1 • Il Dio «originale» e il dio «brutta copia»
L’ho già detto che – fosse per me – prenderei un buon 90% dei biblisti e degli esegeti, e li getterei in un altoforno?
Ah sì, l’ho già detto!
Nel 2021, avevo scritto una paginetta in cui parlavo di tutti quei teologi (o sedicenti tali) che ogni volta che si trovano di fronte ad un brano del Vangelo, escludono a priori la possibilità che quel testo descriva fatti e avvenimenti reali, e lo leggono esclusivamente in chiave simbolica:
- «Gesù non ha donato veramente la vista a un cieco; ha semplicemente insegnato ad un uomo a vedere le cose “da un altro punto di vista”»;
- «Gesù non ha moltiplicato veramente i pani o i pesci; il brano del Vangelo simboleggia il fatto che non dobbiamo essere egoisti, ma condividere quel che abbiamo»;
- «L’eucarestia non è veramente il corpo di Cristo, ma è un simbolo del fatto che Gesù si è donato ai suoi discepoli senza risparmiarsi»;
- etc.
(Per chi volesse approfondire, lo rimando a questa pagina del 2021)
Ecco.
Quando si parla della risurrezione di Gesù, si toccano le vette più alte di questo funambolismo esegetico:
- «la risurrezione di Gesù è il simbolo del fatto che nella vita ci si può sempre rialzare di fronte ad avvenimenti dolorosi e lasciarsi alle spalle il passato»;
- «la risurrezione di Gesù rappresenta una trasformazione interiore o un cambiamento profondo che porta a una nuova comprensione di noi stessi»;
- «la risurrezione di Gesù è immagine del fatto che se si crede veramente in qualcosa, alla fine la si ottiene»;
- etc.
In realtà, non sono solo gli esegeti e i biblisti a dire cose del genere.
Qualche anno fa avevo condiviso un post su Facebook.
Non ricordo se in quell’occasione avessi fatto menzione della storicità dei miracoli di Gesù… o della risurrezione stessa…
…fatto sta che un capo scout aveva commentato il post, lamentandosi di ciò che avevo scritto: diceva che la cosa più importante del cristianesimo non sono i miracoli che Gesù ha compiuto, o la sua risurrezione, ma la fratellanza, la solidarietà, la giustizia, il messaggio di amore, e che «poco dovrebbe importare che [Gesù] sia esistito davvero o meno (o che abbia compiuto DAVVERO quanto narrato)».
Tra il 1966 e il 1969 Joseph Ratzinger (1927-2022) è stato professore di teologia dogmatica all’Università di Tubinga.
Nel 1968 ha pubblicato un libro intitolato Introduzione al cristianesimo (usando come canovaccio le lezioni dell’anno precedente).
Ecco cosa scriveva in quelle pagine:
Se, per esempio, un teologo dichiarasse che «risurrezione dei morti» significa solo che bisogna affrontare ogni giorno [in modo nuovo], lo scandalo risulterebbe sicuramente evitato.
Ma in tal caso saremmo stati davvero onesti?
Non si dimostra, invece, una pericolosa disonestà quando si reputa sostenibile anche al giorno d’oggi il cristianesimo, ricorrendo però a tali artifici interpretativi?
Oppure, sentendoci spinti a funabolismi del genere, non abbiamo invece il dovere di ammettere che siamo proprio alla fine?
(JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p.49)
2 • Demitizzare il Vangelo (?)
Rudolf Bultmann (1884-1976) è stato un teol…
È stato un teol…
È stato un t…
Faccio un po’ fatica a inserire le parole «Rudolf Bultmann» e «teologo» nella stessa frase.
Questo perché Rudolf Bultmann ha passato gran parte della sua vita a studiare i Vangeli sotto la lente deformante del razionalismo scettico, con una buona dose di incredulità e un pizzico di «la scienza dice che…».
L’intento di Bultmann era quello di spogliare i Vangeli dalla loro “patina mitologica”, per riuscire a separare (a sua detta):
- il «Gesù storico», cioè l’uomo Gesù di Nazaret, un carpentiere vissuto nel I secolo…
- …dal «Cristo della fede», cioè la reinterpretazione delle parole, dei gesti e della vita di Gesù di Nazaret da parte dei suoi discepoli (sottointeso: «che avevano qualche rotella fuori posto»).
In altre parole, Bultmann voleva demitizzare il messaggio evangelico.
