1 • I miracoli di Gesù
Gesù faceva veramente miracoli?
O i Vangeli raccontano fregnacce?
Ha trasformato davvero l’acqua in vino?
Ha realmente moltiplicato i cinque pani e i due pesci per sfamare le folle?
È risorto dai morti?
Ma proprio risorto risorto?
Una cosa è certa:
Non c’è alcun altro personaggio della storia antica con così tante storie di miracoli associate alla sua figura come il Nazareno.
(ADRIANO VIRGILI, Sulle tracce del Nazareno: Introduzione al Gesù storico, Phronesis Editore, Palermo 2022, p.202)
I Vangeli sono pieni di questi racconti:
- ciechi a cui è donata nuovamente la vista (Marco 8,22-26; Matteo 9,27-31; Giovanni 9,1-7);
- paralitici risanati (Marco 2,1-12; Matteo 8,5-13; Luca 6,6-11; Giovanni 5,1-18);
- lebbrosi guariti dalla lebbra (Matteo 8,1-4; Luca 5,12-16 e 17,11-19);
- morti risuscitati (Marco 5,21-43; Luca 7,11-17; Giovanni 11,1-57);
- persone guarite a destra e a manca (Marco 7,31-37; Matteo 8,14-15; Luca 14,1-6 e 22,50-51)
Come ho già detto in altre occasioni qui sul blog (qui, qui e qui), tanti teologi ed esegeti dei nostri giorni non fanno in tempo a sentir nominare un miracolo, che subito mettono le mani avanti:
- «I miracoli non sono accaduti realmente!»
- «Si tratta di un espediente narrativo!»
- «È un simbolo con cui l’evangelista vuole mostrare ai lettori dell’epoca – che erano semplici pastori e contadini (*) – quanto fosse carismatico Gesù!»
(*) (sottointeso dell’esegeta: «cioè dei dementi ritardati rincoglioniti trogloditi cerebrolesi mediorentali demmerda»)
Eppure, nei Vangeli ci sono decine e decine di racconti di miracoli…
…e gli evangelisti, in più di un’occasione, ci tengono a specificare che erano proprio i miracoli (e non la predicazione di Gesù, o il suo carisma) uno dei motivi principali per i quali la folla seguiva Gesù:
[…] e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi.
(Giovanni 6,2)
Gesù rispose loro [nota mia: dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci]: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati.
(Giovanni 6,26)
Allora alcuni scribi e farisei gli dissero: «Maestro, da te vogliamo vedere un segno».
(Matteo 12,38)
Gesù, intanto, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui. Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo.
(Marco 3,7-10)
Insomma…
…come si spiega questa insistenza?
2 • Rifiutare «a priori» i miracoli (?)
Prima ancora che io possa provare ad argomentare, sento già gli scettici e i razionalisti che tornano alla carica: «Sale, ci sono stati tantissimi personaggi dell’antichità a cui sono stati attribuiti miracoli e poteri speciali! Lo sai anche tu che sono tutte fregnacce! Cosa rispondi?».
Rispondo che è vero: Gesù di Nazareth non è l’unico personaggio della storia a cui sono stati attribuiti poteri sovrannaturali.
Solo per rimanere ai personaggi del I secolo, si possono fare tre esempî.
Primo esempio: esiste una biografia del filosofo pagano Apollonio di Tiana (2-98) – composta dallo scrittore greco antico Lucio Flavio Filostrato (170-247) – in cui vengono attribuiti ad Apollonio ben nove miracoli (cfr. LUCIO FLAVIO FILOSTRATO, Vita di Apollonio di Tiana 1.4; 4.10, 13 [cfr. 5.18], 20, 25, 45; 6.27, 43; 8.38):
- la risurrezione di una ragazza;
- la predizione di una pestilenza, e la divinazione su come fermarla;
- l’esorcismo di una sposa-vampiro;
- l’esorcismo di un demone dal corpo di un ragazzo;
- etc.
Secondo esempio: lo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-100) nelle Antichità giudaiche parla degli esorcismi compiuti da un suo connazionale – Eleazaro – il quale metteva un anello al naso delle persone possedute, e quando queste ultime odoravano le erbe contenute nell’anello, venivano liberate dai demoni (cfr. GIUSEPPE FLAVIO, Antichità giudaiche 8.2.5).
