Perché Gesù è stato condannato a morte?
Qual è stato il capo di accusa?
- Era un sovversivo?
- Un rivoluzionario?
- Il primo dei comunisti?
Quando qualcuno mi dà queste risposte, devo contare fino a un numero molto molto alto, altrimenti…
…comunque… dopo una bella flebo di camomilla… torniamo a noi…
Dov’è la risposta alla domanda sul motivo della condanna a morte di Gesù?
Ovviamente, nei Vangeli.
1 • Gesù, il blasfemo
Nel Vangelo di Giovanni vengono raccontati sette segni miracolosi compiuti da Gesù; il terzo di essi è la guarigione di un paralitico presso la piscina di Betzatà.
Dopo l’accaduto, il Vangelo riporta che:
Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.
(Gv 5,15-16)
I Giudei rimangono scandalizzati dal fatto che Gesù compie miracoli di sabato (Matteo racconta un episodio simile, in cui Gesù guarisce un uomo con una mano paralizzata «in giorno di sabato», cfr. Mt 12,9-14).
Il Vangelo poi riprende:
Ma Gesù disse loro: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
(Gv 5,17-18)
Giovanni rincara la dose:
- se i segni compiuti da Gesù durante lo Shabbat facevano digrignare i denti ai Giudei…
- …il motivo per cui si tappava loro la vena era la relazione filiale tra Gesù e YHWH.
Qualche capitolo dopo, l’evangelista riporta un altro incontro/scontro tra Gesù e i Giudei:
Gesù rispose loro: «[…] le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore.
Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo.
Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio».
(Gv 10,25-33)
Anche qui, il motivo dello scontro è la blasfemia: Gesù infatti usa delle espressioni che suscitano lo sdegno dei suoi ascoltatori:
- parla di «opere che compie nel nome del Padre suo» (cfr. Gv 10,25)
- afferma di «dare la vita eterna» (cfr. Gv 10,28)
- arriva a dire che «Lui e il Padre sono una cosa sola» (cfr. Gv 10,30)
Nel capitolo successivo, dopo che Gesù risuscita Lazzaro (cfr. Gv 11,38-44), i farisei vogliono ucciderlo a causa dei miracoli che compie:
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». […] Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
(Gv 11,47-48.53)
Infine quando i capi dei sacerdoti e la folla conducono Gesù da Ponzio Pilato per condannarlo a morte, emerge nuovamente il tema della blasfemia:
Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».
(Gv 19,6-7)
Anche nel Vangelo di Marco, nello scambio tra il sommo sacerdote e Gesù, poco dopo l’arresto di quest’ultimo, il motivo dell’odio nei suoi confronti è chiaro:
Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?».
Gesù rispose: «Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo».
Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte.
Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: «Fa’ il profeta!». E i servi lo schiaffeggiavano.
(Mc 14,61-64)
2 • Gesù, il Messia rifiutato
Il motivo della condanna di Gesù è la sua identità.
La causa della sua crocifissione è insita in ogni sua parola e azione: Gesù si presenta come il Figlio di Dio, come qualcuno che agisce «in modo sovrano», manifestando sia il potere che l’autorità di YHWH.
Gesù rivendica per sé lo status e le caratteristiche di Dio.
E per questo tanto i Giudei, quanto la classe sacerdotale, sono scandalizzati da lui:
Appellandosi a Lv 24,16 (Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte), tutto il sinedrio concorda che Gesù è reo di morte. Il vangelo sottolinea: tutti sentenziarono.
(MARKO IVAN RUPNIK, Dire l’uomo – Volume 1: Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2011, p. 293-294)
È molto interessante che, di fronte alle parole di Gesù, Caifa, il Sommo Sacerdote, fa un gesto assai significativo:
Il sommo sacerdote non sopporta che Cristo manifesti la sua identità in mezzo al sinedrio e, sconvolto da una furia, si straccia le vesti, una consuetudine degli ebrei tuttavia a lui proibita (cfr. Lv 21,10). Con questo gesto il sommo sacerdote esprime praticamente la capitolazione del sommo sacerdozio. È un gesto che esprime una profonda verità, perché di fronte al sommo sacerdote dell’antica alleanza ora si trova il nuovo sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek (Sal 110,4).