Ora.
Sapete cosa penso di di Rudolf Bultmann?
Qual è il problema di Bultmann?
No, non è il suo scetticismo.
Il mio migliore amico è una delle persone più scettiche che io conosca.
Il problema di Bultmann è la sua disonestà intellettuale.
Per spiegare il motivo di questa affermazione, faccio un esempio.
Non so se conoscete il mito di Adone.
Secondo il racconto (che fa parte della mitologia greco-romana) la dea Afrodite si innamora di questo giovane bellissimo, che però viene ucciso durante una battuta di caccia in inverno.
La dea però fa in modo che Adone torni in vita ogni anno in primavera e in estate.
Neanche a dirlo, il racconto di Adone NON è un evento storico: il suo ciclo di morti e resurrezioni simboleggia il passaggio delle stagioni.
Cosa hanno fatto i greci e i romani?
Hanno osservato ciò che accadeva nella natura, e sulla base di questo hanno ideato un racconto eziologico («eziologico» = che serve a spiegare le cause di qualcosa) che rendesse ragione del cambio delle stagioni.
(Per chi volesse approfondire, lo rimando alla pagina che avevo pubblicato un anno e mezzo fa, dal titolo «Che significa che la Bibbia è vera?», nella quale spiegavo la differenza tra «rivelazione cosmica», «rivelazione storica» e una serie di altre cose)
Bene.
Se vi è chiaro qual è il motivo per il quale viene composto un racconto eziologico, ora vi pongono una domanda.
A prescindere dal fatto che voi siate o meno cristiani…
- Vi sembra che il Vangelo sia stato scritto con la stessa finalità del mito di Adone?
- Vi sembra che il racconto della morte e risurrezione di Gesù sia stato composto per spiegare le cause del ciclo delle stagioni?
- È verosimile che un gruppo di pescatori semiti semi-analfabeti avesse una tale capacità mitopoietica (cioè la capacità «di elaborare racconti mitologici»)?
La risposta a queste domande è: «no».
Che voi crediate o meno ai testi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, NON sono racconti eziologici.
L’obiettivo degli evangelisti quando hanno preso in mano il pennino (o – come direbbero gli studiati – l’«intentio auctoris») non era di voler scrivere un testo simbolico, ma di rendere testimonianza ad un evento:
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.
(Giovanni 19,35)
Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza.
(2 Pietro 1,16)
I fatti raccontati nel Vangelo hanno la pretesa di essere avvenuti una volta sola.
Non si ripetono ogni anno.
Gesù ha trasformato l’acqua in vino una sola volta.
Gesù ha guarito il paralitico vicino alla piscina di Betzatà una sola volta.
Gesù è morto e risuscitato una volta per tutte.
E dunque:
Il carattere mitico che Bultmann crede di scorgere nei misteri cristiani è sostanzialmente loro estraneo.
(JEAN DANIELOU, Dio e noi, Rizzoli, Milano 2009, versione Kindle, 10%)
3 • «Divinizzare» Gesù (?)
Comunque non voglio nascondermi dietro a un dito.
La storia di Gesù è senza dubbio bizzarra.
Malati guariti…
Pani e pesci moltiplicati…
Risurrezioni dai morti…
…non sono cose da «tutti i giorni».
I Vangeli sono testi abbastanza stravaganti.
Sapete però qual è un’altra cosa stravagante?
Trovo stravaganti le argomentazioni di alcune persone che – per confutare i racconti dei Vangeli – ricorrono a spiegazioni oggettivamente false.
In che senso?
Spesso ho sentito discorsi di questo tipo:
«Gesù è stato un uomo molto carismatico; i suoi discepoli sono stati così colpiti dalla sua personalità che hanno iniziato a “ricamare” racconti miracolosi sulla sua storia; di generazione in generazione, questi racconti sono diventati sempre più straordinarî, tanto che nel corso delle generazioni la sua figura è stata divinizzata»
(Quella che ho esposto è la cosiddetta «ipotesi critica»; prossimamente scriverò una pagina più esaustiva per fare debunking di questa posizione)
Questa spiegazione sembra molto verosimile.
Razionale.
Sembra proprio una spiegazione scientifica che chiarisce perché sia nato il culto intorno a Gesù…
Come rispondere a questa tesi?
Come contro-argomentare?
Per rispondere è sufficiente ricorrere all’archeologia… e in particolare alla papirologia.