Terzo esempio: nel Talmud (che è una raccolta di insegnamenti e riflessioni teologiche che integrano e commentano la Torah, redatto tra il III e il V secolo) sono descritti i miracoli del rabbino Hanina ben Dosa (vissuto nel I secolo), che in un occasione guarisce a distanza una persona grazie alla preghiera (cfr. y. Ber. 5.5; b. Ber. 34b) e in un’altra afferra la mano di un malato e lo fa alzare dal letto guarito (cfr. b. Ber. 5b).
(Per i tre esempî di miracoli che ho riportato, cfr. ADRIANO VIRGILI, Sulle tracce del Nazareno: Introduzione al Gesù storico, Phronesis Editore, Palermo 2022, p.204-205)
Cosa rispondere di fronte a «tutti questi miracoli»?
Non sono un po’ troppi per essere tutti veri?
E anzi: non è che niente niente sono tutti fasulli?
Dunque.
Inizierei col dire che secondo me questa è un’obiezione molto valida.
I cristiani non credono ai racconti miracolosi attribuiti ad Apollonio di Tiana.
E neanche a quelli attribuiti a Eleazaro, ad Hanina ben Dosa, a Buddha, a Maometto e a quelli di un sacco di altri santoni, più o meno antichi.
Cosa cambierebbe con Gesù?
Perché 999 «no» ed un solo «sì»?
Sembrerebbe una domanda dalla risposta scontata.
Non a caso, il filologo, storico e accademico francese Eugène Auguste Ernest Havet (1813-1889) – specializzato nello studio del cristianesimo primitivo e della letteratura classica – diceva che:
Il primo dovere che ci ha imposto il principio razionalista, che è il fondamento di ogni critica, è di scartare dalla vita di Gesù il soprannaturale. Ciò porta via di colpo tutti i miracoli del vangelo.
Quando la critica rifiuta di credere alle narrazioni miracolose, essa non ha bisogno di addurre delle prove per suffragare la sua negazione: ciò che si racconta è falso, per la semplice ragione che ciò che si racconta non è potuto accadere.
(ERNEST HAVET, citato in VITTORIO MESSORI, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino, 2007, p.106)
Tuttavia, ci sono almeno due cose che non mi tornano, di fronte a questo razionalismo così sicuro di sé.
La prima cosa che non mi torna è quella che gli psicologi cognitivi chiamerebbero «euristica della rappresentatività».
Cheee?
L’euristica della rappresentatività è un bias cognitivo (*), cioè una “scorciatoia mentale” che ci porta a giudicare la probabilità di un evento in base a quanto esso somiglia a una certa categoria o stereotipo, invece che sulla base di dati reali.
(*) (Per chi volesse approfondire, lo rimando a questo mazzo di carte)
Ad esempio:
- se ti descrivessi una persona timida, introversa, ordinata, metodica, appassionata di libri, sognatrice, INFJ, etc.;
- e ti chiedessi di indovinare se nella vita fa la bibliotecaria o la DJ di musica dubstep;
- probabilmente sceglieresti la prima opzione… ma non è detto che tu abbia ragione!
Cosa intendo con questo?
Intendo che il fatto che ci siano 999 racconti fasulli non rende automaticamente falso anche il millesimo racconto.
La seconda cosa che non mi torna è il fatto che autori come Havet (il razionalista che ho citato qui sopra) si avvicinano ai testi antichi con quella che viene definita «ragione chiusa».
Il termine «ragione chiusa» si usa per descrivere l’atteggiamento mentale di chi stabilisce in anticipo cosa sia possibile e cosa no, rifiutando tutto ciò che non rientra in uno schema predefinito o che non è spiegabile con le conoscenze attuali.
In soldoni, significa escludere, a priori, qualsiasi ipotesi o esperienza che non sia già accettata o provata dalla scienza o dalla logica condivisa.
E questa cosa, a mio avviso, non è molto scientifica.
Voglio dire: la scienza progredisce proprio integrando quelle esperienze che un tempo apparivano impensabili.
Insomma.
Facciamo a capirci.
Sia voi che io siamo d’accordo sul fatto che verosimilmente il 99.999% dei racconti di miracoli dei tempi antichi sono testi a metà tra il superstizioso e il favolistico.
Ma questo basta a darci la certezza scientifica che un miracolo sia qualcosa di sicuramente impossibile?
Secondo me quest’ultimo passaggio è una forzatura logica.
Possiamo anche non essere credenti, e definirci cautamente agnostici…
…ma se Dio esiste, non penso che sia molto ragionevole “imbrigliarlo” nelle regolette aprioristiche di alcuni intellettuali razionalisti come Havet (l’autore che ho citato qui sopra).
