1 • Libertà dell’uomo vs volontà di Dio?
Siamo liberi?
Come si concilia questa libertà col fatto che «dobbiamo» fare la volontà di Dio?
Fare la volontà di qualcuno che è un Altro rispetto a me, non annulla la mia volontà?
Come si fanno a tenere insieme la libertà dell’uomo e la volontà di Dio?
Non è un controsenso?
2 • «Volontà di Dio» : storpiature, deformazioni e bias-cognitivi
In un suo libro, padre Marko Ivan Rupnik racconta la storia di Aljaž e Nuša, due giovani fidanzati.
I due – desiderosi di sposarsi – si rivolgono a padre Boguljub per chiedergli consigli per il loro discernimento.
Nuša studia psicologia.
Una delle prime domande che la ragazza rivolge al monaco è questa:
[…] io non riesco a superare la paura che, se accetto la volontà di Dio e mi sottometto ad essa, non ne soffra la mia personalità. Ho sentito di troppi casi patologici, frutto di una sorta di spersonalizzazione causata da una religione non voglio dire sbagliata, ma almeno percepita in modo erroneo. Penso che per la nostra generazione la libertà sia ormai un dato acquisito. La libertà come la intendiamo noi e come la viviamo noi. Con questa libertà, non so come potrei rimanere responsabile delle scelte che faccio, se dovessi compiere la volontà di un Dio che, per buono che sia, rimane pur sempre un altro da me.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.33)
Inizialmente le risponde il fidanzato (che vuole fare un po’ l’Hermione Granger di turno…), dicendole che «nel nostro tentativo di comprendere il mistero è importante non importare categorie che non gli sono conformi»…
…dopodiché, padre Boguljub riprende il discorso:
Bisogna pian piano imparare un po’ di disciplina nel pensare.
Se penso ad una casa sotto l’aspetto della costruzione, è chiaro che ragionerò tanto meglio quanto più userò le categorie tipiche dell’edilizia.
Se penso alle sue forme estetiche, è bene che mi serva delle categorie dell’architettura.
E se penso alla vita familiare di chi vi abiterà, adopererò altre categorie ancora.
Non possiamo affrontare qualsiasi pensiero sempre con le stesse categorie, e addirittura con la stessa dimensione della ragione.
Allora, quando parliamo della volontà di Dio, bisogna procedere con cautela e non applicare in modo troppo meccanico le categorie con le quali pensa a questo proposito una qualsiasi nostra scienza, nel tuo caso la psicologia.
Queste categorie possono anche essere illuminanti su qualche passaggio, su alcuni dettagli, ma non possono assumere un ruolo fondamentale nell’impostazione generale del nostro modo di pensare riguardo al mistero.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.33-34)
In sintesi: la psicologia è interessante, è bella, è utile…
…ma non si può pensare la «volontà di Dio» (soltanto) con categorie psicologiche.
Altrimenti si commette un errore di approssimazione piuttosto grossolano.
3 • Qual è la volontà di Dio?
Prosegue padre Boguljub:
“La volontà di Dio non può essere un’altra cosa da ciò che Dio è. E, se Dio è amore, il suo volere non si può scostare da ciò che Lui è, cioè dall’amore“.
Boguljub aveva scandito lentamente quest’ultima frase, accompagnandola con un movimento quasi impercettibile delle mani. Poi riprese, esemplificando:
“La volontà d’amore, una volontà orientata alla comunione, una volontà orientata all’altro con amore, per amore e nell’amore… E, se avrete un po’ di pazienza, vedrete che non stiamo parlando di qualcosa di romantico, ma di profondamente serio, addirittura drammatico.
La volontà di Dio è praticamente una sola: che tutti gli uomini si possano scoprire amati da Dio Padre e che possano accogliere questo amore con una risposta d’amore. […] l’amore di Dio viene sperimentato da ciascuno in un modo totalmente personale.
Allora anche la volontà di Dio ognuno può sperimentarla come una cosa del tutto unica, rivolta personalmente a lui stesso, dal momento che l’amore è personale e si comunica da Volto a volto.
Ma che cosa fare nella vita affinché uno possa essere penetrato in modo più radicale e integro da questo amore e ad esso rispondere, dipende da ognuno di noi.
La volontà di Dio, poiché è l’amore, è una sola.
