1 • Messaggi verbali e non verbali
La psicologia è una scienza che mi ha sempre affascinato.
Non ne so (quasi) nulla, ma ho la fortuna di avere alcuni amici studiati in questo ambito…
…e dato che sono un rompipalle, spesso e volentieri li riempio di domande: chiedo spiegazioni sull’apprendimento infantile, sul modo in cui l’educazione contribuisce a formare la coscienza, sul funzionamento della psiche nei primi anni di vita, etc…
Mi spiegavano che nel periodo compreso tra la nascita e i 7 anni, riceviamo dai nostri genitori (e/o da chi ci ha accudito) messaggi verbali e non verbali che hanno una grande influenza su di noi, in un momento in cui la nostra psiche è molto vulnerabile (un bambino non ha filtri, non ha un pensiero strutturato, accoglie tutto da mamma e papà, etc.).
2 • «Non sbagliare mai!»
Non so voi, ma per quel che mi riguarda, uno dei messaggi che si è sedimentato maggiormente nella mia capoccia suona più o meno così:
«Non sbagliare mai!»
«Sbagliare non è ammissibile!»
«Non puoi permetterti di fare passi falsi!»
«Se ti giochi male questa possibilità, poi non ne avrai altre!»
«Se sbagliassi, cosa penserebbero gli altri di te?»
«Se sbagliassi, le persone intorno a te soffrirebbero!»
«Se fai queste cose, Dio non ti vuole più bene!»
Come ho scritto sopra, spesso i messaggi che interiorizziamo spesso ci arrivano in modo NON verbale:
- non ricordo di aver mai sentito mia madre o mio padre dirmi di «non sbagliare mai»;
- né ho mai letto un passo della Bibbia, del Vangelo o del Catechismo in cui Dio diceva cose simili a quelle del fumetto qui sopra (*)
(*) (Non posso dire lo stesso per i preti: ne ho incontrati fin troppi che mi hanno presentato Dio come un padrone, un aguzzino o una zitella acida… e pochissimi che mi abbiano mostrato Dio come un Padre).
Però, appunto, spesso un genitore apprensivo, una mamma perfezionista, un prete ansioso, una suora inquieta… con uno sguardo, un gesto, un sospiro, un cenno – cioè con un messaggio NON verbale – trasmettono molto più di quanto non dicano con le parole.
3 • Ansia da prestazioni
Ho sempre pensato che il perfezionismo fosse una cosa buona…
…che fosse uno stimolo per rimboccarmi le maniche…
…che fosse – perché no? – anche una virtù cristiana…
…che fosse una spinta per fare il bene; per fare «mezzo passo avanti» verso gli altri…
…poi però ho iniziato ad unire i puntini in un altro modo:
- viviamo in una società schizofrenica;
- siamo costantemente bombardati da marketing, pubblicità, messaggi promozionali;
- i modelli imposti dalla nostra cultura sono volutamente oltre le nostre possibilità;
- e non intendo solo da un punto di vista economico; nelle relazioni, nelle amicizie, nel rapporto di coppia, nella quotidianità, negli impegni settimanali, l’aria che si respira è la medesima: «devo essere perfetto!», «devo essere impeccabile!», «se sarò all’altezza dell’aspettativa degli altri, mi vorranno bene!», «se non li deluderò, riceverò in cambio il loro affetto!», e così via;
- in questo modo, si alimenta un sentimento di frustrazione generalizzata: infatti, se non sono all’altezza del modello imposto, necessariamente sentirò «la coscienza sporca»;
- la tristezza mi spingerà allora a colmare questo vuoto, concedendomi un regalo (cioè spendendo soldi): perché, in fondo in fondo, «mi merito una consolazione».
In questo tran-tran io ci sono nato e cresciuto.
Ci sono nati e cresciuti mamma, papà, nonna, e tutte le persone che più hanno contribuito alla formazione della mia coscienza.
Ci sono nati e cresciuti i miei amici più stretti, i miei professori, i miei cantanti preferiti, etc.
…
All’improvviso mi rendo conto che il perfezionismo che rincorrevo ha ben poco di cristiano…
…e poggia piuttosto sull’orgoglio e sulla paura di essere giudicato dagli altri.
4 • Il Dio-occhio-di-Sauron
Oh, quest’ombra di auto-consapevolezza che ho mostrato alla fine del paragrafo precedente non mi è venuta da solo…
…e non mi è apparso san Lucifero di Cagliari mentre stavo in ginocchio sui ceci…
…molto più banalmente, mi sono trovato davanti a queste righe di Jacques Philippe, religioso, presbitero e teologo francese (classe ’47):
D’altra parte ci piacerebbe molto essere infallibili, ma questo desiderio nasconde spesso molto orgoglio e anche la paura di essere giudicati dagli altri.
Colui che invece accetta di sbagliare di tanto in tanto anche di fronte agli altri, manifesta una vera e propria umiltà e un sincero amore verso Dio.
Liberiamoci dalla falsa idea che abbiamo, su ciò che Dio esige da noi: Dio è padre, buono e compassionevole, conosce le infermità dei suoi piccoli e sa che sono limitati nel giudicare.
Egli ci chiede buona volontà, intenzione retta, ma in nessun caso esige che siamo infallibili e che tutte le nostre decisioni siano perfette!
Di più, se tutte le nostre decisioni fossero perfette, questo ci farebbe più male che bene.
Ci prenderemmo subito per superuomini.