Se devo dire la mia, mi trovo molto più d’accordo con le parole del giurista, storico e accademico italiano Arturo Carlo Jemolo (1891-1981), che in un’intervista disse:
Mi sarebbe difficile accettare un Dio che non possa sospendere a piacimento le leggi della sua stessa creazione.
È un dogma laico e indimostrato che Dio sia prigioniero delle leggi stabilite da lui medesimo.
Chi siamo noi per dettargli le norme di comportamento?
(ARTURO CARLO JEMOLO, intervistato in VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul cristianesimo: sei tu il Messia che deve venire?, Società editrice internazionale, Torino 1987, p.55)
O, per dirla in filosofese, secondo me vale quello che scriveva il teologo e storico delle religioni tedesco Rudolf Otto (1869-1937):
Ciò che spesso si è detto, ossia che il razionalismo sia la negazione del «miracolo» e l’irrazionale invece la sua affermazione, è evidentemente errato o almeno molto superficiale.
Perché la teoria comune del miracolo, ritenuto come una breccia occasionale nella naturale catena della causalità, aperta da un essere che l’ha disciplinata e che perciò ne è il signore, è cosa del tutto razionale.
(RUDOLF OTTO, Il sacro, SE, Milano 2009, p.18)
3 • Qual è la logica dietro ai miracoli?
Un’altra obiezione che spesso ho sentito rivolgere contro i miracoli è quella sulla loro ingiustizia:
- «Come è possibile che i miracoli capitino solo ad alcune persone?»
- «Perché è guarita proprio quella persona?»
- «E perché quell’altra è ancora malata e sofferente, nonostante preghi da più di dieci anni?»
- «Perché Dio ascolta solo le preghiere di alcune persone?»
- «Perché a lui sì e a me no?»
Molte persone pensano ai miracoli come a dei favoritismi…
Delle corsie preferenziali…
Dei premî per i raccomandati da Dio…
A tal proposito, qualche anno fa, l’attore e drammaturgo italiano Giovanni Scifoni (classe ’76) scriveva queste righe nel suo primo libro:
Il miracolo ha questa caratteristica.
È ingiusto.
È ingiusto perché è solo per pochi.
È ingiusto perché non rispetta le leggi della natura: cadi da un palazzo di otto piani, sarebbe giusto che ti sfracellassi, come è giusto che due più due fa quattro, ma non muori; guidi ubriaco, corri in auto a centocinquanta all’ora accanto a una scuola elementare e finisci contro un palo, sarebbe giusto che tu morissi, ma non muori; ti presenti all’esame di chimica organica senza aver studiato nulla, sarebbe giusto che tu venissi bocciato, ma ti appare san Giuseppe da Copertino e ti fa passare l’esame.
Sperare nel miracolo significa sperare che due più due, per una volta, faccia cinque, ma solo per quella volta, per il resto della vita è essenziale che continui a fare quattro.
Il miracolo è ingiusto perché non è meritocratico. Non è un premio per i più bravi.
Capita spesso a persone che non hanno acquisito virtù particolari, che hanno pregato meno di altri, o che non hanno pregato affatto, che manco ci credono alla Madonna; possono essere miracolate anche persone malvagie, stupide, ingrate. E non è assolutamente detto che dopo un prodigio divino il fortunato destinatario decida di cambiare vita e di dedicarsi a opere pie.
(GIOVANNI SCIFONI, Senza offendere nessuno : chi non si schiera è perduto, Mondadori, Milano 2021, versione Kindle, 29-30%)
Insomma, qual è la logica dietro ai miracoli?
Per capirlo, riprendiamo il Vangelo.
Perché Gesù fa miracoli?
Molte persone credono che Gesù andasse in giro a fare il santone, e che facesse miracoli per fare stare bene le persone.
Se così fosse, tutti i viaggi che Gesù ha fatto (per la Galilea, la Giudea e tutti quei territori) sarebbero un «mezzo», e i miracoli, le guarigioni e tutti i segni prodigiosi sarebbero un «fine».
I Vangeli però dicono l’esatto contrario:
[…] le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
(Giovanni 5,36)
Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre.
(Giovanni 10,37-38)
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
(Giovanni 14,11)
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
(Giovanni 20,30-31)
[prima di guarire il paralitico] Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua.
(Marco 2,10-11)
I miracoli non sono un «fine».