La «papirologia» è la scienza che studia i testi antichi (scritti su papiro, ma anche su altri materiali, come pergamene, tavolette di cera, ostraca, etc.), che combina i metodi archeologici, storici e filologici per analizzare e interpretare i testi antichi.
E cosa ci dice la papirologia?
Ci dice che non è vero che Gesù è stato divinizzato «nel corso delle generazioni».
I documenti più antichi nei quali si parla della risurrezione di Gesù risalgono al primo secolo.
Per comodità, possiamo dividere questi scritti in due categorie:
- la «tradizione narrativa», cioè quei testi che raccontano la vita di Gesù, le sue parole, i suoi gesti, il suo processo davanti al Sinedrio, etc.;
- la «tradizione della professione di fede», cioè quei brani nei quali troviamo testimonianze di fede nel fatto che Gesù è stato crocifisso, è morto ed è risorto.
Partiamo dai primi.
Quali documenti fanno parte della «tradizione narrativa»?
Ovviamente i i Vangeli.
Le date di composizione dei Vangeli (secondo le ipotesi più accreditate nel mondo accademico) sono queste:
- Marco: 65-70
- Matteo: 70-80
- Luca: 80-90
- Giovanni: 90-100
(In realtà, nel lontano 2016, in una delle primissime pagine del blog, parlavo della datazione dei Vangeli, e dicevo che secondo me – ma anche secondo Jean Carmignac e qualche altro autore – la datazione dei Vangeli potrebbe anche essere precedente; per chi volesse approfondire, lo rimando a quella pagina… anche se le vignette che avevo disegnato all’epoca ora mi cringiano un po’)
Insomma.
Appena trenta/trentacinque anni dopo la crocifissione di Gesù, c’erano persone che credevano nella sua risurrezione.
Attenzione: non ho detto che queste prove siano vere…
…però il fatto che appena trenta/trentacinque anni dopo la morte di Gesù circolino testi che parlano della sua resurrezione, esclude l’ipotesi per cui «Gesù è stato divinizzato nel corso delle generazioni».
Treccani alla mano infatti, il tempo medio che intercorre tra una generazione e quella successiva è di venticinque anni.
Cioè.
Non so voi.
Ma io utilizzerei la frase «Gesù è stato divinizzato nel corso delle generazioni», se le generazioni trascorse dalla sua morte fino al primo testo che parla della sua risurrezione fossero nove…
Sette…
Cinque…
…UNA SOLA generazione, mi sembra un po’ pochino per sostenere questa tesi 😅.
Poi, per carità.
Trentacinque anni non sono pochi.
In realtà, la tradizione narrativa (cioè i Vangeli) non è la testimonianza più antica che possediamo sulla risurrezione di Gesù.
Infatti, come diceva Joseph Ratzinger (1927-2022) nel 1973:
La tradizione narrativa nasce [da questo impulso]: si vuol sapere come sono adate le cose.
Si sente sempre più forte l’esigenza del dettaglio.
Ben presto si aggiunge anche il bisogno, da parte dei cristiani, di difendersi dai sospetti, da ogni genere di attacco, come possiamo cogliere nei vangeli, e pure dalle erronee interpretazioni, quali per esempio quelle sorte nella comunità di Corinto.
Tutto ciò impone racconti più dettagliati e completi.
Sono proprio queste esigenze che danno origine alla tradizione più approfondita e complessa dei vangeli.
Entrambe le tradizioni hanno un’importanza fondamentale, ma appare chiaro l’ordine gerarchico: la tradizione della professione di fede viene prima della tradizione narrativa.
Quella costituisce la ‘fede’ genuina, diventando così norma per ogni esegesi.
(JOSEPH RATZINGER, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 2012, p.106)
Cos’è la «tradizione della professione di fede»?
È la tradizione che fa capo a Paolo di Tarso (4-64 circa) e alle sue lettere.
Non so se lo sapete, ma Paolo era un ebreo «formato nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio» (Atti 22,3), che perseguitava i cristiani (Atti 22,4-5)…
…finché non è stato folgorato da un’apparizione di Gesù in persona, mentre era in viaggio verso Damasco.