Ma tocca a ciascuno percepire da solo, in modo personale, dove può esporsi più radicalmente a questo amore, facendo che cosa può essere più pienamente al servizio di questo amore”.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.34-35)
In altre parole, facendo un’analogia: se l’amore di Dio è il calore del sole, fare la «volontà di Dio» – o se preferite «seguire la propria vocazione» – significa trovare il luogo in cui siamo più esposti ai suoi raggi.
Tutto questo, ovviamente, vale in linea generale…
…poi ci sono i craponi/testa-di-rapa/scrupolosi come me, che hanno cento dilemmi esistenziali, mille paturnie e diecimila patemi d’animo che…
Comunque, al di là dei casi clinici come il sottoscritto…
…padre Boguljub continua il suo discorso passando dalla «volontà di Dio» alla scoperta della propria vocazione:
La vocazione significa trovare il proprio posto nell’amore. Cercando questo posto, si agisce già in sinergia, cioè in collaborazione con la volontà di Dio.
Sinergia… una bella parola che i Padri usavano. Alla lettera significa co-azione, un’azione frutto delle energie congiunte di Dio e dell’uomo in Cristo. Più precisamente, l’energia dello Spirito che penetra dall’interno l’energia dell’uomo e lo rende conforme a Cristo, a questa immagine sulla quale siamo stati creati.
Così si trova questo nostro posto.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.35)
4 • La filautia, ovvero: perché la libertà dell’uomo non funziona bene
Bene.
Se pensavamo di essercela cavata fin qui, padre Boguljub rincara ulteriormente la dose:
Tutti noi sperimentiamo una volontà che con fatica riusciamo ad orientare all’altro e con molto sudore cerchiamo di mantenere indirizzata alla comunione.
Infatti, le è così spontaneo un orientamento a sé stessa, pensare di custodire l’individuo chiudendolo in sé e separandolo dagli altri. La nostra volontà attribuisce a sé stessa un valore assoluto, il che non è un male in sé, se non in quanto nega o ignora questo stesso valore assoluto agli altri.
Tutti noi sperimentiamo la forza della nostra volontà autoaffermativa, che genera un’energia capace di esaltare la nostra individualità in modo esclusivo, unilaterale.
I Padri chiamavano questo movimento, questa energia, ‘amore per la propria volontà’, filautia.
[…]
Vedete, penso che bisogna essere onesti: non si può parlare della vocazione, del compimento della volontà di Dio, come pure della sua comprensione, se non parliamo anche del peccato.
È l’eredità comune a tutto il genere umano, e non si tratta solo di una perversione dell’amore, ma addirittura di una distruzione della relazionalità.
È l’evento drammatico con cui l’uomo si è ribellato a Colui che lo ha creato soffiando nella polvere della terra. Si è venuta così a determinare una specie di cesura o, se volete, si è creato un muro di separazione tra il fango e il soffio.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.37-38)
In soldoni: non è possibile parlare di libertà dell’uomo, di volontà di Dio o di vocazione senza fare i conti con il peccato originale.
Dopo il peccato originale…
…la visione si è rovesciata, e l’uomo si è orientato di nuovo alla terra. In essa cerca la sua dimora. Vorrebbe essere il padrone del creato, ma più di un uso mercantile della creazione non riesce a spingersi, perché non ha in sé la vita.
Vorrebbe gestire tutto il mondo come una sorta di creatore, facendo di sé il vero epicentro di tutto. Ma ogni generazione aggiunge il suo all’elenco dei fallimenti.
Ora, è chiaro che il peccato fa sì che l’uomo percepisca Dio come un limite alla propria gestione delle cose.
L’uomo vorrebbe dominare la creazione dei primi cinque giorni sentendosene il capo, dal momento che è arrivato per ultimo, il sesto giorno, come un re, quando tutto era già pronto.
Ma poiché non accoglie il soffio della vita, non può gestire l’universo, e tuttavia non vuole neanche lasciare che Dio lo faccia.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.39)
Dopo il peccato originale…
…Dio rappresenta un limite per l’autogestione dell’uomo. Gestire il mondo secondo la propria volontà: una sorta di autonomia radicale proclamata dall’uomo fa di Dio il suo più grande nemico.
Svincolandosi dall’amore, l’uomo comincia ad appiccicare a Dio una lunga serie di categorie, di idee, di concetti, di immagini, per giustificare il fatto di rimuoverlo dal suo orizzonte.