Sono un «mezzo».
Gesù fa miracoli per offrire una prova che ciò che dice è vero.
I miracoli servono a confermare la sua identità.
Per far capire alle persone che lui «viene dal Padre».
Per far capire che Gesù è esattamente chi dice di essere: Dio e Figlio di Dio.
Il miracolo è quasi sempre rivolto ad una sola persona (il paralitico di Betzatà, il cieco di Gerico, Lazzaro di Betania), ma il significato del segno arriva a tutti.
O per lo meno, interroga tutti.
È un po’ come se Gesù dicesse: «Non credi alle mie parole? Non credi che io vengo da Dio? Non ti fidi del fatto che ti sto dicendo che Dio non è lo stronzo che hai sempre pensato, ma Qualcuno a cui stai tremendamente a cuore? Non credi che ti sto offrendo una mano tesa per riconciliarti con Lui e gustare la Sua gioia? Adesso ti faccio vedere io…» e poi compie un miracolo come “garanzia” del fatto che è vero tutto ciò che Lui ha detto:
- sul perdono di Dio
- sulla sua gioia
- sul fatto che Dio può trarre il bene dalle cose che spesso maledici (il lavoro, la malattia, la sofferenza)
- sul paradiso
- sul Giudizio finale
- sull’inferno
- sul modo in cui il peccato contamina il cuore dell’uomo…
- …e sul bisogno di questo cuore di essere redento
Lo stesso discorso si può fare per tutti i miracoli compiuti dai varî santi nel corso della storia.
O per ogni miracolo avvenuto nei santuari mariani.
Non si tratta di una lotteria in cui pochi fortunelli vengono premiati, e tanti sfortunati rimangono con i loro acciacchi…
…si tratta di un modo in cui Dio interpella il cuore di ogni uomo.
4 • Un miracolo di Lourdes
Visto che ho chiuso il precedente paragrafo citando i miracoli nei santuarî mariani, vorrei dedicare questo al racconto di uno di essi (per la verità, ne avevo già parlato in quest’altra pagina del blog…. ma repetita iuvant).
Alexis Carrel (1873-1944) è stato un chirurgo e biologo francese.
Nel 1912 ha vinto il Premio Nobel per la medicina, per i suoi lavori sulle suture vascolari, sul trapianto degli organi e sulla coltivazione a lunga scadenza di tessuti in vitro.
Come avevo già raccontato, Alexis da bambino è stato educato in un contesto cristiano; durante il suo percorso di studî però ha rinnegato le proprie radici, abbracciando il positivismo e lo scetticismo.
Ecco come racconta lui stesso questo passaggio:
[Carrel], assorbito dagli studi scientifici, affascinato nello spirito dalla critica tedesca, s’era convinto, a poco a poco, che, al di fuori del metodo positivo, non esisteva certezza alcuna. E le sue idee religiose, distrutte dall’analisi sistematica, l’avevano abbandonato, lasciandogli il ricordo dolcissimo di un sogno delicato e bello.
S’era allora rifugiato in un indulgente scetticismo.
Mentre aveva orrore dei settari, credeva alla bontà di tutte le fedi sincere.
La ricerca delle essenze e delle cause gli sembrava vana, solo lo studio dei fenomeni interessante.
Il razionalismo soddisfaceva interamente il suo spirito; ma nel fondo del suo cuore si celava una segreta sofferenza, la sensazione di soffocare in un cerchio troppo stretto, il bisogno insaziabile di una certezza.
Quante ore d’inquietudine e d’angoscia durante i suoi studi di filosofia e di esegesi! Poi tutto s’era placato.
Ma ora nelle profondità recondite del suo pensiero, sussisteva una speranza vaga, probabilmente incosciente, di afferrare i fatti che dànno la certezza, la pace, l’amore.
Egli disprezzava e amava insieme il fanatismo dei pellegrini e dei preti, dall’intelligenza chiusa, addormentati nella loro fede beata.
«Per sapere assai poche cose – diceva tra sé – io ho distrutto in me cose molto belle».
«La verità è sempre triste e cattiva ed io sono infelice» pensava […].
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p. 31-32)
La svolta nella vita di Alexis Carrel è arrivata pochi mesi dopo aver conseguito la laurea in medicina.
Un collega medico avrebbe dovuto accompagnare un pellegrinaggio di malati a Lourdes, ma a causa di un imprevisto ha dovuto dare buca… ed ha chiesto a Carrel di sostituirlo.