Il resto è storia: Paolo ha viaggiato in lungo e in largo per il Mediterraneo, annunciando ad ebrei, greci e romani l’assurdità di un Dio incarnato, morto e risorto…
…ed ha scritto tredici lettere – ai Corinzi, ai Romani, ai Filippesi, etc. – che sono tutt’ora contenute nel Nuovo Testamento:
I documenti più antichi che abbiamo a disposizione, le lettere di san Paolo mostrano che una ventina d’anni dopo la crocifissione i cristiani credevano unanimemente alla risurrezione di Gesù. Lo stesso san Paolo, convertito al cristianesimo cinque o sei anni dopo la morte di Gesù, testimonia che la fede nel Risorto caratterizzava già allora i cristiani. Egli stesso fondava la sua conversione sul fatto di aver visto personalmente il Risorto.
(ANTONIO DUCAY, Il Figlio Salvatore : breve cristologia, Cantagalli, Siena 2014, p.39)
La prima lettera scritta da Paolo di Tarso è certamente la Prima lettera ai Tessalonicesi, ed è stata composta tra l’anno 51 e il 53.
Segue la Lettera ai Galati – scritta tra il 54 e il 55.
Poi c’è la Prima lettera ai Corinzi – scritta tra il 55 e il 56.
E così via.
Cosa dice Paolo nelle sue lettere?
Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè
che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
e che fu sepolto
e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture
e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.
Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.
Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.
(1 Corinzi 15,1-8)
Appena vent’anni dopo la crocifissione di Gesù, Paolo di Tarso (e non solo lui) credeva nella sua risurrezione.
Ripeto ciò che ho scritto prima: non ho detto che queste prove siano vere…
…però il fatto che appena vent’anni dopo la morte di Gesù circolino testi che parlano della sua resurrezione, esclude l’ipotesi per cui «Gesù è stato divinizzato nel corso delle generazioni».
Si può credere o non credere a questi testi.
Ma una cosa è certa:
In questo processo di tradizione, si è formata ben presto – probabilmente già negli anni 30 e nell’ambito palestinese – quella confessione che Paolo ha custodito e che in 1 Corinzi 15,3-8 ci ritrasmette come patrimonio ricevuto da mani fedeli.
[…]
L’intenzione, come Paolo espressamente sottolinea, è di fissare il nucleo cristiano, a prescindere dal quale si vanificherebbero sia il messaggio sia la fede.
(JOSEPH RATZINGER, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 2012, p.105)
4 • Che differenza c’è tra Gesù e Goku?
Da quando esistono i social network, ogni tanto mi imbatto nel meme in cui c’è il confronto tra il numero di volte in cui Gesù è risuscitato (una sola volta) e il numero di volte in cui è risuscitato qualche personaggio dei fumetti.
Ad esempio:
Tra l’altro, Goku è risuscitato solo due volte (dopo la morte contro Radish, è stato riportato in vita per combattere contro Nappa e Vegeta; e dopo la morte dovuta all’autodistruzione di Cell, è stato riportato in vita da Kaiohshin il Sommo per combattere contro Majin Bu)…
…il povero Crilin invece è risuscitato ben tre volte (è stato ucciso da uno scagnozzo del Grande Mago Piccolo, da Freezer e da Majin Bu).
Bene.
Lasciamo che i tredicenni finiscano di ridere per il meme che ho messo qui sopra.
…
In realtà, la risurrezione di Goku non è uguale alla risurrezione di Gesù.
E non intendo da un punto di vista teologico (mettiamo da parte questioni come l’effetto salvifico della morte di Gesù per la redenzione dei nostri peccati).
Togliamo di mezzo la teologia per un secondo.
Tutte le volte che in Dragon Ball un personaggio è stato riportato in vita per mezzo delle sfere del drago (si tratti del drago terrestre Shenron, o del drago namecciano Polunga, o di qualche altro Drago Divino), il “risuscitato” di turno è stato semplicemente riportato alla sua vita biologica:
- Yamcha è stato resuscitato (dopo essere stato ucciso da un Saibaiman)… ma nel corso degli anni invecchierà e morirà;
- Jiaozi è stato resuscitato (dopo che si è fatto esplodere contro Nappa)… ma nel corso degli anni invecchierà e morirà;
- Crilin è stato resuscitato più volte… ma per tornare alle sue funzioni biologiche, e al normale processo di invecchiamento del suo corpo, che prima o poi lo porterà di nuovo alla morte;
In altre parole, sono resuscitati come le persone a cui Gesù ha ridato la vita:
- Gesù ha risuscitato il figlio della vedova di Nain (Luca 7,11-17)… ma quel bambino, al termine della propria vita, è morto di nuovo, definitivamente;
- Gesù ha risuscitato Lazzaro (Giovanni 11,1-44)… ma anche lui, al termine della propria vita, è morto di nuovo, definitivamente.