(MARKO IVAN RUPNIK, Dire l’uomo – Volume 1: Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2011, p. 292)
La pretesa di Gesù colma la misura.
La sua identità, l’auto-coscienza che ha di sé come Figlio di Dio, è negata e ritenuta blasfema.
E dunque viene condannato a morte.
E poco dopo…
Appena è proclamata unanimemente la condanna a morte, cominciano a umiliarlo con sputi e percosse. La frase forse più drammatica nella passione è proprio l’ultima riguardante il sinedrio: i servi intanto lo percuotevano (Mc 14,65). Cristo, servo obbediente, si abbandona nella sua kénosis in maniera così profonda che anche i servi trovano in lui uno più piccolo di loro su cui scatenarsi e versare su di lui tutto il rancore accumulato, la sete di vendetta e di giustizia.
(MARKO IVAN RUPNIK, Dire l’uomo – Volume 1: Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2011, p. 294)
Perché tutto questo odio?
Perché Gesù è stato rifiutato in modo così violento?
Il Figlio di Dio non è stato accolto perché deludeva. La storia della passione di Cristo a Gerusalemme è la storia della delusione dell’uomo davanti a Dio. Anche di quella dei discepoli. Questo però non spiegherebbe ancora tutto. Gesù è stato anche messo in croce: non solo scartato, bensì odiato fino alla morte dai religiosi del tempo. Commesso il crimine se ne sono rallegrati, come quando ci si libera di un peso troppo gravoso. Perché? Perché Gesù smascherava l’impostura di una fede chiusa in sé stessa e piena di alibi pii: «Siccome credete di vederci chiaro – disse ai capi del popolo nel Tempio – il vostro peccato rimane» (cfr. Gv 9,41). L’uomo prigioniero dell’ignoranza – specialmente quando crede di avere Dio dalla sua parte – diventa omicida.
(GIUSEPPE FORLAI, Vestirsi di luce : introduzione pratica alla vita nello Spirito, Paoline, Milano 2018, p.86-87)
3 • «Gesù era il primo dei comunisti»… e altre fregnacce…
Ma se Gesù è stato condannato per blasfemia, allora perché sulla croce c’è scritto «Re dei Giudei»?
«Re dei Giudei» sembra molto più un capo d’accusa politico, piuttosto che religioso…
…a questo punto, qualcuno potrebbe di nuovo insistere:
- «Allora vedi che il motivo della condanna era la lotta di classe!»
- «Gesù era un rivoluzionario!!»
- «Gesù era il primo dei comunisti!!!»
Calma.
Con ordine.
Nelle ore che precedono la sua crocifissione, Gesù viene portato:
- prima davanti al sommo sacerdote e al Sinedrio – ovvero alle autorità religiose del popolo d’Israele;
- quindi viene condotto di fronte all’autorità politica, cioè al pretorio – sede del prefetto della provincia romana della Giudea, che tra il tra il 26 e il 36 era Ponzio Pilato.
Gli ebrei infatti, all’epoca, non avevano autonomia politica: la Palestina faceva parte dell’Impero Romano.
Dunque, un’eventuale imputazione o condanna di Gesù doveva passare dalla giurisdizione romana.
Per presentarsi al pretorio con Gesù in catene, il sinedrio doveva rispondere alla domanda:
- con quale capo d’accusa presentate questo ipotetico criminale davanti al tribunale romano?