Quello che è successo in quei giorni è stato così incredibile che Carrel ha deciso di riportarlo in una sorta di diario, intitolato «Viaggio a Lourdes».
Dall’inizio del racconto, appare chiara la sua integrità intellettuale e il suo desiderio di rimanere obiettivo.
Nonostante sia un medico, un razionalista, e un sostenitore del metodo scientifico…
…quando parla dei presunti miracoli di Lourdes, lo fa con grande apertura mentale, descrivendo questi «fenomeni inspiegabili» in modo misurato e senza pregiudizi:
In presenza di fatti anormali, noi dobbiamo fare osservazioni esatte, senza preoccuparci della ricerca della causa prima, senza darci pensiero, soprattutto, del posto che il fenomeno deve occuparae nel quadro della scienza attuale.
«Bisogna cercar di spezzare i vincoli dei sistemi filosofici e scientifici, come si spezzerebbero le catene di una schiavitù intellettuale» ha detto Claudio Bernard.
Certamente non bisogna mai mettere in dubbio i fatti scientifici veramente dimostrati. Ma al fianco di certi punti luminosi, le leggi naturali sono ancora coperte per noi di tenebre tanto fitte, che sarebbe un volere restringere straordinariamente il nostro campo conoscitivo il limitarlo alle sole leggi conosciute oggi.
Ne esistono indubbiamente molte altre, e il progresso scientifico consiste nel cercare il nuovo, nell’analizzare i fenomeni straordinari, nel determinarne l’individualità, nel vedere in che cosa si differenzino dai fatti già noti, per trovare, così, nuove leggi.
La scienza deve continuamente stare in guardia contro la ciarlataneria e la credulità.
Ma è suo dovere anche non respingere i fatti solo perché sembrano straordinari ed essa è impotente a spiegarli.
Nel mondo medico molti negano i fatti che non hanno avuto l’occasione di poter osservare.
È un errore di giudizio.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.76-77)
Il miracolo è assurdo, non c’è dubbio.
Ma se è constatato in condizioni abbastanza concrete, perché si abbia la certezza di non essere ingannati, bisognerà pure ammetterlo.
Nessun argomento regge contro la realtà di un fatto.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.37)
Comunque.
Se potete, compratevi il libro e leggetelo per intero, perché la storia è veramente assurda…
…io qui mi limito a riportarvi alcuni stralci.
E, a tal proposito, torniamo alla vicenda.
Nel gruppo di malati con cui Alexis Carrel è arrivato a Lourdes c’è una giovane ragazza, gravemente malata.
Ecco cosa ne scrive lui stesso:
C’è anche una giovinetta, Maria Ferrand, presso la quale mi hanno chiamato forse dieci volte, e che è in pericolo più immediato di vita […]. Questa disgraziata ha una peritonite tubercolare, all’ultimo stadio.
Tutti i suoi parenti sono morti di tubercolosi; la ragazza ha avuto piaghe tubercolose, caverne polmonari e, dopo qualche mese, una peritonite, diagnosticata da un medico e da Bromilloux, il notissimo chirurgo di Bordeaux.
Ora è in uno stato pietoso; ho dovuto già farle delle iniezioni di caffeina. Temo che mi muoia tra le mani.
Se guarisse quest’ammalata, sarebbe veramente un miracolo.
Io crederei a tutto e mi farei frate!
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.39-40)
È all’ultimo limite della cachessia.
Il cuore è impazzito.
Guarda che magrezza, che colorito sul suo viso, sulle sue dita.
Morirà prestissimo.
Può darsi che viva ancora qualche giorno, ma è finita.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.43)
Sicuramente saprete che a Lourdes è tradizione immergere i malati nelle vasche d’acqua del santuario, alimentate dalla sorgente scoperta da Bernadette nel 1858 presso la grotta delle apparizioni.
Ebbene.
Osservando le condizioni disperate di Maria Ferrand, Carrel aveva annotato nel suo diario che portarla lì sarebbe stato «imprudente» (cfr. Ibidem, p.44).
Tuttavia – data l’assenza di altre opzioni per la giovane ormai prossima alla morte – il giovane medico acconsente, permettendo ai volontari di accompagnarla alle piscine.