Che differenza c’è tra la risurrezione di Goku e quella di Gesù di Nazaret? (*)
(*) (Tralasciando il fatto che stiamo facendo il confronto tra un personaggio dei fumetti e un uomo in carne ed ossa, vissuto nel primo secolo)
Gesù non è un morto che ritorna in vita, come il figlio della vedova di Nain e Lazzaro, che vennero richiamati al loro modo di vivere terreno, poi conclusosi con la morte definitiva.
La risurrezione di Gesù non può essere scambiata per un temporaneo superamento della morte clinica, che anche oggi conosciamo e che, però, dopo un certo tempo finisce con una morte clinica da cui non è più possibile fare ritorno.
(JOSEPH RATZINGER, Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 2012, p.110)
Cos’ha di diverso la risurrezione di Gesù?
Dunque.
Che voi siate credenti o meno…
Anzi.
Mi rivolgo innanzitutto ai non credenti.
Per dire di «non credere» in qualcosa, bisogna almeno sapere in che cosa NON si crede.
E in che consiste la risurrezione di Gesù, nella quale NON crede un non credente?
Che c’è di diverso dalla risurrezione di Goku?
Che hanno di particolare le apparizioni di Gesù risorto?
Queste apparizioni hanno due caratteristiche particolarmente significative: da una parte mostrano Gesù come un essere vivo e corporeo, che parla, che mangia, che tocca i discepoli, e così via.
Dall’altra, mostrano che qualcosa è cambiato in lui: esiste in un modo nuovo, diverso da com’era prima, e sembra essere al di sopra delle leggi dello spazio e del tempo. Si presenta, per esempio, in mezzo ai discepoli rinchiusi in una stanza, si fa riconoscere da loro quando lo ritiene opportuno, non prende alloggio da nessuna parte.
Si può dire che Gesù è sovrano nel decidere chi e quando vederlo.
I Vangeli presentano queste apparizioni come eventi oggettivi che invadono l’ambito dei sensi esterni dei discepoli: la vista, l’udito, il tatto.
Non si tratta di visioni interiori o di percezioni meramente soggettive.
Se fossero state tali, i discepoli avrebbero usato un altro linguaggio, per descrivere tali esperienze: avrebbero detto di essere certi che Gesù “stava con Dio”, oppure che egli ormai brillava come una stella gloriosa nel cielo.
(ANTONIO DUCAY, Il Figlio Salvatore : breve cristologia, Cantagalli, Siena 2014, p.41-42)
Proviamo a chiarire meglio.
I Vangeli, quando parlano di Gesù risorto, descrivono un uomo in carne ed ossa:
- i discepoli lo vedono;
- lo sentono parlare;
- lo osservano mangiare del pesce cucinato davanti ai loro occhi (Giovanni 21,9-14).
A titolo di esempio, guardate quante volte ricorrono i verbi collegati ai cinque sensi all’inizio della Prima lettera di Giovanni (che fa parte del Nuovo Testamento):
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi […].
(1 Giovanni 1,1-3)
Dall’altro lato però, Gesù risorto ha qualcosa di particolare:
- sembra non obbedire alle leggi dello spazio e del tempo – ad esempio, appare dal nulla di fronte agli apostoli che si erano sprangati all’interno di una casa, perché avevano paura di essere catturati dai Giudei (Giovanni 20,19 e 20,26);
- e sembra essere in grado di non farsi riconoscere da chi conosceva bene il suo volto: Maria di Magdala non riesce a identificarlo (Giovanni 20,11-18), e neanche i discepoli di Emmaus (Luca 24,13-34), finché non è Gesù stesso a permettere loro di riconoscerlo.
Perché?
Che senso ha?
Nel libro che citavo nel primo paragrafo, Joseph Ratzinger scriveva queste righe:
L’esperienza del Risorto è qualcosa di ben diverso dall’incontro con una persona di questa nostra storia, e non può però certo essere ricondotta a discorsi conviviali e a ricordi che si sarebbero alla fine condensati nel pensiero che egli era vivo e la sua causa andava avanti.
Con un’interpretazione del genere, l’evento viene sospinto in una direzione diversa, appiattito su una dimensione meramente umana, e quindi privato della sua peculiarità.