Nel consiglio, di cui [l’evangelista] Marco parla, è stato certamente deciso di non andare da Pilato accusando Gesù di proclamarsi Figlio di Dio, perché di questo Pilato si sarebbe interessato ben poco. I romani non intervenivano nelle questioni religiose ebraiche, anche perché non costituivano per loro un pericolo. Per coinvolgere Pilato e procurare il suo beneplacito per questa uccisione, dovevano muovere a Cristo accuse che interessassero i romani. Per questo, l’accusa fondamentale che avanzano contro di lui è di essersi proclamato re dei Giudei. Questo atto politico lo rende immediatamente nemico di Cesare. A tale accusa Cristo risponde in una maniera sorprendente per Pilato. Il procuratore romano infatti probabilmente non ha mai pensato che Cristo fosse il re dei Giudei: dalla risposta di Cristo traspare una certa debolezza di Pilato, nel senso che lui riferisce ciò che gli altri dicono. Infatti, si intuisce che Pilato non ha molto da dire a riguardo, ma che sono piuttosto i sommi sacerdoti, rappresentanti del ramo religioso del sinedrio, ad addurre argomentazioni contro Gesù. Ancora una conferma quindi che la questione fondamentale rimane quella religiosa.
I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse. Pilato lo interrogò di nuovo: «Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!» Ma Gesù non rispose nulla sicché Pilato ne restò meravigliato (Mc 15,3-4).
Pilato non ha più niente da chiedere a Cristo: la prima risposta che ha ricevuto e le tante acuse dei sommi sacerdoti bastano ad un militare romano per capire che il motivo per cui gli avevano consegnato Cristo non era quello della sua regalità. Ha capito infatti che altro è il motivo:
Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia (Mc 15,10).
(MARKO IVAN RUPNIK, Dire l’uomo – Volume 1: Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2011, p. 298-299)
Conclusione
In un enciclica del 2007, Benedetto XVI ricordava che:
Il cristianesimo non aveva portato un messaggio sociale-rivoluzionario come quello con cui Spartaco, in lotte cruente, aveva fallito.
Gesù non era Spartaco, non era un combattente per una liberazione politica, come Barabba o Bar-Kochba.
Ciò che Gesù, Egli stesso morto in croce, aveva portato era qualcosa di totalmente diverso: l’incontro col Signore di tutti i signori, l’incontro con il Dio vivente e così l’incontro con una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù e che per questo trasformava dal di dentro la vita e il mondo.
(BENEDETTO XVI, Lett. enc. Spe Salvi, 4)
Lo scandalo della pretesa di Gesù attraversa tutta la storia.
La blasfema ipotesi di un Dio che si incarna, prende parte alle sofferenze dell’uomo e le trasfigura, da 2000 anni a questa parte, interroga tutti (chi più, chi meno consapevolmente), senza eccezioni.
Nel 1968, quando era professore a Tubinga, Joseph Ratzinger scriveva le righe che seguono.
Cinquanta (e passa) anni dopo, mi sembrano ancor più attuali che allora:
Noi uomini di oggi restiamo quasi ammutoliti di fronte a questa ‘rivelazione’ cristiana, e ci chiediamo – specialmente qualora la confrontiamo con la religiosità dell’Asia – se in fin dei conti non sarebbe stato per noi assai più facile credere nell’Eterno avvolto nel mistero, pensando a lui, anelando a lui e confidando in lui. Ci chiediamo se non sarebbe stato quasi meglio che Dio ci avesse lasciati a una distanza infinta; se effettivamente non sarebbe stato assai più agevole, trascendendo ogni realtà mondana, cercare di cogliere attraverso una tranquilla contemplazione il mistero eternamente inafferrabile, invece di abbandonarsi al positivismo della fede in un’unica figura, collocando così la salvezza dell’uomo e del mondo come sulla punta d’ago di quest’unico punto d’incidenza.
(JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p.48)
sale
(Estate 2021)
- JOSEPH RATZINGER, Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011
- JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo: lezioni sul simbolo apostolico, Queriniana, Brescia 2018
- MARKO IVAN RUPNIK, Dire l'uomo - Volume 1: Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2011