Ecco come Alexis ha raccontato l’episodio:
Prima d’entrare nella piscina, la barella fu, per un istante, posata a terra. La malata sembrava aver perduto la conoscenza. Carrel le prese il polso. Ancora pulsazioni disordinate. Il viso era terreo. Una mosca verde si posò su una narice. La signorina d’O. la cacciò con un fazzoletto.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.46)
Poco prima di immergere Maria Ferrand nella piscina/vasca, quasi senza accorgersene, Alexis Carrel pronuncia una preghiera spontanea e distratta – che appuna lui stesso nel diario:
«Come vorrei credere, con tutti questi disgraziati, che voi non siete solo un’eletta fonte, creata dai nostri cervelli, o Vergine Maria. Guarite dunque questa giovinetta, ha troppo sofferto. Fate che viva un poco, fate ch’io creda»
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.47)
Cosa è accaduto dopo?
Sarei quasi tentato di lasciare questo paragrafo in sospeso, per farvi crescere un po’ di curiosità e farvi comprare il libro…
…comunque…
…ecco il resoconto dello stesso Alexis Carrel:
Non c’era più dubbio.
Lo stato di Maria Ferrand migliorava.
Ella era già irriconoscibile.
Profondamente turbato, incapace di riflettere, Lerrac senza lasciare il suo posto, avvertì M. e la signorina d’O. di quanto stava accadendo.
[…] Lerrac non parlava più; non pensava più.
Il fatto inatteso era talmente contrario a tutte le sue previsioni, che egli credeva di sognare!
La signorina d’O. porse una tazza colma di latte a Maria Ferrand, che la bevve d’un fiato.
Poi, dopo qualche momento, la malata sollevò la testa, si guardò attorno, si agitò un poco, e si coricò sul fianco, senza dare il minimo segno di dolore.
Lerrac si alzò, traversò le file serrate dei pellegrini, i quali gridavano invocazioni ch’egli a stento sentiva, e se ne andò.
Erano circa le quattro.
Quel ch’era accaduto era la cosa impossibile, la cosa inattesa, il miracolo!
Una giovane morente era quasi guarita.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.53-54)
Prima di esaminare il ventre di Maria Ferrand e di risolvere questo problema, Lerrac ebbe un istante di angoscia e di esitazione.
Con un fremito di desiderio e insieme di timore, tolse la coltre e guardò.
La pelle apparve bianca e liscia.
Al di sopra delle anche strette, Lerrac vide il ventre piccolo, depresso, come è proprio duna ragazza di vent’anni, molto magra.
Allora posò le mani sulla parete dell’addome: essa si rivelò morbida e trattabile, estremamente sottile.
Le dita curiose si muovevano, senza provocarne il minimo dolore, premendo in tutti i sensi ventre, fianchi e bacino, cercando la tumefazione e le masse dure, che erano sparite come una cosa sognata.
Tutto era ridiventato normale.
Soltanto le gambe restavano gonfie.
La guarigione era completa.
La moribonda, dal viso già cianotico, dal ventre teso, dal cuore fiaccato, s’era trasformata in poche ore in una ragazza quasi normale, molto magra, soltanto, e debole.
Lerrac si sentì scorrer sulla fronte gocce di sudore.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.57)
5 • L’eucatastrofe
Quando si parla di miracoli, il più delle volte si oscilla tra due estremi:
- da un lato, c’è lo scetticismo più radicale, che non ammette altro che materia, atomi, il principio di causa-effetto, e considera i miracoli roba da «creduloni minorati mentali»;
- dall’altro lato, c’è la creduloneria acritica di chi prende tutto per buono.
Questa situazione spesso è aggravata da certe agiografie a dir poco bizzarre, che dipingono i santi come fossero dei prestigiatori stramboidi, visionari d’altri tempi…
Tante volte, la devozione si trasforma in uno show televisivo, in cui il protagonista non è più Dio che cerca l’uomo di ogni tempo (*), ma la versione caricaturale del santo di turno, ammantato di sensazionalismo e di folklore.
(*) (o come avrebbe detto Luigi Giussani, «Cristo mendicante del cuore dell’uomo»)
Tante volte, i santi sembrano una sorta di guru esoterici dotati di poteri magici… come se la santità si misurasse dal numero di “effetti speciali” che uno si porta dietro.
Ecco.
Come per i miracoli di Gesù e per quelli che avvengono nei santuarî mariani (Lourdes, Fatima, Guadalupe, …), anche per i miracoli dei santi si può fare una riflessione più seria e profonda, senza scivolare nel sensazionalismo o nello scetticismo.
