sul portico di Salomone (10,22-23), sul pavimento di pietra del pretorio (19,13), ecc.; si può legittimamente riconoscere che questi vari elementi, senza consentire una risposta definitiva sull’identità dell’«autore» del quarto vangelo, inducono a pensare a un giudeo, che conosceva bene la Palestina e aveva accompagnato Gesù fin dall’inizio della sua missione.
(ALAIN MARCHADOUR, L’évangile de Jean [Commentaire pastoral], Centurion, Paris 1992, p. 14; citato in PIERRE DEBERGÉ, JACQUES NIEUVIARTS, Guida di lettura del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 2006, p.64)
Ammettendo pure che il quarto vangelo non sia stato scritto dall’apostolo Giovanni, non si può comunque negare una relazione molto forte con uno dei dodici, attraverso il ruolo che ha avuto nella comunità in cui questo vangelo è stato scritto:
È indubbio che, dietro le tradizioni giovannee, c’è una prestigiosa figura apostolica, un discepolo, un testimone oculare. È lui che ha raccolto le tradizioni di Gesù sconosciute agli scritti sinottici. Lui solo poteva imporre una tradizione peraltro marginale. È lui che ha impresso il suo sigillo, il suo stile e che ha saputo imporre una corrente cristologica molto diversa dagli altri vangeli. Chi è veramente? La tradizione lo ha identificato con uno dei figli di Zebedeo. Nulla si oppone a questa identificazione.
(ALAIN MARCHADOUR, L’évangile de Jean [Commentaire pastoral], Centurion, Paris 1992, p. 14; citato in PIERRE DEBERGÉ, JACQUES NIEUVIARTS, Guida di lettura del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 2006, p.64)
Conclusione
Ma quindi, in sintesi, chi ha scritto i vangeli?
Alcuni critici (la maggioranza) sostengono che sia inverosimile che siano stati scritti dagli evangelisti che conosciamo.
Altri (una minoranza) fanno la critica della critica.
Il magistero della Chiesa non si è troppo preoccupato di dipanare questa matassa…
…su un punto però è stata molto chiaro: sappiamo infatti (a prescindere da chi abbia messo il punto finale) che tutti e quattro i vangeli canonici sono nati in un contesto apostolico (Cfr. Costituzione dogmatica Dei Verbum, n.18).
Che significa «in un contesto apostolico»?
Significa che i vangeli sono nati all’interno di comunità che si sono radunate intorno agli apostoli (a differenza degli apocrifi).
Comunità nate intorno a persone che Lo conoscevano; persone che hanno vissuto con Lui; camminato con Lui; mangiato con Lui; ascoltato Lui…
…persone che «puzzavano di Gesù».
sale
(Autunno 2021)
- PIERRE DEBERGÉ, JACQUES NIEUVIARTS, Guida di lettura del Nuovo Testamento, EDB, Bologna 2006
- ADRIANO VIRGILI, Sulle tracce del Nazareno: Introduzione al Gesù storico, Phronesis Editore, Palermo 2022