I racconti sulla risurrezione sono qualcosa di ben diverso e ben di più che scene liturgiche mascherate: rendono visibile l’avvenimento fondamentale su cui poggia ogni liturgia cristiana.
Essi attestano un farsi vicino che non è venuto dal cuore dei discepoli, ma è accaduto loro dal di fuori, si è imposto contro i loro dubbi e ha dato loro certezza: il Signore è veramente risorto.
(JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p.300)
A noi uomini moderni (*) “malati di scetticismo” sembra strano che Dio segua questa strada.
(*) (e non solo ai «moderni»… il primo scettico è stato uno degli apostoli, in Giovanni 20,24-29)
Vorremmo un certificato medico che attesti che un cadavere è tornato in vita.
E invece non è così che funziona.
Per scoprire che la risurrezione di Gesù non è una fregnaccia, c’è bisogno di un’attesa.
C’è bisogno di un cammino.
C’è bisogno di una relazione.
Dio non dà tutto a tutti subito.
Dio non si mostra a tutti in modo inequivocabile.
E anche quando si mostra, lascia le persone sempre un po’ balbettanti nel provare a raccontare l’esperienza che hanno vissuto:
Ecco perché gli incontri con lui sono ‘apparizioni’; ecco perché colui con il quale, non più di due giorni prima, si erano seduti a mensa non viene riconosciuto dai suoi migliori amici, e anche da riconosciuto rimane estraneo: solo quando egli stesso si dà a vedere viene davvero visto; solo quando egli apre gli occhi e quando il cuore si lascia aprire, può essere riconoscibile in mezzo al nostro mondo di morte il volto dell’amore eterno che vince la morte, e in esso il mondo nuovo, diverso: il mondo di Colui che viene.
Per la stessa ragione torna tanto difficile, per non dire addirittura impossibile, agli stessi vangeli descrivere gli incontri con il Risorto; quando ne parlano, non fanno che balbettare, e sembrano contraddirsi nel presentarceli.
(JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p.298)
Conclusione
Lo scout che mi ha scritto quel messaggio su Facebook alla fin fine non mi ha detto nulla di diverso da ciò che dice il mondo.
E cos’è che dice il mondo?
Il mondo dice che l’essenziale non è Cristo.
Il mondo dice che l’essenziale sono i valori umani, e che Cristo è un “di più”.
Invece no.
Cristo è essenziale.
Cristo è l’Esseniale.
Come diceva il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012), che non era certo un tradizionalista:
Non è mai esistito un cristianesimo primitivo che abbia affermato come primo messaggio: «amiamoci gli uni gli altri», «siamo fratelli», «Dio è padre di tutti», ecc.
Dal messaggio «Gesù ha patito, è morto ed è davvero risorto il terzo giorno» deriva tutto il resto.
(CARLO MARIA MARTINI, citato in VITTORIO MESSORI, Patì sotto Ponzio Pilato?: Un’indagine storica sulla passione e morte di Cristo, Ares, Milano 2020, versione Kindle, 1%)
Insomma.
Come ha scritto verosimilmente (*) Benedetto XVI (1927-2022):
(*) (Benedetto XVI ha iniziato a scrivere la Lumen fidei sotto il proprio pontificato; dopo le dimissioni però, l’ha consegnata a papa Francesco, per fargliela terminare e firmare)
La fede, senza verità, non salva, non rende sicuri i nostri passi.
Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità, qualcosa che ci accontenta solo nella misura in cui vogliamo illuderci.
Oppure si riduce a un bel sentimento, che consola e riscalda, ma resta soggetto al mutarsi del nostro animo, alla variabilità dei tempi, incapace di sorreggere un cammino costante della vita.
(PAPA FRANCESCO, Lumen fidei, n.24)
sale
(Estate 2024)
- JOSEPH RATZINGER, Il Dio di Gesù Cristo: meditazioni sul Dio uno e trino, Queriniana, Brescia 2011
- ANTONIO DUCAY, Il Figlio Salvatore : breve cristologia, Cantagalli, Siena 2014
- JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo: lezioni sul simbolo apostolico, Queriniana, Brescia 2018
- JEAN DANIELOU, Dio e noi, Rizzoli, Milano 2009
- VITTORIO MESSORI, Patì sotto Ponzio Pilato?: Un'indagine storica sulla passione e morte di Cristo, Ares, Milano 2020