1 • «Contemplar le tenebre è contemplar sè stesso»
Nella paginetta della volta scorsa dicevo che le poesie della Scapigliatura mi piacciono un sacco.
Ebbene.
In una poesia del 1864, lo scapigliato Emilio Praga (1839-1875) scriveva questi versi (ve ne riporto solo alcuni; per chi volesse qui c’è il testo completo della poesia):
[…]
Qui il tarlo, occulto e vigile
come le noje umane,
solo negli alti stipiti
morde il suo vecchio pane;
solo nelle mie tenebre
cerco il mio pane anch’io,
cerco la fede in Dio!
[…]
Ma le trombe di Gerico
tacquero una mattina:
sparve dal ciel degli angeli
la tinta porporina,
e innanzi a un muro orribile
torvo piantossi e altiero
il dubbio, in manto nero.
E da quel dì mi seguita,
mi seguita indefesso:
da lungi or or guatavami,
mi sta sul collo adesso;
paziente come un monaco,
furbo come una strega,
discute, afferma, nega;
e un’acre, ineluttabile
voluttà di dolore,
e una superbia indomita
e un fremito d’orrore,
come note di cembalo
che canta, o stride, o geme,
coll’ugna rea mi spreme.
[…]
Dove, dove migrarono
i popoli pastori,
dove volâr gli spiriti
dei sofi e dei cantori?
che disse Giove olimpio?
Osiride che disse?
Che fan le stelle fisse?
Dove svanîr le vergini,
e le pietose donne?
Ove son iti i bamboli
e le povere nonne?
Mentì il profeta o l’augure,
l’apostolo, il bramino?
Chi giunse al Dio divino?
[…]
Poichè il silenzio è un angelo,
e un sacerdote anch’esso,
e contemplar le tenebre
è contemplar sé stesso,
né son parole inutili
i sibili e i sussurri
che van pei campi azzurri.
(EMILIO PRAGA, Nox, vv.8-14.43-63.85-98.120-126, dalla raccolta Penombre del 1864)
Come dicevo due settimane fa, mi ritrovo moltissimo nelle poesie degli scapigliati.
2 • Cos’è la notte spirituale?
Ma veniamo al tema di oggi.
Lacosadicuivoglioparlare ha più di un nome:
- notte spirituale
- notte oscura
- desolazione educativa (cfr. DIADOCO DI FOTICA, Cento considerazioni sulla fede, a cura di VINCENZO MESSANA, Città Nuova, Roma 1973, p.96-98)
In ogni caso.
A prescindere dal nome che vogliamo usare, mi sento un po’ impacciato ad introdurre l’argomento… per due motivi.
Il primo motivo è che, come scrivevo nella scorsa paginetta, da 2-3 anni a questa parte spesso ho avuto la sensazione di trovarmi a un passo dall’ateismo.
Il secondo motivo (che poi è connesso al primo) è che quando si parla di Dio (e dintorni) non si può parlare in modo “scientifico” e “nitido”.
Bisogna usare perifrasi.
Immagini allusive.
Giri di parole.
Insomma… si deve usare un linguaggio analogico.
E dato che abbiamo tutti (io per primo) un piccolo razionalista con il ciclo che vive in un angolo della nostra testa, se qualcuno inizia a parlare in maniera poco chiara, ci infastidiamo subito.
Ma vabbè.
Proviamo.
Cos’è la notte spirituale?
Inizierei dicendo che la notte spirituale è quella cosa che capita quando Dio ritira dal cuore di un uomo la propria luce e il proprio calore.
Ovviamente uso le parole «luce» e «calore» in senso lato… la perdita del calore di Dio non si misura in Joule, e la perdita della luce di Dio non si misura in Candele.
È un linguaggio impreciso, ma che serve a descrivere una verità: il fatto che si smette di percepire in modo sensibile la grazia di Dio.
Si prova una grande aridità.
Si fa fatica a pregare.
Il ricordo di Dio sembra sbiadito, distante, irreale.
Non si riesce a stare sulla Bibbia.
L’amicizia dei santi sembra una stronzata allucinante.
In una parola: sembra di essere stati abbandonati da Dio.
…
Ora.
Dopo aver scritto queste righe, già sento di dover mettere in guardia chi sta leggendo contro un pericolo.