Alexis Carrel (che citavo nel precendente paragrafo), parlando dei miracoli, diceva che:
Un oggetto di ricerca non dev’essere abbandonato perché difficile da esplorare o perché i sapienti contemporanei lo trascurano e lo disprezzano.
[…]
Prima di negare, bisogna esaminare.
È la funzione della scienza.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.77)
L’analisi non deve essere considerata dai cattolici com’era un’opera sacrilega o come un attacco.
È semplicemente uno studio scientifico. La scienza non ha né patria né religione.
(ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes, Morcelliana, Brescia 1949, p.77)
Leggendo questi pensieri di Carrel mi è venuto in mente ciò che è accaduto negli ultimi 20-30 anni con le analisi condotte sulle ostie consacrate che sono state oggetto di miracoli eucaristici – dei quali Carlo Acutis era un grande appassionato.
Adesso non vorrei aprire troppe parentesi: prima o poi giuro che scriverò una pagina sul blog a riguardo… intanto, per chi volesse approfondire, lo rimando al libro «Un cardiologo visita Gesù : i miracoli eucaristici alla prova della scienza» di Franco Serafini.
Quello che mi interessa dire ora è che di fronte ai miracoli non bisogna perdere il senso critico…
…ma anche (e soprattutto) che i miracoli non sono fregnacce.
I miracoli (quelli veri) sono segno di qualcosa di più grande.
Qualcosa che spinge a guardare oltre.
Qualcosa che spinge a interrogarsi sul mistero con un cuore aperto.
I miracoli non sono tanto un “fuoco d’artificio divino”, ma una finestra spalancata su una realtà che ci supera e continuerà sempre a superarci – nonostante noi spesso pensiamo il contrario.
Nell’ultimo romanzo della Trilogia cosmica di Clive Staples Lewis (1898-1963) – a poche pagine dalla conclusione – il protagonista Elwin Ransom ha questo scambio di battute con i suoi alleati:
Il Direttore sorrise senza rispondere come chi rifiuta di farsi trascinare in una discussione.
«Non è in contrasto con le leggi della Natura» disse una voce che proveniva dall’angolo dove sedeva Grace Ironwood, quasi invisibile nell’ombra.
«Lei ha ragione: le leggi dell’universo non vengono mai infrante. Il suo errore consiste nel pensare che le piccole regolarità che abbiamo osservato su un pianeta per alcune centinaia d’anni siano le vere leggi immutabili, mentre sono solo i risultati remoti che le vere leggi il più delle volte producono come una specie di incidente».
«Shakespeare non infrange mai le vere leggi della poesia» intervenne Dimble.
«Ma, seguendole, di tanto in tanto trasgredisce le piccole regolarità che i critici scambiano per le vere leggi. Allora i critici meschini parlano di ‘licenza’; ma Shakespeare non sarebbe affatto d’accordo».
(CLIVE STAPLES LEWIS, Quell’orribile forza, Adelphi, Milano 1999, versione Kindle, 96%)
L’incontro con l’inspiegabile spesso porta con sé scetticismo, inquietudine, perplessità, meraviglia.
E non può che essere così, tutte le volte che ci si trova di fronte al Mistero.
A tal proposito, vorrei chiudere questo paragrafo con uno stralcio di una lettera di John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973).
Nella lettera, Tolkien sta raccontando a suo figlio Christopher di una giornata passata con sua figlia Priscilla (chiamata affettuosamente Prisca).
A partire dalla condivione di quella giornata – in semplicità – secondo me Tolkien è arrivato dritto al punto:
Domenica Prisca e io abbiamo pedalato sotto la pioggia e nel vento fino a St Gregory.
[…] abbiamo avuto uno dei migliori (e più lunghi) sermoni di padre C.
Uno splendido commento al Vangelo della domenica (la guarigione della donna e della figlia di Giairo), reso estremamente vivido dal paragone fra i tre evangelisti. […]
E anche dalle sue vivaci descrizioni dei miracoli moderni.
Il caso simile di una donna che soffriva di un’analoga malattia (un tumore uterino molto esteso) che a Lourdes guarì all’istante, tanto che del tumore non si trovò più traccia, eppure la sua vita era larga il doppio del normale.
E la storia commovente del ragazzino afflitto da una peritonite tubercolare che non guarì e fu tristemente riportato via verso il treno del ritorno dai suoi genitori, praticamente sul punto di morte, con due infermiere che lo accudivano.
Allontanandosi, il treno passò davanti alla Grotta.