(JACQUES PHILIPPE, La pace del cuore, EDB, Bologna 2020, p.52)
C’è poco da fare…
…avevo pure scritto una paginetta, qualche mese fa, in cui parlavo della paternità di Dio…
…della sua accoglienza… della sua benevolenza… del suo sguardo sempre buono…
…“la teoria” la so…
Però quando si tratta di passare “alla pratica” – negli imprevisti quotidiani, quando qualcosa esce fuori dai miei schemi, appena salta fuori un ostacolo, quando sbaglio – spesso nel mio cuore c’è un’altra immagine (falsa) di Dio…
Un dio esigente…
Un dio antagonista della mia felicità…
Un dio che si aspetta qualcosa in cambio…
Un dio orco…
Un dio occhio-di-Sauron…
Prosegue Jacques Philippe:
Così come c’è una falsa umiltà e una falsa compassione, esiste a volte ciò che potremmo chiamare una «falsa obbedienza» a Dio: vorremmo essere sempre e assolutamente certi di fare la sua volontà in ogni scelta anche piccola e non sbagliare mai.
In questo atteggiamento c’è tuttavia qualcosa che non è proprio giusto, per diversi motivi.
Da un lato, questo desiderio di sapere quello che Dio vuole, nasconde talvolta una qual certa difficoltà a sopportare una situazione d’incertezza: vorremmo essere esonerati dal dover decidere noi.
Spesso, però, il Signore vuole proprio che sappiamo decidere, anche se non siamo sicuri che quella sia la decisione migliore.
In realtà, nella capacità di decidere nell’incertezza, vi è un atteggiamento di fiducia e di abbandono: «Signore, ho riflettuto e pregato per sapere quale fosse la tua volontà. Non vedo le cose molto chiaramente, ma non mi turbo. Non intendo passare ore ed ore a rompermi la testa: decido per tale cosa perché, tutto considerato, mi sembra la migliore, e abbandono tutto nelle tue mani. So bene che anche se dovessi sbagliare non me ne vorresti, perché ho agito con una retta intenzione, e sarai capace di trarre del bene da questo errore. Sarà per me fonte di umiltà e ne ricaverò qualche insegnamento!»
(JACQUES PHILIPPE, La pace del cuore, EDB, Bologna 2020, p.51-52)
5 • La santità è l’opposto del perfezionismo
Tutti i cristiani sono chiamati alla santità (cfr. Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, n.39-42).
Va bene.
Ci sta.
Questa cosa più o meno “la sanno tutti” (persino i non credenti).
Però (come scrivevo il mese scorso) ho il sospetto che molte persone tendano a confondere la santità con:
- gesti eclatanti;
- strategie di crescita personale;
- rimboccarsi le maniche;
- darsi da fare;
- essere impeccabili;
- sapere sempre cosa fare.
Tutta l’auto-analisi (=leggi «pippe mentali») che mi faccio…
Tutti gli sforzi che faccio per nascondere la polvere sotto al tappeto…
Tutto il “mascara” che uso per occultare le mie mancanze…
…non hanno nulla di cristiano.
Il perfezionismo non ha niente a che vedere con la santità.
(JACQUES PHILIPPE, La pace del cuore, EDB, Bologna 2020, p.52-53)
Scriveva Jo Croissant (classe ’72), laica francese, membro della Comunità delle Beatitudini:
Non è l’analisi che ci farà comprendere i nostri meccanismi interiori.
È tutta un’ascesi che consiste nel distogliere lo sguardo da sé stessi per esporsi allo sguardo di Dio e scoprire chi siamo.
Poiché la tendenza naturale è quella di volgersi a sé, occorre che ci voltiamo continuamente verso Dio, che ci lasciamo guardare da Lui.
È dimenticandosi che ci si trova.
Il suo sguardo ci guarisce.
Egli solo può penetrare nelle nostre intimità senza ferirci.
Egli solo può svelare la nostra povertà senza gettarci nella disperazione.
(JO CROISSANT, Il mistero della donna, Berica, Arzignano (VI), versione Kindle, 22%)
Conclusione
Nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate (del 2018), papa Francesco parla del pelagianesimo…
…che (ridotto all’osso, e tagliando un po’ con l’accetta) consiste nel basare propria vita sulla “buona volontà”, l’impegno e gli “sforzi” umani.
Chiudo questa paginetta con le parole del papa:
(Punto 49) Quelli che rispondono a questa mentalità pelagiana […], benché parlino della grazia di Dio con discorsi edulcorati, in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze […].
Quando alcuni di loro si rivolgono ai deboli dicendo che con la grazia di Dio tutto è possibile, in fondo sono soliti trasmettere l’idea che tutto si può fare con la volontà umana, come se essa fosse qualcosa di puro, perfetto, onnipotente, a cui si aggiunge la grazia.
(Punto 50) La mancanza di un riconoscimento sincero, sofferto e orante dei nostri limiti è ciò che impedisce alla grazia di agire meglio in noi.
[…] In questo caso, dietro l’ortodossia i nostri atteggiamenti possono non corrispondere a quello che affermiamo sulla necessità della grazia, e nei fatti finiamo per fidarci poco di essa.
(Punto 57) Ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore.
(PAPA FRANCESCO, Gaudete et exultate, esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, n.49.50.57)
sale
(Inverno 2021-2022)
- JACQUES PHILIPPE, La pace del cuore, EDB, Bologna 2020
- TERESA DI LISIEUX, Storia di un'anima, Shalom, Camerata Picena (AN) 2008
- PAPA FRANCESCO, Gaudete et Exsultate (esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo)
- GIUSEPPE FORLAI, Vestirsi di luce : introduzione pratica alla vita nello Spirito, Paoline, Milano 2018
- JO CROISSANT, Il mistero della donna, Berica, Arzignano (VI) 2018