Anzi.
Contro il pericolo più grande che devono fronteggiare i cattolici che si mettono a fare ricerche su Google…
(*) (Disclaimer: il Nemico – di cui parla tanto spesso papa Francesco, e di cui ha parlato altrettanto spesso Gesù – non se l’è inventato la Chiesa. Ma prima di stare a scomodarlo a sproposito, ci andrei cauto. Non ricordo dove, avevo letto un aneddoto dei Padri del deserto che diceva più o meno così: «un santo anacoreta, giunto nella piazza centrale di un villaggio, vede il diavolo in forma di cane, che sta riposando vicino al pozzo; al che, gli si avvicina e gli domanda: “Che fai qui? Non dovresti essere in giro a tentare le persone?”. E lui gli risponde: “Sì, ogni tanto ci vado… ma il più delle volte, fanno un ottimo lavoro anche senza che intervenga io”»)
Ecco.
Se stai cercando in questa paginetta qualche sintomo di cose che forse, probabilmente, allincircamente, ti stanno capitando… SMETTILA TI PREGO!
Fai un respiro profondo.
Smetti di auto-analizzarti.
Conta fino a dieci.
E leggi fino alla fine.
3 • A che serve la notte spirituale?
Arriva un momento della vita, in cui un bambino deve smettere di prendere il latte dalla tetta della mamma, e iniziare a mangiare cibo solido.
Non sono un pediatra, ma immagino che sia un passo bello tosto:
- la mozzarella è molliccia;
- la carne è stoppacciosa;
- le verdure sono amarognole;
Che c’entra lo svezzamento dei bambini con il discorso che stavamo facendo?
C’entra, perché mi è stato detto che avviene qualcosa di analogo anche in àmbito spirituale.
Ci sono momenti nel cammino di fede in cui, per così dire, Dio «alza l’asticella».
Momenti di passaggio in cui Dio – per portarci a gustare qualcosa di migliore – ci fa assaporare cibi che sul momento sembrano insipidi, o addirittura amari:
- perdiamo il gusto di tante attività che ci sembravano imprescindibili nella nostra vita spirituale;
- ci passa la voglia di pregare;
- viene a nausea la lettura della Bibbia;
- ci eravamo abituati alla nostra routine spirituale (messa, adorazione, rosario, so-un-cavolo-io) e… PUF! Ogni cosa perde sapore!
Al che, qualcuno potrebbe dire:
- «Ma perché Dio permette queste cose?»
- «Cioè, se io cerco Dio con cuore sincero… perché Dio rema contro?»
- «Non vuole che prego?»
- «Non vuole che sto sulla Bibbia?»
- «Cosa ho fatto di male?»
Mi sono posto spesso domande simili (io in realtà ci ho infilato in mezzo qualche parolaccia… ma il senso è quello).
La risposta in realtà ce l’avevo sotto il naso.
Qual è il rischio più grande in cui si imbatte chi cerca Dio?
Il rischio più grande è l’auto-sufficienza:
- pensare che «sono proprio una brava persona!»;
- pensare che «mi sono impegnato a diventare un santo, e sono diventato un santo!»;
- pensare che ormai mi sono lasciato i peccati alle spalle;
- pensare che «se sono giunto fino a questo punto nel cammino, in fondo è merito mio!»;
- pensare che «ormai sono arrivato!».
La notte spirituale serve proprio a questo: a guarire dall’auto-sufficienza, a scacciare la tentazione della «perfezione con le mie forze».
La desolazione, l’amarezza, lo sconforto nel cammino di fede servono a questo: capire che «gustare le cose di Dio» (la preghiera, la meditazione, i gesti di carità) non è il frutto di una mia prestazione.
Il deserto serve a purificare i desiderî.
~
Il sacerdote carmelitano spagnolo Giovanni della Croce, al secolo Juan de Yepes Álvarez (1542-1591), ha scritto alcuni libricini nei quali parla della notte spirituale.
Vi riporto alcuni passaggi.