Il ragazzino si tirò su a sedere: «Voglio andare a parlare con quella bambina!».
Sullo stesso treno c’era una bambina che era stata guarita. E si alzò e camminò fin dalla bambina e giocò con lei; poi tornò indietro e disse «Adesso ho fame». E gli diedero una fetta di torta e due tazze di cioccolata e un enorme panino imbottito di carne e lui mangiò tutto! (Questo nel 1927).
Anche Nostro Signore aveva detto di dare qualcosa da mangiare alla figlioletta di Giairo.
Così semplicemente e pianamente perché i miracoli sono così.
Sono delle intrusioni (come diciamo noi, sbagliando) nella vita reale, ordinaria, ma dal momento che entrano nella vita quotidiana, hanno bisogno di pasti ordinari e altre cose simili.
(Naturalmente, padre C. non ha potuto fare a meno di aggiungere: e c’era anche un frate cappuccino che era mortalmente ammalato, e da anni non mangiava quasi niente, e fu curato, ed era così contento che corse via e cenò due volte, e quella notte non ebbe i suoi vecchi dolori ma un attacco di banale comune indigestione).
Ma la storia del ragazzino (che naturalmente è ampiamente documentata) con la sua conclusione in apparenza triste e poi l’improvviso insperato lieto fine, mi ha profondamente commosso e ho provato quella particolare emozione che tutti proviamo, sebbene non spesso.
Era diversa da ogni altra sensazione.
E all’improvviso mi sono reso conto di che cosa si trattava: proprio quello che avevo cercato di scrivere e di spiegare nel saggio sulle fiabe che vorrei tanto che tu avessi letto e che anzi ti manderò.
Per questa sensazione ho coniato la parola «eucatastrofe»: l’improvviso lieto fine di una storia che ti trafigge con una gioia tale da farti venire le lacrime agli occhi (che io argomentavo essere il sommo risultato che una fiaba possa produrre).
E nel saggio esprimo l’opinione che produce questo effetto particolare perché è un’improvvisa visione della Verità, il tuo intero essere legato dalla catena di causa ed effetto, la catena della morte, prova un sollievo improvviso come se un anello di quella catena saltasse. […]
E concludevo dicendo che la Resurrezione è la più grande «eucatastrofe» possibile nella più grande Fiaba, e produce quella sensazione fondamentale: la gioia cristiana che provoca le lacrime perché qualitativamente è simile al dolore, perché proviene da quei luoghi dove gioia e dolore sono una cosa sola, riuniti, così come egoismo e altruismo si perdono nell’Amore.
(JOHN RONALD REUEL TOLKIEN, da una lettera a Christopher Tolkien del 7-8 novembre 1944, in JOHN RONALD REUEL TOLKIEN, La realtà in trasparenza : lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2001, p.115-117)
Conclusione
Forse ricorderete Eraclito (535 a.C. – 475 a.C.), il famoso/famigerato filosofo greco, soprannominato «l’oscuro» per la difficoltà dei suoi scritti, caratterizzati da un linguaggio simbolico, frammentato, astruso.
Ecco.
In uno dei frammenti pervenuti fino a noi, Eraclito ha scritto che:
L’armonia invisibile è superiore a quella visibile.
[originale: ἁρμονίη ἀφανὴς φανερῆς κρείττων (armonìe afanès fanerès krèitton) ]
(ERACLITO DI EFESO, frammento B54 (DK))
Parafrasando un pochino, si potrebbe dire:
«La trama nascosta è più grande di quella manifesta»
Il Lògos, l’ordine sottostante e profondo che sorregge il mondo, spesso non è immediatamente accessibile agli uomini, e tante volte rimane nascosto, celato, invisibile…
…eppure è molto più determinante rispetto a tanti eventi visibili e tangibili che noi chiamiamo “realtà”.
sale
(Inverno 2024-2025)
- CLIVE STAPLES LEWIS, Miracoli : uno studio preliminare, Lindau, Torino 2010
- ALEXIS CARREL, Viaggio a Lourdes : frammenti di diario, meditazioni, Morcelliana, Brescia 1949
- ADRIANO VIRGILI, Sulle tracce del Nazareno: Introduzione al Gesù storico, Phronesis Editore, Palermo 2022
- VITTORIO MESSORI, Inchiesta sul cristianesimo: Sei tu il Messia che deve venire?, SEI, Torino 1987
- RUDOLF OTTO, Il sacro, SE, Milano 2009