Tutta la cultura che abbiamo respirato negli ultimi secoli è piena di argomentazioni per radicarci in queste convinzioni.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.39)
5 • Essere abbastanza umili da ammettere il fallimento
Ma la tragedia che la persona umana sperimenta di continuo è che con il peccato è avvenuto uno strappo dalla fonte, un allontanamento dalla sorgente e, per tutto ciò che riguarda la vita, la volontà umana sbatte senza sosta contro un’impotenza insopportabile.
Perciò questa volontà dell’uomo che non riesce a produrre la vita, che non riesce a mantenere in vita, che non riesce neanche a conservare sé stesso in vita, diventa aggressiva e violenta.
Ed è chiaro che una volontà autoaffermativa non aiuta l’intelligenza – già per conto suo ferita, e dunque orientata alle cose e non più ai volti – ad ammettere il peccato commesso.
La malattia più grande della volontà umana è non voler ammettere il fallimento.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.40)
E qui di nuovo entra in gioco l’idea di Dio che il Serpente insinua nella testa di Adamo ed Eva.
Per la serie: «Grazie Dio, ma non mi serve il Tuo aiuto…»
- «…senza rancore, eh… però non mi fido di Te!»
- «…anche perché ho il sospetto che Tu mi voglia raggirare!»
- «…no, è che Ti rispetto in quanto C.E.O. dell’universo, ma non Ti stimo come Persona…»
- «…mettiti pure seduto lì, che già hai fatto abbastanza danni nella mia vita!»
- «…ché poi se Ti do retta, mi sembra di entrare in un circolo vizioso di ricatti morali…»
- «…e ho paura di perdere la mia libertà…»
Ogni volta si ritorna a vedere Dio come un padrone; a interpretare la sua Volontà con categorie psicologiche; e a leggere le Sue parole in chiave manipolatoria.
[…] la volontà non riusciamo a guarirla da soli.
Non possiamo guarire la nostra volontà semplicemente con degli ordini, degli imperativi, neanche, alla fine, con delle terapie.
[…]
Solo l’amore [di Dio] è quella forza che può rapire la nostra volontà e tirarla fuori dal chiuso del piccolo mondo del nostro io.
Senza l’intervento di un amore personale, con la volontà umana orientata a sé stessa e guidata da un’intelligenza incapace di varcare il confine dell’individualità, la società diventa frantumata, un’accozzaglia di atomi in balìa di tante forze centrifughe, dove ogni individuo cerca di sostenere e affermare sé stesso.
Ma l’essere umano ridotto così rappresenta per sé stesso una ferita aperta sulla sua identità […].
I nostri aiuti ad una persona così spesso si riducono o a consolare – dunque a concedere i piacer più diversi per alleviare le ferite e i dolori -, oppure ad imporre mète da raggiungere per alzarsi da questo fango.
Non vorrei dire che si oscilla tra soddisfazione e moralismo, ma ormai mi avete capito e spero che abbiate anche colto che di questa situazione bisogna pensare e parlare con tenerezza e compassione, benché all’uomo ferito nel suo orgoglio la compassione non piaccia, perché anche su di essa ha appiccicato i suoi pregiudizî.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.41-42)
Conclusione
A questo punto (e chiudo), Nuša porge a padre Boguljub una domanda terribile.
E la risposta che riceve è molto spiazzante. Ma è vera.
Perché è quella di un padre:
“Padre, chiedo scusa di nuovo, ma non le sembra di esagerare, sottolineando con tanta forza l’incapacità dell’uomo, la patologia della sua volontà e tanti altri problemi?
È come dire che siamo incapaci di amare!”
“Infatti, Nuša, è proprio così. Non c’è bisogno di andare troppo lontano. La volta scorsa, quando è venuto Aljaž, mi ha detto che avete delle incertezze, dei dubbi, per quanto riguarda il vostro stesso amore. Non è un segno che manca anche a voi, che dite di volervi bene, l’adesione a quella forza dell’amore che riesce a superare i momenti in cui normalmente si vedono crollare i rapporti? Non c’è niente di aggressivo se si ammette che l’uomo, in sé stesso, da solo, non ha la fonte della vita“.
(MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007, p.42)
sale
(Estate 2021)
- MARKO IVAN RUPNIK, Il cammino della vocazione cristiana : di risurrezione in risurrezione, Lipa, Roma 2007
- GABRIEL BUNGE, Akedia. Il male oscuro, Qiqajon, Magnano (BI) 1999