Il primo è tratto dalla «Salita al Monte Carmelo»:
Dunque errano molto quelle persone spirituali le quali, dopo essersi esercitate ad avvicinarsi a Dio per mezzo di immagini, di forme e di meditazioni, come si conviene a principianti, quando Egli vuole invitarle a beni più spirituali, interiori e invisibili, togliendo loro il gusto ed il sapore della meditazione discorsiva, restano perplesse e non osano, né sanno distaccarsi da questi modi palpabili, a cui sono abituate; e così faticano ancora per ritenerli, volendo camminare, come prima, per mezzo di considerazione e di meditazione di forme, pensando che debba essere sempre così.
In questo tentativo esse si affaticano molto e ne ricavano poco o nessun vantaggio; anzi quanto più si affannano per quel gusto che provavano prima, tanto più aumenta e cresce in loro l’aridità, la stanchezza e l’inquietudine di spirito.
Infatti è loro impossibile assaporarlo come in passato, perché l’anima, come ho detto, non gusta più quel cibo tanto grossolano ma un altro più delicato, più interiore e meno sensibile, che non consiste nell’affaticarsi con l’immaginazione, ma nel porre l’anima a riposo e lasciarla nella sua quiete e nella sua pace, il che è più spirituale.
(GIOVANNI DELLA CROCE, Salita al Monte Carmelo 12,6)
Il secondo passaggio è tratto da uno dei libri più belli (e dolorosi) che io abbia letto in vita mia:
Il primo e più importante beneficio della notte di tenebra e contemplazione è la conoscenza di sé e della propria miseria.
[…]
Nell’Esodo, volendo umiliare i figli d’Israele e renderli coscienti della propria pochezza, Dio comandò loro di togliersi gli abiti della festa: «e poi saprò che cosa dovrò farti» (Es 33,5).
Che è come dire: l’abito che indossate, simbolo di festa e di allegria, vi impedisce di vedervi come veramente siete.
Toglietevelo e capirete cosa vi meritate.
Ossia l’anima non può conoscere i suoi limiti fino a che cammina festosa immaginando di servire Dio e provandone grande gusto, consolazione e conforto.
[…]
Di questa nuova umiltà e dell’avvilimento per non saperlo servire, Dio si compiace più che delle precedenti pratiche pie e dei godimenti spirituali che le erano causa di molte imperfezioni.
Rivestirsi di tale aridità apporta infatti svariati benefici che traggono tutti origine dalla conoscenza di sé.
(GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006, p.50)
Come accennavo prima, noi (*) occidentali piccolo-borghesi con «cibo take away e serie tv su Netflix» siamo troppo razionalisti.
Dicevo: noi occidentali siamo troppo razionalisti.
Pensiamo che per conoscere Dio sia necessario «sapere tante cose».
Leggere libri.
Capire.
Ci crogioliamo nella nostra spocchia.
Rifiutiamo l’idea che Dio possa servirsi di mezzi che noi riteniamo indegni.
Ci fa ribrezzo l’idea che Dio possa rivelarsi nell’amarezza.
Nella sofferenza.
Nell’aridità.
…
Ecco cosa scriveva l’autore del libro del Siracide nel II secolo a.C.:
Chi non ha avuto prove, poco conosce.
(Sir 34,10)
Accetta quanto ti capita
e sii paziente nelle vicende dolorose,
perché l’oro si prova con il fuoco
e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore.
(Sir 2,4-5)
Ricorrendo ad un’immagine simile, Giovanni della Croce scriveva queste righe:
[La notte spirituale] può essere paragonata al lavorio del fuoco sul legno.
Infatti quando il fuoco attacca il legno, comincia anzitutto con il seccarlo, con l’eliminarne l’umidità e fargli trasudare l’acqua che trattiene all’interno.
Poi mano a mano che lo asciuga e lo libera da tutte quelle peculiarità sgradevoli e oscure che risultano contrarie al suo operato, lo annerisce, lo imbruttisce e gli fa emanare cattivo odore.
Alla fine poi con la fiamma e con il calore lo trasforma a sua somiglianza e lo fa bello come lui.
(GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006, p.90)
Qual è il senso di questa frase?
Chiaramente si tratta di un’analogia poetica (non vi mettete a controbattere con obiezioni del tipo «Eh, però il legno se sta troppo dentro al fuoco, brucia completamente e poi rimane solo cenere!» o altre frasi da Hermione Granger… vi prego… mi fido della vostra capacità di astrazione)
Il senso è che – a volte – nel cammino spirituale, ci sono delle cose che non faccio io, ma che Dio fa in me.
E l’unica cosa che posso fare io è «stare zitto e fare pippa»:
Questa notte oscura è azione di Dio volta a purificare l’anima dall’ignoranza e dalle sue imperfezioni abituali, naturali e spirituali.
[…] Dio stesso istruisce in segreto l’anima sulla perfezione dell’amore senza che ella faccia nulla, né intenda come ciò possa avvenire.
(GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006, p.68)
L’idea fondamentale è quella di una pura attività di Dio e di una pura passività dell’anima.
(MAX HUOT DE LONGCHAMP, San Giovanni della Croce : per leggere il Dottore Mistico, Oratorium, Roma, p.18)
4 • Cosa accade durante la notte spirituale?
Allora.
Famo a capisse.
Negli ultimi anni mi sono ritrovato spesso “al buio”.
Però mi dovrei sciacquare la bocca con la varechina se chiamassi «notte spirituale» ciò che ho sperimentato.
Comunque – notte o non notte – nei momenti in cui mi sento un po’ “al buio” mi fa bene rimuginare su ciò che ha scritto Giovanni della Croce.
Diciamo che “scommetto” sul fatto che c’è del buonsenso in ciò che racconta.
Il modo in cui parla del silenzio di Dio mi sembra ragionevole.
Nei momenti in cui mi prende la botta di ateismo nichilista, se penso a ciò che ha scritto, posso per lo meno sospendere il giudizio.
Contemplare il Mistero.
Evitare di seguire il filo dei pensieri neri.
E rimanere con la pulce nell’orecchio di: «E se niente niente Giovanni della Croce avesse ragione, e il deserto fosse solo un momento di passaggio?»
Insomma…
…quando i miei ragionamenti sono annebbiati, mi confronto con quello che scrive:
Accade così che con il sopraggiungere della fortunosa notte e l’annebbiamento del loro senso interiore, non sappiano più come muoversi né può venirgli in aiuto il ragionamento, l’immaginazione o la meditazione, di cui non ritrovano neppure più la strada.
Si sentono spaesati e aridi, e gli pare che le cose dello spirito non offrano diletto ma solo tedio e amarezza.
Questo accade perché a un tratto tutto gli si capovolge.
Trovandoli Dio un po’ cresciuti e volendo che superino la fase infantile, che si rinforzino e si liberino dalle fasce, li svezza dal dolce petto, scioglie l’amoroso abbraccio e li invita a camminare con le loro gambe.
(GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006, p.41)
A volte ho l’impressione che la preghiera non sia un «dialogo» con Dio, ma un «monologo» tra me e me…
Mi sembra che quando prego non sto facendo qualcosa di diverso dal recitare filastrocche…
Mi sembra che non ci sia troppa differenza tra «Ave Maria, piena di grazia…» e «Passa Paperino, con la pipa in bocca, guai a chi la tocca…».
Anche di fronte all’incapacità di pregare che a volte mi prende, mi sento molto consolato da quello che scrive il carmelitano spagnolo:
Durante il suo percorso nella notte oscura l’anima si angoscia per l’incapacità assoluta di innalzare la mente a Dio e quindi di pregare […].
Ella ha l’impressione che le sue suppliche non giungano più all’Onnipotente, che ormai come dice Geremia le sembra «avvolto in una nube» (Lam 3,44), o meglio suppone che la strada per arrivare a Lui si sia interrotta: «ha sbarrato le mie vie con blocchi di pietra, ha ostruito i miei sentieri» (Lam 3,9).
Se a volte si sforza di pregare, lo fa svogliatamente, senza alcun fervore, convinta di non essere ascoltata, come rileva ancora Geremia nello stesso testo: «anche se grido e invoco aiuto, egli soffoca la mia preghiera» (Lam 3,8).
È evidente che per l’anima questo non è il tempo di dialogare con Dio, ma, come dice il profeta, quello di sopportare con pazienza la purificazione e di affondare «nella polvere la bocca, (perché) forse c’è ancora speranza» (cfr. Lam 3,29).
(GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006, p.80-81)
In un punto di Notte oscura nomina anche le bestemmie (delle quali avevo parlato in quest’altra paginetta del blog):
Oppure essi possono essere visitati dallo spirito della bestemmia che suggerendo insistentemente all’intelletto e all’immaginazione imprecazioni intollerabili, li tormenta così atrocemente che è un portento se riescono a non pronunciarle.
(GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006, p.58)
Insomma.
Provando a unire i puntini.
Qual è il denominatore comune di ciò che descrive Giovanni della Croce?
Il black-out!
Durante la notte spirituale vanno “fuori uso”:
- l’intelletto
- la volontà
- la memoria
- l’immaginazione
- la logica
E non c’è nulla di male in questo black-out, perché – stando a ciò che scrive il carmelitano – è Dio stesso ad averlo causato.
~
Qualche mese fa ho letto un libricino di un sacerdote francese, il quale usava un’altra bella immagine.
Diceva che la sensazione che provi quando Dio ti introduce nella notte spirituale è quella di un innamorato che si crede abbandonato (MAX HUOT DE LONGCHAMP, San Giovanni della Croce : per leggere il Dottore Mistico, Oratorium, Roma, p.37).
Svariati secoli prima invece, un asceta cristiano diceva che il fondamento della fede cristiana consiste nell’«avere il cuore completamente frantumato» (PSEUDO MACARIO, 150 capitoli metafrasti 114; cfr. La Filocalia III, p.325).
In sostanza.
Se il cristianesimo non è una enorme fregnaccia, bisogna fare i conti col fatto che la pedagogia di Dio passa anche da cose che non capisco, che mi confondono e che mi fanno digrignare i denti:
Tutto il tuo sapere sarà mutato in confusione, come quello di un bambino piccolo.
E il tuo spirito, che sembrava così saldamente radicato in Dio, la tua conoscenza così precisa, il tuo pensiero così equilibrato, saranno immersi in un oceano di dubbi.
Una sola cosa allora potrà aiutarti a vincerli: l’umiltà.
Non appena tu te ne impossessi tutto il loro potere svanisce.
(ISACCO DI NINIVE, Prima collezione 58)
5 • Quanto dura la notte spirituale?
Domanda delle domande: ma quanto dura l’aridità?
Non vorrei scandalizzare nessuno, ma quando ho scoperto la risposta, mi sono abbastanza spaventato (*).
(*) (e questo la dice lunga sulla mia fiducia in Dio! 🥸)
La notte spirituale dura quanto vuole Dio!
Non c’è una “regoletta matematica”.
Non c’è una data di scadenza.
In realtà pare che Dio faccia durare l’aridità tutto il tempo che occorre.
O per lo meno, fino a che non diminuisce il più possibile il rischio di avere un rapporto mercantile con lui.
Fino a che non diminuisce il più possibile il rischio di pensare a Dio come a un distributore delle merendine.
Fino a che il Signore non avrà concluso a suo modo l’opera di purificazione, nulla potrà alleviare le sofferenze di quest’anima e giovarle.
Ella si sente incatenata nella sua cella oscura come una detenuta, con le mani e i piedi legati, e non si può né muovere, né vedere o ricevere aiuti dall’alto o dal basso. Sarà sottoposta a questo duro tipo di purificazione fino a che il suo spirito orribilmente umiliato non sia divenuto malleabile e allo stesso tempo tanto semplice e delicato da essere in grado di farsi uno con il divino Spirito.
La durata della prova dipende quindi dall’intensità dell’unione di amore che la divina misericordia vorrà concederle.
(GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006, p.68)
A questo punto, qualcuno potrebbe domandarsi: «Ma c’è qualcosa che posso fare per far sì che questo periodo possa essere un po’ più breve?».
«Anche solo di un pochino?»
«Un piccolo “sconto sulla pena”?»
…
Purtroppo sembrerebbe di no.
Come dicevo prima, bisogna «stare zitti e fare pippa».
O per dirla con Giovanni della Croce:
Chi volesse prendere in mano la situazione mettendo in azione le sue potenze interiori, intralcerebbe l’opera di divina trasformazione e perderebbe quei beni che nella suddetta pausa d’ozio Dio imprime all’anima.
Infatti costui somiglierebbe un po’ a quel modello che mentre viene ritratto dal pittore, si dà da fare e si muove, credendo di facilitargli il compito.
In questo caso bisogna rifornirsi della pazienza di chi posa, anche perché i sentimenti, le azioni o i ragionamenti servirebbero solo a evidenziare il vuoto dei sensi.
(GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006, p.46-47)
A volte la pedagogia di Dio può far storcere il naso.
Anzi.
Uso la prima peresona singolare.
A volte la pedagogia di Dio mi fa storcere il naso.
(l’ho già detto che sono un rosicone con la mania del controllo?)
Mi impunto.
Batto i piedi per terra.
Piango.
Poi realizzo che buona parte delle mie lamentele, vuoi o non vuoi, hanno una radice di orgoglio.
E buona parte dei miei piagnistei nascondono una mancanza di umiltà.
Cioè.
Detto papale papale (parafrasando un pensiero di Charles de Foucauld che vi riporto qui sotto).
La relazione con Dio non è diversa dalla relazione con una ragazza.
Io posso fare un passo avanti… o un passo indietro…
…ma sarà libero anche Dio (per motivi che io magari ignoro) di fare un passo avanti o un passo indietro?
Quando desideriamo seguire Gesù, non meravigliamoci se egli non lo permette subito, o se persino non lo permette mai: e ciò anche se questo desiderio è perfettamente legittimo, conforme ai suoi consigli, gradito al suo Cuore, ispirato da Lui.
Infatti Lui vede più lontano di noi; vuole, non solo il nostro bene, ma quello di tutti: seguendoLo passo passo, ci procureremmo forse solo il nostro bene o quello di pochi; andando dove ci invia e facendo la sua volontà, uniti a Lui nell’anima, senza la consolazione di seguirLo da più vicino nella nostra vita esteriore, ci procuriamo forse il bene di molti.
(CHARLES DE FOUCAULD, da «Meditazioni sul Vangelo»)
Conclusione
Se dovessi essere lasciato su un’isola deserta per il resto della mia vita, e mi dessero la possibilità di portare un solo libro, forse porterei quello da cui è tratto questo passaggio:
Dovranno accadere molte cose, assolutamente al di fuori della nostra buona volontà e della nostra generosità naturale.
Questo rovesciamento non implica una semplice ferita interiore, ma una vera e propria lacerazione che colpisce le nostre fondamenta; implica una probabile rottura e dei frantumi, uno sgretolamento inarrestabile: come un edificio in cemento armato, al quale possiamo aver lavorato per anni con estrema cura e che, a un certo punto, si è messo a funzionare solo come uno scudo contro il nostro io più profondo e contro gli altri, finendo col rischiare di proteggerci anche contro la grazia di Dio.
Questo crollo è solo un inizio, ma è già gravido di speranza: bisognerà evitare soprattutto il tentativo di ricostruire ciò che la grazia ha demolito.
Anche questo non è facile da imparare: la tentazione di montare qualche impalcatura davanti alla facciata pericolante e di rimettersi all’opera è infatti sempre molto grande.
Dobbiamo imparare a dimorare accanto alle nostre rovine, a sederci in mezzo ai detriti senza amarezza, senza rimproverare noi stessi né accusare Dio.
Dovremo appoggiarci a questi muri in rovina, pieni di speranza e di abbandono, con la fiducia del bambino che sogna che suo Padre aggiusterà tutto; perché lui, il Padre, sa come tutto può essere ricostruito diversamente, molto meglio di prima.
(ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello Spirito, Qiqajon, Magnano (BI) 2005, p.16)
E niente.
Chiudo con un’ultima frase di Joseph Ratzinger ( 1927-2022), che scrisse nel 1968, quando era ancora professore di teologia:
Della rivelazione cristiana non fa parte solo la parola di Dio, ma anche il silenzio di Dio.
[…]
Solo dopo averlo sperimentato come silenzio, possiamo sperare di percepire anche il suo parlare, che risuona nel silenzio.
(JOSEPH RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p.286)
sale
(Primavera 2023)
- GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, Città nuova, Roma 2006
- ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello Spirito, Qiqajon, Magnano (BI) 2005
- MAX HUOT DE LONGCHAMP, San Giovanni della Croce : per leggere il Dottore Mistico, Oratorium, Roma
- MARKO IVAN RUPNIK, Il discernimento, Lipa, Roma 2004
- ANDRÉ LOUF, L'uomo interiore, Qiqajon, Magnano (BI) 2007